Nella preghiera «dobbiamo non solo richiedere, ma anche lodare e ringraziare: solo così la nostra preghiera è completa». Lo ha affermato Benedetto XVI nella catechesi di questa mattina, continuando nella «scuola della preghiera» dedicata alle lettere di san Paolo e soffermandosi sul primo capitolo della Lettera agli Efesini, un brano profondamente trinitario e insieme dedicato alla bellezza che brilla nel buio del mondo.
Questo capitolo inizia proprio con una preghiera di ringraziamento, a Dio che in Gesù Cristo ci ha fatto «conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9). E «realmente c’è motivo di ringraziare se Dio ci fa conoscere quanto è nascosto: la sua volontà con noi, per noi; “il mistero della sua volontà”». «Mysterion», «Mistero» è un termine che ricorre spesso nella Sacra Scrittura e che nel linguaggio comune «indica quanto non si può conoscere, una realtà che non possiamo afferrare con la nostra propriaintelligenza».
Ma la Lettera agli Efesini ci svela un altro senso della parola. «Per i credenti “mistero” non è tanto l’ignoto, ma piuttosto la volontà misericordiosa di Dio, il suo disegno di amore che in Gesù Cristo si è rivelato pienamente». Ora davvero, afferma san Paolo, possiamo «comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo» (Ef 3,18-19). «Il “mistero ignoto” di Dio è rivelato ed è che Dio ci ama, e ci ama dall’inizio, dall’eternità».
Ne nasce un inno di benedizione: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3). che «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo». San Paolo, nota il Papa, qui «usa il verbo euloghein, che generalmente traduce il termine ebraico barak: è il lodare, glorificare, ringraziare Dio Padre come la sorgente dei beni della salvezza».
Ma perché dobbiamo benedire il Signore? Risponde san Paolo che Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4). Dunque «Dio ci ha chiamati all’esistenza, alla santità. E questa scelta precede persino la creazione del mondo». La nostra vocazione alla santità corrisponde «al disegno eterno di questo Dio, un disegno che si estende nella storia e comprende tutti gli uomini e le donne del mondo, perché è una chiamata universale».
San Paolo continua: Dio ci ha chiamati a essere «figli adottivi, mediante Gesù Cristo». Ma, affinché non ci inorgogliamo, è sempre bene ricordare che «Dio ci sceglie non perché siamo buoni noi, ma perché è buono Lui. E l’antichità aveva sulla bontà una parola: bonum est diffusivum sui; il bene si comunica, fa parte dell’essenza del bene che si comunichi, si estenda. E così poiché Dio è la bontà, è comunicazione di bontà, vuole comunicare; Egli crea perché vuole comunicare la sua bontà a noi e farci buoni e santi».
Per la Lettera agli Efesini al centro della benedizione sta Gesù Cristo: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Qui ci viene svelato, per così dire, il centro stesso della storia. «Il sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con cui il Padre ha mostrato in modo luminoso il suo amore per noi, non soltanto a parole, ma in modo concreto.
Dio è così concreto e il suo amore è così concreto che entra nella storia, si fa uomo per sentire che cosa è, come è vivere in questo mondo creato, e accetta il cammino di sofferenza della passione, subendo anche la morte. Così concreto è l’amore di Dio, che partecipa non solo al nostro essere, ma al nostro soffrire e morire».
Il Pontefice paragona questo brano con quello famoso della Lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-32.38-39).
Nella benedizione trinitaria della Lettera agli Efesini, con il Padre e il Figlio è naturalmente ben presente anche lo Spirito Santo: «Egli è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria» (Ef 1,14). Il Papa cita san Giovanni Crisostomo (tra 344 e 354-407), il quale così commenta questo passaggio: «Dio ci ha eletti per la fede ed ha impresso in noi il sigillo per l’eredità della gloria futura» (Omelie sulla Lettera agli Efesini 2,11-14).
La strada della redenzione è «anche un cammino nostro, perché Dio vuole creature libere, che dicano liberamente sì; ma è soprattutto e prima un cammino Suo. Siamo nelle Sue mani e adesso è nostra libertà andare sulla strada aperta da Lui».
Abbiamo dunque nella Lettera agli Efesini tutta la Trinità in azione: «il Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, ci ha pensato e creato; il Figlio che ci ha redenti mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra redenzione e della gloria futura». Da san Paolo possiamo imparare a scorgere l’impronta della Trinità nel mondo, «la bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature».
