domenica 24 giugno 2012

La Solennità della Natività di San Giovanni Battista - 2

Di seguito il Vangelo di oggi, 24 giugno, Solennità di San Giovanni Battista, con un commento e qualche testo per la meditazione. Buona festa!


Il messaggio del Battista 
è quello di invitare il popolo di Israele 
a guardarsi dentro e a convertirsi 
per poter riconoscere, nell'ora della salvezza, 
Colui che Israele ha sempre atteso e che ora è presente. 
Giovanni impersonifica in questo senso 
l'ultimo dei profeti 
e l'economia specifica della speranza dell'Antica Alleanza.

Benedetto XVI






Dal Vangelo secondo Luca 1,57-66.80.

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele. 


IL COMMENTO



E’ una festa particolare. Insieme al Signore, Giovanni Battista è il solo di cui si celebra la natività. Il Profeta, l’ultimo, il più prossimo al Salvatore. Un nome nuovo, Giovanni, che significa Dio fa grazia ora, per una storia che comincia ora, la storia di ciascun uomo battezzata nelle viscere d’amore a cui tutti aneliamo. Che cos' è la nostra vita se non una continua ricerca di misericordia, di un amore che ci accolga nel suo grembo senza condizioni, così come siamo? Un amore che non presenti conti da pagare, per il quale non doversi acconciare. Un amore che ci faccia liberi d’essere esattamente quel che siamo. Nessuno nella nostra parentela porta questo nome. La carne non la prevede.


I rapporti, tutti, si infrangono sul limite severo della carne. Ne abbiamo l’esperienza, spesso dolorosa. Tutti noi siamo frutti d’una storia concreta, fatta di persone, di incontri, di eventi. Come la storia del Popolo di Israele, l’eletto incapace di reggere la prova della libertà. Infedele. Una storia di schiavitù e liberazioni, di adulteri e perdoni. La nostra vita, una linea diritta sulle orme di una promessa: l'avvento del Messia, il Salvatore, il Figlio che compirà, con la sua carne, la Legge che la nostra carne ha reso irrealizzabile. Giovanni è la soglia della speranza, l’uscio socchiuso sul compimento di ogni promessa.


La sua nascita dal grembo sterile di Elisabetta ne è il segno. Elisabetta, Israele. Tutta la sua storia in quel grembo, sterile vigna senza frutto. Come le nostre esistenze, spalmate di sforzi e battaglie, dure contese per ottenere un pugno di mosche. Ed un miracolo, la vita dove stava la morte. Come al principio della storia, Isacco di Abramo e di Sara, avvizziti patriarchi dinanzi alla vita. Una storia di salvezza iniziata con il miracolo che ne profetizzava il compimento. Così la nostra vita.


Un miracolo d’amore è stato il nostro apparire nel mondo; ma poi ecco giungere le sofferenze, a volte addolcite da gioie e consolazioni, e un senso di incompiutezza da far stringere il cuore. E lì, nel suo fondo più intimo, una promessa e una speranza: l’amore. Qualcosa ci ha sempre detto che esiste l’amore, che siamo fatti d’amore, per amare ed essere amati. Un miracolo, occorreva per noi e per ogni uomo un miracolo. Giovanni, la misericordia di Dio, la sua Grazia proprio in questo momento, quando forse tutto sembra remarci contro. Non l’abbiamo conosciuta nella carne, non v’è n’è traccia nella storia del mondo. E’ un nome nuovo, lo sguardo posato su Cristo. E’ Giovanni, la Parola di Dio per noi oggi. Parla al nostro cuore e ci annuncia la buona notizia che è finita la nostra schiavitù. Ai rapporti malsani inchiodati ai compromessi, al dare e avere d’ogni nostra relazione, ai padri che vorrebbero fare dei propri figli il prolungamento di se stessi, e ai figli schiacciati dall'eredità carnale dei propri genitori. Ecco oggi la buona notizia per le nostre storie che sembrano non aver nulla di nuovo da dire, per gli anziani ormai rassegnati, per i giovani cui il mondo ha sottratto la speranza; per le coppie sedutesi sulla routine e il volto del marito e della moglie appaiono ormai come un soprammobile in più; ai religiosi infilatisi, senza accorgersene, nell'accidia che dà spazio ai compromessi e inaridisce lo zelo; ai tanti presi al laccio dell'insodisfazione che li schiaccia in una continua, sterile, rivendicazione di diritti; a chi non riesce più a vedere la propria vita, e quella di chi è accanto, come un prodigio. Ad ogni uomo oggi è annunciata la buona notizia attraverso Giovanni: la mano di Dio era su di lui, il sigillo della nuova ed eterna alleanza; la mano del Padre su di noi, per realizzare qualcosa di assolutamente nuovo, per fare, della nostra vita, una porta spalancata verso il Signore Gesù. Oggi possiamo guardare la nostra vita con occhi diversi.


