mercoledì 27 giugno 2012

La Chiesa Sposa di Cristo - Seconda Parte


Di seguito un'analisi del pensiero di sant'Efrem il Siro, a cura di Robert Cheaib.

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Roma, mercoledi 27 giugno 2012

3. La Chiesa Sposa nel pensiero di Sant’Efrem
Essendo le opere e i poemi di Efrem – per usare un nome che il grande Henri de Lubac attribuiva alle sue opere – «scritti d’occasione», non è facile annoverarle in una visione sistematica. Nondimeno, si può effettuare la ricostruzione del pensiero di Efrem riguardo alla Chiesa sposa a partire da un centro implicito presente in tutti i suoi scritti: Il disegno salvifico di Dio in Cristo, ossia la storia della salvezza dispiegata lungo l’Antico e il Nuovo Testamento, e che prosegue nella storia della Chiesa. Di questa economia della salvezza guarderemo alcuni momenti salienti che riassumono e condensano la visione di Efrem: la creazione, l’alleanza adamitica, l’alleanza del Sinai, l’Incarnazione, l’Epifania, e il Mistero pasquale.
3.1. La creazione e l’alleanza per le nozze: «Così ti sposerà il tuo Creatore»
Dio crea l’umanità per un solo motivo: per sposarla. Siamo creati per diventare la Sposa. La creazione del mondo è per le Nozze. E le numerose riletture dell’Antico e del Nuovo Testamento trovano il loro centro focale e interpretativo nel paradigma nuziale. La creatura esiste per stare di fronte a Dio non come schiava ma come sposa.
È importante tener presente che per la mentalità semitica, è molto più facile il passaggio dal singolare al plurale. Adam, Adamo non è soltanto il protogenitore dell’umanità, ma è tutta l’umanità: è letteralmente il «terrestre», tirato fuori dalla terra Adama1. È singolare e plurale allo stesso tempo. Inoltre, egli è ogni uomo: Adamo è mio nonno, mio padre e sono io. Il riferimento ad Adamo quindi diventa attuale e personale per ognuno e per tutti.
Scrive Efrem parlando del giardino dell’Eden:
«Nel giardino era pronta / una bella stanza nuziale, / ma il basilisco la buttò all’aria»2.
La storia simbolico-reale di Adamo ed Eva è inquadrata in un cammino verso la stanza nuziale dell’unione con Dio. L’uomo tradisce questo disegno, e la storia della salvezza diventa un susseguirsi di tentativi da parte di Dio per ricucire questo strappo iniziale, per riportare l’umanità sposa sui binari del suo destino. Il cuore dell’uomo caduto dalla fedeltà continua a essere irrequieto in cerca dell’Amato perduto tra gli alberi dell’Eden. La sposa innocente del Cantico dei cantici in cerca del suo amato perduto è paradigma di tutta l’umanità che, persa la sua innocenza, non perde però l’immagine che brama lo Sposo tradito. Pur avendo perso l’abito della somiglianza nuziale, l’umanità non perde l’immagine del cuore nuziale.
L’intero scopo della creazione, per Efrem, è rivestire Adamo della «veste di gloria» che aveva perso con il peccato. E come vedremo, la veste di gloria di Adamo è la veste nuziale. L’abito nuziale perso tra gli alberi sarà restituito dalla nudità dello Sposo sull’albero della croce.
In maniera simbolica, Efrem legge la nudità di Eva, come perdita della dignità nuziale. Una perdita di cui l’umanità non riesce a capacitarsi perché è il solo motivo per cui è stata creata. Pertanto, tutta l’umanità attende il ritorno dello Sposo per essere rivestita di nuovo con la gloria nuziale:
«Eva guardò a lui, / poiché grande era la nudità delle donne, / e lui solo poteva rivestirle, / al posto delle foglie, della gloria di cui / si erano spogliate»3.
L’umanità sposa, cacciata dall’Eden, è richiamata da Dio a radunarsi di nuovo in attesa dell’arrivo dello Sposo. Il racconto dell’arca di Noè rappresenta un «typos», un modello di raduno in attesa della salvezza che trova la sua realizzazione nella Chiesa di Cristo: «Anche l’arca degli animali, / il suo tipo guardava verso il nostro Signore, / che avrebbe costruito la santa Chiesa / nella quale trovano rifugio le anime»4.
La sete e l’attesa dello Sposo investe tutte le anime dei giusti. L’attesa, simile a quella delle dieci vergini del Vangelo5, è il clima che adombra tutto l’Antico Testamento. L’uomo, nel Giardino, ha perso la sua veste, ma non ha perso il desiderio dell’Amato atteso, quale «farmaco della vita» per acquietare la sete d’amore dell’umanità:
«L’anima dei giusti percepì / Il Figli, il farmaco della vita, / e desiderò che nei propri giorni / egli venisse ed essa potesse gustarne la dolcezza»6.