Citando l’esempio di san Francesco d’Assisi (1182-1226), e tornando sul tema che gli è caro della via pulchritudinis, la via della bellezza, il Papa nota che «importante è essere attenti proprio adesso, anche nel periodo delle vacanze, alla bellezza della creazione e vedere trasparire in questa bellezza il volto di Dio». E naturalmente anche nella bellezza dei santi, «affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini, riscaldi, guidi la nostra esistenza». «Sant’Ireneo [130-202] ha detto una volta che nell’Incarnazione lo Spirito Santo si è abituato a essere nell’uomo. Nella preghiera dobbiamo noi abituarci a essere con Dio».
La preghiera ci trasforma, ci aiuta a vedere il mondo e la bellezza con colori nuovi. «La preghiera come modo dell’“abituarsi” all’essere insieme con Dio, genera uomini e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo».
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Di seguito il testo della catechesi.
Cari fratelli e sorelle,
la
nostra preghiera molto spesso è richiesta di aiuto nelle necessità. Ed è
anche normale per l'uomo, perché abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo
bisogno degli altri, abbiamo bisogno di Dio. Così per noi è normale
richiedere da Dio qualcosa, cercare aiuto da Lui; e dobbiamo tenere
presente che la preghiera che il Signore ci ha insegnato, il «Padre
nostro», è una preghiera di richiesta, e con questa preghiera il Signore
ci insegna le priorità della nostra preghiera, pulisce e purifica i
nostri desideri e così pulisce e purifica il nostro cuore. Quindi se di
per sé è normale che nella preghiera richiediamo qualcosa, non dovrebbe
essere esclusivamente così. C'è anche motivo di ringraziamento, e se
siamo un po' attenti vediamo che da Dio riceviamo tante cose buone: è
così buono con noi che conviene, è necessario, dire grazie. E deve
essere anche preghiera di lode: se il nostro cuore è aperto, vediamo
nonostante tutti i problemi anche la bellezza della sua creazione, la
bontà che si mostra nella sua creazione. Quindi, dobbiamo non solo
richiedere, ma anche lodare e ringraziare: solo così la nostra preghiera
è completa.
Nelle
sue Lettere, san Paolo non solo parla della preghiera, ma riporta
preghiere certamente anche di richiesta, ma anche preghiere di lode e di
benedizione per quanto Dio ha operato e continua a realizzare nella
storia dell’umanità.
E oggi vorrei soffermarmi sul primo capitolo della Lettera agli Efesini,
che inizia proprio con una preghiera, che è un inno di benedizione,
un'espressione di ringraziamento, di gioia. San Paolo benedice Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché in Lui ci ha fatto
«conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9). Realmente c'è motivo
di ringraziare se Dio ci fa conoscere quanto è nascosto: la sua volontà
con noi, per noi; «il mistero della sua volontà». «Mysterion»,
«Mistero»: un termine che ritorna spesso nella Sacra Scrittura e nella
Liturgia. Non vorrei adesso entrare nella filologia, ma nel linguaggio
comune indica quanto non si può conoscere, una realtà che non possiamo
afferrare con la nostra propria intelligenza. L’inno che apre la Lettera
agli Efesini ci conduce per mano verso un significato più profondo di
questo termine e della realtà che ci indica. Per i credenti «mistero»
non è tanto l’ignoto, ma piuttosto la volontà misericordiosa di Dio, il
suo disegno di amore che in Gesù Cristo si è rivelato pienamente e ci
offre la possibilità di «comprendere con tutti i santi quale sia
l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere
l’amore di Cristo» (Ef 3,18-19). Il «mistero ignoto» di Dio è rivelato
ed è che Dio ci ama, e ci ama dall'inizio, dall'eternità.
Soffermiamoci
quindi un po' su questa solenne e profonda preghiera. «Benedetto Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3). San Paolo usa il verbo
«euloghein», che generalmente traduce il termine ebraico «barak»: è il
lodare, glorificare, ringraziare Dio Padre come la sorgente dei beni
della salvezza, come Colui che «ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli in Cristo».
L’Apostolo
ringrazia e loda, ma riflette anche sui motivi che spingono l’uomo a
questa lode, a questo ringraziamento, presentando gli elementi
fondamentali del piano divino e le sue tappe. Anzitutto dobbiamo
benedire Dio Padre perché – così scrive san Paolo - Egli «ci ha scelti
prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a
lui nella carità» (v. 4).
Ciò
che ci fa santi e immacolati è la carità. Dio ci ha chiamati
all’esistenza, alla santità. E questa scelta precede persino la
creazione del mondo. Da sempre siamo nel suo disegno, nel suo pensiero.