Dio ha esaltato in noi, come in Elisabetta, la Sua misericordia. Si è chinato sulla nostra sterilità e ne ha fatto un prodigio di fecondità. Giovanni, il nostro cuore assetato d’amore. Giovanni, l’intimo di noi che anela a Cristo. La misericordia attesa e bramata, eccola, è per noi. Gratuitamente. Oggi si compiono i nostri giorni del parto, e tutto di noi brilla di luce nuova. Ogni istante del passato trasfigurato nel miracolo d’amore del Signore.
Nulla è impossibile a Dio, nessuna sterilità non può essere trasformata in fecondità, nessun peccato non può essere perdonato. La nostra storia ci ha condotto a quest’oggi di Grazia e di gioia. Tutto in noi ha preparato l’incontro con la misericordia di Dio. Restiamo stupiti e serbiamo anche noi nel cuore i prodigi del Signore. Come Giovanni, cresciamo e rafforziamoci nello Spirito. Ci attende una missione meravigliosa. Quando e come Dio vorrà. Dove Lui ha già pensato. Annunciare il Messia, l’atteso dele genti. Fin dal grembo materno ci ha chiamati, oggi ce lo rivela. Siamo amati, salvati, redenti, perdonati. La nostra vita, un vaso di misericordia per il mondo, un prodigio, il più grande, le braccia distese ad offire noi stessi per gli altri. Che timore, che gioia! Davvero, “che sarà mai questo bambino?”, che sarà mai la nostra vita? Il Signore, giorno dopo giorno, ce lo rivelerà, ma sappiamo che giungerà esattamente dove è approdata la vita di Giovanni, a divenire, nel martirio, un segno, una luce che indichi la salvezza, l'Agnello che toglie il peccato del mondo. In famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque, questa vita concreta è un prodigio, il segno autentico ed efficace dell'amore che salva, che fa di ogni istante il principio di una novità che riscatta e infonde pace e felicità. Senza paura dunque, nell’avventura che Dio ci ha preparato. Con Giovanni, con il Signore. 



Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo.

La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già
sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all'annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede.
Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l'Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell'Antico e l'annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l'Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all'arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l'accaduto per spiegare l'immagine della realtà.
Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola.
Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di
Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po' di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.


Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
Discorso 1 per Giovanni Battista

« Tu, bambino sarai chiamato profeta dell'Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade » (Lc 1,76)

A ragione la nascita di questo bambino fu un motivo di gioia per molti : e lo è anche oggi. Donato ai suoi genitori nella loro vecchiaia, veniva per predicare ad un mondo che stava invecchiando, la grazia di una nuova nascita. È bello che la Chiesa festeggi solennemente questa natività, frutto meraviglioso della grazia, di cui la natura rimane ammirata.
Per quanto mi riguarda, la nascita di questa lampada destinata a rischiarare il mondo (Gv 3, 35), mi colma di una gioia nuova ; grazie ad essa infatti ho riconosciuto la luce vera che splende nelle tenebre e non è stata accolta dalle tenebre (Gv 1, 5.9). Sì, la nascita di questo bambino mi colma di una gioia indicibile, lui che è per il mondo fonte di grandissimi beni. Lui, per primo, istruisce la Chiesa, inizia a formarla per mezzo della penitenza, la prepara mediante il battesimo, e quando l'ha così preparata, la rimette a Cristo e la unisce a lui (Gv 3, 29). Le insegna a vivere nella sobrietà, e con l'esempio della sua morte, le dà la forza di morire con coraggio. In tutto ciò, prepara per il Signore un popolo perfetto (Lc 1, 17). 