Efrem legge i grandi desideri dell’Antico Testamento alla luce del desiderio di Cristo. Così Tamar, non attende da Giuda un figlio qualsiasi, ma il Cristo nascosto in lui (essendo Cristo della discendenza di Giuda)7:
«Poiché il re era celato in Giuda / Lo rubò Tamar dai suoi fianchi. / Oggi si è levato lo splendore della bellezza di cui lei ha amato il nascondimento»8.
Lo stesso vale per Rut, ciò che la attirò verso Booz, era l’Onnivivificante, il «Farmaco della Vita»:
«Rut si era messa a giacere presso Booz / Poiché aveva visto celato in lui il farmaco della vita. / Oggi si è compiuto il suo voto, / poiché dalla sua discendenza si è levato / l’onnivivificante»9.
Come la creazione, così anche l’alleanza del Sinai è un patto nuziale, una casta festa di nozze:
«Una casta festa di nozze ha avuto luogo nel deserto, / con la camera nuziale posta sul monte Sinai. / Il Signore è disceso e ha preso in fidanzamento / La figlia di Abramo, suo amato amico»10.
Questa sposa, condotta nel deserto per imparare l’amore, tradisce lo Sposo all’ingresso della camera nuziale, prostituendosi – per usare il linguaggio biblico – con altre divinità11. Ma lo Sposo divino non si arrende, cerca di riallacciare i legami delle nozze con la figlia (un riferimento all’Israele post-esilico). Questa sposa, però, rifiuta lo Sposo durante la festa di nozze di Nisan, ovvero la Pasqua di morte e risurrezione di Cristo avvenuta durante il mese di Nisan (aprile), mese della Pasqua ebraica. Allora lo Sposo ripudia la Sposa Israele e sceglie la sposa dei gentili. Qui Efrem rilegge la storia della salvezza in luce nuziale e fa capire come Dio si apre ai gentili, ai pagani.
Possiamo avere maggiore luce su questo motivo in Efrem leggendo il suo commento sull’incontro di Gesù con la samaritana. I samaritani erano considerati impuri dai giudei, perché si erano contaminati con gli usi ed i culti pagani durante e dopo l’esilio. Per questo, la samaritana nel capitolo quarto del vangelo di Giovanni, rappresenta l’incontro dei popoli pagani con Gesù12, tra l’altro, in un luogo molto significativo e di alta valenza nuziale nell’Antico Testamento: il pozzo13. Efrem parla alla samaritana, quale simbolo della sposa dei gentili e dice: «Benedetta sei tu sposa e incoronata a cui venne lo Sposo che Sion ha odiato»14. Vi è un gioco di parole tra sposa e incoronata (kalto wa mkalalto). Cosa significa incoronata? In Libano quando ci si sposa si usa il termine “Ikl­īl” che vuol dire corona, coronazione. Per dire «mi sposo» si dice letteralmente «mi vado a incoronare». Durante la celebrazione delle nozze gli sposi non mettono solo gli anelli, ma anche delle corone per esprimere questa investitura, questa regalità ridonata nel sacramento delle nozze. Le nozze sono un sacramento, un simbolo, quindi una presenza reale della grazia di Cristo. Quando Efrem dice «benedetta sei tu sposa e incoronata» si riferisce alla figlia dei pagani che riceve la corona di sposa da Cristo ed è rivestita da lui con l’abito e la corona della regina-sposa. Questo inciso ci permette di fare un breve interludio sulla tematica della veste di gloria, che, in Efrem, è sinonimo di veste di nozze.
3.2. Interludio: La restituzione della veste di gloria
In una strofa molto densa degli inni sulla Natività, Efrem presenta l’opera di Cristo (incarnazione, battesimo, morte, discesa agli inferi e risurrezione) come antidoto di misericordia per restituire ad Adamo, quello che Adamo stesso ha perso. Come nelle tante poesie di Efrem, Adamo è il primo uomo, ogni e uomo e tutta l’umanità.
«Tutti questi cambiamenti fece il Misericordioso, / spogliandosi della gloria e indossando un corpo; / perché Egli aveva ideato un modo per rivestire Adamo / di quella gloria di cui Adamo si era spogliato. / Cristo fu avvolto in fasce, / esse corrispondevano alle foglie di Adamo, / Cristo si è rivestito di abiti, invece delle pelli di Adamo; / Egli fu battezzato per il peccato di Adamo, / il suo corpo fu unto per la morte di Adamo, / egli risorse e sollevò Adamo nella sua gloria. / Benedetto Colui che è sceso, si è rivestito di Adamo ed è salito!»15.