APPROFONDIMENTI

San Giovanni Battista. Un'omelia di Giovanni Paolo II

VISITA PASTORALE IN AUSTRIA 

SANTA MESSA N
ELLA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA OMELIA DI

GIOVANNI PAOLO II
Aeroporto di Eisenstadt-Trausdorf - Venerdì, 24 giugno 1988

Carissimi fratelli e sorelle!

1. “Signore, tu mi scruti e mi conosci . . ., Ti sono note tutte le mie vie” (Sal 139 [138], 1-2).

Così preghiamo assieme al salmista nella liturgia odierna. Le sue parole esprimono quanto qui ci unisce profondamente, in modo invisibile, è vero, ma vero ed essenziale: siamo qui riuniti nella comune fede in Dio presente, in Dio che ci scruta e ci conosce. Dio sa tutto di noi da sempre, conosce ciascuno di noi, siamo tutti iscritti nel suo cuore amorevole, la sua Provvidenza abbraccia l’intero creato. “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28): così l’apostolo Paolo spiega agli ateniesi, che lo interrogavano nell’Areopago, la vicinanza di Dio a noi uomini.

Siamo riuniti qui davanti a lui - davanti al Dio invisibile. Nella sua parola eterna, il Figlio incarnato, egli ci ha chiamati per nome, perché abbiamo la vita attraverso di lui e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10, 10).

Per questo celebriamo l’Eucaristia. Veniamo per ricevere dal Padre in Gesù Cristo tutto ciò che può servire alla nostra salvezza. E portiamo tutto: la nostra gioia, la nostra gratitudine, le nostre preghiere, noi stessi, per donarci interamente al Padre in Cristo: in lui, che è il primogenito di tutta la creazione (cf. Col 1, 15). In e attraverso Cristo vogliamo pregare il nostro creatore e Padre assieme al salmista: “Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere” (Sal 139 [138], 14).
3. “Signore, tu mi scruti e mi conosci”. La Chiesa ripete queste parole del salmista nella odierna liturgia festiva, nella ricorrenza della natività di Giovanni il Battista, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. “Fin dal grembo materno” Dio lo ha chiamato per predicare “il battesimo della conversione” nel Giordano e per preparare la venuta di suo Figlio (cf. Mc 1, 4).
Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall’evangelista Luca. Secondo un’antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell’epoca la gente si domandava: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la “mano del Signore” era su di lui. Lo dimostrava già l’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome “Giovanni” che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato “Giovanni” e non, come tutti gli altri volevano,“Zaccaria” (cf. Lc 1, 59-63).

Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica “Dio è misericordioso”. Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.

Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.

Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande” (cf. Mt 11, 11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall’inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.

4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell’uomo, delle sue origini e della sua destinazione. È vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell’umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull’uomo: l’uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo “essere sconosciuto” che è l’uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.

Allo stesso tempo però ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l’uomo venga “ridotto” in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell’uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.

5. Questa verità sull’uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista:

“Signore, tu mi scruti e mi conosci . . .
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre . . .
tu mi conosci fino in fondo.
Quando venivo formato nel segreto . . .
non ti erano nascoste le mie ossa . . .
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 139 [138], 1. 13-15).

L’uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall’inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell’uomo vorrebbe incontrare l’intero creato.

Per Dio, l’uomo è un “qualcuno”: unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (cf. Gaudium et Spes, 24).

“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: “Giovanni”. L’uomo è quell’essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il “tu” creato, Tra tutte le creature egli è quell’“io” personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell’uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: “Tu, mio Signore e mio Dio”. Al “tu” divino.