In questo testo vediamo di nuovo il motivo della nudità e della veste di gloria. È importante soffermarci per capire la valenza di tale simbolo. La veste di gloria è connessa all’abito nuziale della pericope evangelica di Mt 22,1-14: è la veste acquisita al battesimo che va conservata da ogni macchia per la festa di nozze escatologica. Nel racconto evangelico, il re invita i suoi amici alle nozze di suo figlio. Gli ospiti non accolgono l’invito, allora il re manda i suoi servi per portare alla festa chiunque trovassero sugli angoli delle strade. Durante la festa di nozze, il re entra e trova uno dei presenti senza la veste nuziale, allora ordina che venga legato e gettato fuori nelle tenebre. L’interpretazione diffusa ai tempi di Efrem affermava che l’invitato aveva ricevuto la veste nuziale al momento del battesimo, ma l’aveva perduta o sporcata16. Questo testo esprime in un certo senso un giudizio escatologico connesso alla venuta di Cristo come giudice. Nella storia della salvezza, però, Cristo cerca di restituire all’uomo la veste nuziale.
È interessante notare che la percezione della nudità nel libro della Genesi non è un semplice dato fattuale: l’uomo e la donna, prima del peccato, prima di essersi distaccati dalla Sorgente dell’Amore, erano nudi ma non sentivano vergogna di esserlo. Erano rivestiti dalla vocazione all’amore e orientati verso le nozze con/in Dio. Il corpo non vestito era comunque rivestito e avvolto di un destino di gloria. Quando l’uomo e la donna cercano di impossessarsi del dono d’amore, lo fanno svanire. L’amore, per essenza, non può essere posseduto ma solo accolto. Non può essere strappato e divorato come conquista, ma spezzato e donato per essere accolto come dono. Ora, il corpo guardato da occhi non innamorati non rimane più il tabernacolo di un soggetto, ma semplicemente un oggetto di consumo. Il peccato di Adamo ed Eva è travisare l’amore, e la loro corporeità privata dall’orientamento all’amore si percepisce come nudità che incita la vergogna come meccanismo di difesa contro la riduzione a mero oggetto. Con l’incarnazione Cristo si riveste del corpo umano per restituirgli la dignità, e con il battesimo – come vedremo più avanti – permette all’uomo di essere rivestito di lui, ridonando all’uomo la veste di gloria di cui si era privato tra gli alberi. E in fine, sull’albero della croce, quale Sposo totalmente spezzato e donato, dalla sua nudità innamorata dona la vera veste di gloria all’umanità sposa.
3.3. L’Incarnazione: «Benedetto Colui che ha sposato la nostra umanità»
Dopo aver riassunto l’Antico Testamento in due movimenti principali che sono: da una parte, la fedeltà di Dio alla sposa, e dall’altra, l’anelito interiore di questa sposa ad unirsi allo sposo e contemporaneamente l’incapacità di raggiungerlo, Efrem considera l’economia che realizza lo Sposo nell’Incarnazione. Prima di qualsiasi intervento o gesto storico del Cristo, la sua Incarnazione è già di per sé un gesto nuziale. L’Incarnazione per Efrem è lo sposalizio di Cristo con la natura umana, con il corpo umano:
«Il primo-nato [Ihidoyo] si avvolse in un corpo / Come un velo per nascondere la sua gloria. / Lo Sposo immortale brilla nella sua veste: / che gli ospiti nelle loro vesti assomiglino a Lui nella sua. / Che i nostri corpi-che sono il tuo vestito- / Brillino, perché essi legarono in ceppi di ferro / Quell’uomo il cui corpo era impuro. / Signore, lava le mie macchie al tuo banchetto con la tua luce»17.
La veste nuziale dello Sposo incarnato è l’umiltà del corpo umano che assume. Il suo corpo mortale comunque risplende della gloria immortale, e richiama gli uomini a riconoscere nei propri corpi lo splendore della Sua gloria: I nostri corpi, ormai, sono il suo vestito. Efrem intuisce già ciò che sarà detto nel Concilio Vaticano II: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»18. Queste intuizioni si ricollegano alla concezione paolina espressa nella Lettera ai Romani e che cozza con il nostro imperante individualismo. L’umanità nella visione paolina non è costituita da singoli e monade a se stanti. Vi è, al contrario, un’unione intima degli uomini nell’unica natura umana che permette sia la communio peccato rum, sia la communio sanctorum. È a partire da questo presupposto che si possono capire le affermazioni paoline riassumibili in questo versetto: «Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita»19.
In questo contesto, e grazie a questa unione nuziale di Cristo, il Verbo del Padre, con la nostra natura umana, l’umanità malata di peccato, ma malata anche di amore, ovvero del desiderio di unirsi all’amato, incontra in Cristo il «Farmaco della vita»:
«La vite della Vergine produsse un grappolo il cui vino è dolce, / e per esso furon consolati dalle tristezze / Eva ed Adamo che erano mesti: / gustarono essi il Farmaco di Vita, e da questo furon consolati dalle loro tristezze»20.
Il contrasto tra il primo Adamo e il secondo Adamo, è intimamente unito e collegato al contrasto Maria-Eva. Anche se Eva ha il nome di «madre della vita», la Vita vera è stata donata all’umanità dalla vite-Maria. Maria, divenuta camera nuziale dell’unione ipostatica tra natura divina e natura umana nell’ipostasi del Cristo, restituisce all’umanità la veste di gloria che è la veste nuziale:
«Due vergini ebbe l’umanità / Una cagione di vita, / l’altra cagione della morte; / da Eva spuntò la morte, / ma la vita da Maria. / La madre ch’era caduta, / fu sorretta dalla figlia sua: / e poiché quella si era rivestita / delle foglie della nudità, / questa intessè e dette a lei / una stola di gloria»21.
In un versetto denso del secondo inno sulla Natività, Efrem riassume con tre immagini le implicazioni teologiche dell’Incarnazione. Essa è, innanzitutto, una unzione regale-nuziale; Cristo nell’assumere la natura non si addossa un abito, ma sposa la natura umana. In secondo luogo, il corpo diventa la tenda – con tutti i rimandi veterotestamentari alla tenda del convegno, della Shekinah, della dimora di Dio con il suo popolo, e neotestamentari all’espressione giovannea: «il Logos si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi»22. E infine, il Dio invisibile e inaccessibile, si rende parola comprensibile, di rivelazione che l’uomo può toccare e dire nelle parole della sua quotidianità:
«Benedetto, colui che ha segnato la nostra anima, / l’ha adornata e l’ha sposata a sé. / Benedetto colui che ha fatto del nostro corpo / una tenda della sua invisibilità. / Benedetto, colui che nella nostra lingua / ha tradotto i suoi segreti»23..
Fonte: Zenit
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NOTE
1 Per maggiori spiegazioni sul significato del nome di Adamo si veda E. Bianchi, Adamo, dove sei?. Commento esegetico-spirituale a Genesi 1-11, Magnano 20073.
2 Inni sull’Epifania 13,4.
3 Inni sulla Natività 1,43.
4 Inni sulla Natività 1, 45.
5Cf. Mt 25,1-13.
6 Inni sulla Natività 1,52.
7Cf. Gn 38.
8 Inni sulla Natività 1,12.
9 Inni sulla Natività 1,13.
10 Inni sulla Risurrezione 3,1-2.
11 È significativo nella Bibbia l’uso del termine «adulterio» per parlare in fondo dell’idolatria. Il Dio d’Israele non si aspetta un’adorazione servile dal suo popolo ma una libera fedeltà nuziale.
12 Per alcuni esegeti, l’incontro con Nicodemo (Gv 3) rappresenta l’incontro Di Cristo con Israele, mentre l’incontro con la samaritana, rappresenta l’incontro di Cristo con l’umanità, con i pagani, attraverso un simbolo di vita universale, quello dell’acqua. (Cf. F. Lambiasi, Nella casa di Gesù. Esercizi spirituali con l’evangelista Giovanni, Roma 2005, 31ss). Inoltre, I cinque mariti (Bealim) della donna sono un riferimento alle divinità precedentemente adorate dai samaritani. Mentre è Cristo il vero Dio-Sposo (Cf. R. Brown, Giovanni. Commento al vangelo spirituale, Assisi 19995, 224ss.
13 Il pozzo di Giacobbe lascia intravedere un orizzonte sponsale. È un luogo di ritrovo pubblico, dove sono nate bellissime storie d'amore nuziale (Gen 24,29: Isacco e Rebecca; Es 2,11-22: Mosè e Zippora).
14 Inni sulla verginità 19,2.
15 Inni sulla Natività 23,13.
16 Cf. Afraate, Dimostrazioni 6,1; Efrem, Inni sulla Verginità 33.
17 Inni di Nisibi 43,21.
18 Gaudium et Spes, 22.
19 Rm 5,18; Cf. Rm 5,12-21.
20 Inni alla Vergine 1,14.
21 Inni sulla Natività 1,14. L’inno prosegue: «Adamo aveva posto la corruzione/Sulla donna uscita da lui./Oggi ella ha sciolto la sua corruzione/Partorendogli il Salvatore. // Un uomo che mai partorisce / Ha partorito la madre Eva / Quanto più si crederà alla figlia di Eva / Che senza uomo ha partorito un figlio. // Una terra vergine aveva partorito / Adamo, capo della terra. / Una vergine oggi ha partorito / L’Adamo capo del cielo» (Inni sulla Natività 1,15-16)
22 Cf. Gv 1,14.
23 Inni sulla Natività 2,7.