6. Cari fratelli e sorelle! Come rispondiamo noi uomini a questa chiamata di Dio? Come intende l’uomo di oggi la sua vita? In nessuna altra epoca sono stati compiuti tanti sforzi mediante la tecnica e la medicina, per salvaguardare la vita umana contro la malattia, per prolungarla sempre più e per salvarla dalla morte. Allo stesso tempo, però, nessun’altra epoca, come la nostra, ha prodotto tanti luoghi e tanti metodi di disprezzo e di distruzione dell’uomo. Le amare esperienze del nostro secolo con le macchine di morte di due guerre mondiali, la persecuzione e la distruzione di interi gruppi di uomini a causa della loro appartenenza etnica o religiosa, la corsa agli armamenti atomici fino all’estremo limite, l’impotenza degli uomini di fronte alle grandi miserie in molte parti della terra potrebbero indurci a dubitare, se non addirittura a rinnegare, l’affetto e l’amore che Dio ha per l’uomo e per l’intero creato.

O non sarà piuttosto il caso di porci la domanda al contrario, quando consideriamo i terribili eventi che a causa degli uomini si sono abbattuti sul mondo e di fronte alle molteplici minacce del nostro tempo: non è l’uomo che si è allontanato da Dio, che è la sua origine, non si è forse discostato da lui, e non ha forse innalzato se stesso a centro e metro della propria vita? Non credete che negli esperimenti che si conducono sull’uomo, esperimenti che contraddicono la sua dignità, nell’atteggiamento mentale di molti verso l’aborto e l’eutanasia si esprima una preoccupante perdita del rispetto della vita? Non è forse evidente, anche nella vostra società, quando si guarda alla vita di molti - caratterizzata da vuoto interiore, paura e fuga - che l’uomo stesso ha reciso le proprie radici? Il sesso, l’alcol e la droga non debbono forse intendersi come segnali di allarme? Non indicano, forse, una grande solitudine dell’uomo odierno, un desiderio di cure, una fame di amore che un mondo ripiegato su se stesso non riesce a quietare?

In effetti, quando l’uomo non è più legato alla sua radice, che è Dio, egli si impoverisce di valori interiori e pian piano diventa succube di diverse minacce. La storia ci insegna che uomini e popoli che credono di poter esistere senza Dio sono immancabilmente destinati alla catastrofe dell’autodistruzione. Il poeta Ernst Wiechert lo ha espresso in questa frase: “Siate pur certi che nessuno cadrà fuori da questo mondo, che prima non sia caduto fuori da Dio”.

Al contrario, da un rapporto vivo con Dio l’uomo acquisisce la consapevolezza della unicità e del valore della propria vita e della propria coscienza personale. Nella sua vita vissuta concretamente egli sa di essere chiamato, sorretto e spronato da Dio. Nonostante le ingiustizie e le sofferenze personali egli comprende che la sua vita è un dono; egli ne è grato e sa di esserne responsabile davanti a Dio. In questo modo, Dio diventa per l’uomo fonte di forza e di fiducia, e a questa fonte l’uomo può rendere la sua vita degna e sa anche metterla generosamente al servizio dei fratelli.

7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già “nel grembo materno” perché divenisse “la voce di uno che grida nel deserto” e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha “posto la sua mano” anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.

In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlò attraverso Giovanni: “Preparate la via del Signore!” (Mt 3, 3).

Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell’ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini. Tra tutti quegli uomini e quelle donne che nell’arco della storia si sono aperti in maniera esemplare all’opera di Dio vorrei parlare di san Martino. Se anche i secoli ci separano da lui, egli ci è vicino nella sequela di Cristo attraverso il suo esempio e la sua grandezza che non ha età. Egli è il vostro patrono diocesano e regionale. Egli è venerato come il grande santo di tutta la regione della Pannonia: “Martinus natus Savariae in Pannonia”.

Martino sta davanti a noi come uomo, che ha dato confidenza a Dio, che ha capito e praticato il suo “sì alla fede” come un “sì alla vita”. Ha compiuto ciò a cui si sentiva chiamato fino all’ultima conseguenza. Ancor prima di diventare cristiano, divise con i poveri il suo mantello. La vita militare gli dava certamente delle soddisfazioni, ma non gli bastavano. Come ogni uomo, era alla ricerca di una gioia duratura, di una gioia che nulla può distruggere. Solo in età più matura incontrò Gesù Cristo nella fede, e in lui ha trovato la pienezza della gioia e la felicità. Attraverso la fede, Martino non è diventato più povero, ma più ricco: è cresciuto nella sua umanità, è cresciuto nella grazia davanti a Dio ed agli uomini.

8. Affinché questa verità - che l’uomo trova la sua completezza e la sua vera salvezza solo in Dio - possa essere sempre annunciata, sono necessari sacerdoti e religiosi. Perciò, siate consapevoli della vostra corresponsabilità nel risvegliare vocazioni spirituali. Ho saputo con gioia che tra qualche giorno sei sacerdoti saranno ordinati nella vostra diocesi. È un grande dono per la Chiesa e per la vostra patria. Non cessate di pregare affinché il Signore mandi operai alla sua messe!

In modo particolare mi rivolgo ai giovani, che sono il futuro del vostro Paese e della Chiesa. Cercate di capire, cari giovani amici, cosa Dio vuole da voi. Siate aperti alla sua chiamata! Ascoltate attentamente perché potrebbe invitare anche voi a seguire Cristo come sacerdoti, religiose o religiosi qui, nella vostra patria, oppure in terra di missione.

Prego voi tutti: qualunque strada decidiate di prendere, lasciate che il seme della Parola di Dio cada nei solchi del vostro cuore; una volta lì, non lasciatelo seccare, ma curatelo affinché possa germogliare e portare ricchi frutti.

Dite “sì alla fede”, dite “sì alla vita”, perché Dio la vive insieme con voi! Insieme a lui la vostra vita diventerà un’avventura: sarà bella, ricca e piena!

10. “Preparate la via al Signore . . . perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (cf. Is 49, 6). Quando noi, cari fratelli e sorelle, guardiamo alla nostra vocazione di cristiani, che attraverso il Battesimo siamo diventati un solo corpo con Cristo, allora queste parole del Signore, pronunciate per bocca del profeta Isaia - dall’avvento della storia della salvezza prima della prima venuta di Cristo - acquistano per noi, alla fine del secondo millennio dalla nascita di Cristo, un significato particolare. Ci troviamo infatti, soprattutto qui, nel vecchio continente, in un “nuovo avvento” della storia universale. Non dobbiamo forse far sì che la “salvezza” che ci ha donato Cristo giunga di nuovo fino alle frontiere più estreme dell’Europa?

Tutti sentiamo di avere molto bisogno di un rinnovamento, di un nuovo incontro con Dio. Rinnovamento, conversione ed incontro con Dio, alle sorgenti della fede, meditazione sulla fede integrale: questo è l’appello che ci lancia l’odierna festività della nascita di Giovanni il Battista e questo è lo sprone che ci dà anche l’esempio di san Martino.

Tutti conosciamo il bisogno di rinnovamento della nostra società, della rievangelizzazione del nostro continente: affinché l’uomo europeo non perda il senso della sua dignità fondamentale; affinché non diventi vittima delle forze distruttrici della morte spirituale, ma anzi abbia la vita e l’abbia in abbondanza (cf. Gv 10, 10)!

Sia lodato Gesù e Maria!

* * *

San Giovanni Battista. Meditazione di S. Em. card. Tomáš Spidlík

Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista.
Nelle icone del battesimo di Gesù nel Giordano, san Giovanni Battista è dipinto come un uomo di statura alta, con un piede proteso verso il Giordano e l’altro che resta indietro. Si vuole esprimere che egli sta tra l’Antico e il Nuovo Testamento. I grandi personaggi dell’Antico Testamento si distinguono per il dono della profezia. La loro missione è indicare dove va la storia d’Israele, e ricordare che tutto ciò che accade acquista senso in vista della venuta del Messia. San Giovanni è l’ultimo profeta e indica il Messia non più con dei segni, ma direttamente, in persona: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv 1,36). La sua predicazione è l’ultima prima delle parole di Gesù. La storia del popolo eletto quindi inizia e finisce con due grandi personaggi: Abramo e Giovanni Battista. Abramo è “padre di tutti i credenti” (Gal 3,6; Rm 4). La salvezza comincia con la fede e la speranza. La fede è destinata a crescere e a divenire visione, e Giovanni vede il Messia. Una storia simile si ripete di continuo, simbolicamente, nella nostra vita. Quando crediamo in Dio e gli diamo piena fiducia, arriva il momento in cui vediamo e sperimentiamo che abbiamo fatto bene e Dio è con noi.