Con il profeta Geremia possiamo affermare anche noi che prima di
formarci nel grembo della nostra madre Lui ci ha già conosciuti (cfr Ger
1,5); e conoscendoci ci ha amati. La vocazione alla santità, cioè alla
comunione con Dio appartiene al disegno eterno di questo Dio, un disegno
che si estende nella storia e comprende tutti gli uomini e le donne del
mondo, perché è una chiamata universale. Dio non esclude nessuno, il
suo progetto è solo di amore. San Giovanni Crisostomo afferma: «Dio
stesso ci ha resi santi, ma noi siamo chiamati a rimanere santi. Santo è
colui che vive nella fede» (Omelie sulla Lettera agli Efesini, 1,1,4).
San
Paolo continua: Dio ci ha predestinati, ci ha eletti ad essere «figli
adottivi, mediante Gesù Cristo», ad essere incorporati nel suo Figlio
Unigenito. L’Apostolo sottolinea la gratuità di questo meraviglioso
disegno di Dio sull’umanità. Dio ci sceglie non perché siamo buoni noi,
ma perché è buono Lui. E l'antichità aveva sulla bontà una parola: bonum
est diffusivum sui; il bene si comunica, fa parte dell'essenza del bene
che si comunichi, si estenda. E così poiché Dio è la bontà, è
comunicazione di bontà, vuole comunicare; Egli crea perché vuole
comunicare la sua bontà a noi e farci buoni e santi.
Al
centro della preghiera di benedizione, l’Apostolo illustra il modo in
cui si realizza il piano di salvezza del Padre in Cristo, nel suo Figlio
amato. Scrive: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il
perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Il
sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con
cui il Padre ha mostrato in modo luminoso il suo amore per noi, non
soltanto a parole, ma in modo concreto. Dio è così concreto e il suo
amore è così concreto che entra nella storia, si fa uomo per sentire che
cosa è, come è vivere in questo mondo creato, e accetta il cammino di
sofferenza della passione, subendo anche la morte. Così concreto è
l'amore di Dio, che partecipa non solo al nostro essere, ma al nostro
soffrire e morire. Il Sacrificio della croce fa sì che noi diventiamo
«proprietà di Dio», perché il sangue di Cristo ci ha riscattati dalla
colpa, ci lava dal male, ci sottrae alla schiavitù del peccato e della
morte. San Paolo invita a considerare quanto è profondo l’amore di Dio
che trasforma la storia, che ha trasformato la sua stessa vita da
persecutore dei cristiani ad Apostolo instancabile del Vangelo.
Riecheggiano ancora una volta le parole rassicuranti della Lettera ai
Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha
risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci
donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che
né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire,
né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà
mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore»
(Rm 8,31-32.38-39). Questa certezza - Dio è per noi, e nessuna creatura
può separarci da Lui, perché il suo amore è più forte - dobbiamo
inserirla nel nostro essere, nella nostra coscienza di cristiani.
Infine,
la benedizione divina si chiude con l’accenno allo Spirito Santo che è
stato effuso nei nostri cuori; il Paraclito che abbiamo ricevuto come
sigillo promesso: «Egli - dice Paolo - è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a
lode della sua gloria» (Ef 1,14). La redenzione non è ancora conclusa -
lo sentiamo -, ma avrà il suo pieno compimento quando coloro che Dio si è
acquistato saranno totalmente salvati. Noi siamo ancora nel cammino
della redenzione, la cui realtà essenziale è data con la morte e la
resurrezione di Gesù. Siamo in cammino verso la redenzione definitiva,
verso la piena liberazione dei figli di Dio. E lo Spirito Santo è la
certezza che Dio porterà a compimento il suo disegno di salvezza, quando
ricondurrà «al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e
quelle sulla terra» (Ef 1,10). San Giovanni Crisostomo commenta su
questo punto: «Dio ci ha eletti per la fede ed ha impresso in noi il
sigillo per l’eredità della gloria futura» (Omelie sulla Lettera agli
Efesini 2,11-14). Dobbiamo accettare che il cammino della redenzione è
anche un cammino nostro, perché Dio vuole creature libere, che dicano
liberamente sì; ma è soprattutto e prima un cammino Suo. Siamo nelle Sue
mani e adesso è nostra libertà andare sulla strada aperta da Lui.
Andiamo su questa strada della redenzione, insieme con Cristo e sentiamo
che la redenzione si realizza.
La
visione che ci presenta san Paolo in questa grande preghiera di
benedizione ci ha condotto a contemplare l’azione delle tre Persone
della Santissima Trinità: il Padre, che ci ha scelti prima della
creazione del mondo, ci ha pensato e creato; il Figlio che ci ha redenti
mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra
redenzione e della gloria futura. Nella preghiera costante, nel rapporto
quotidiano con Dio, impariamo anche noi, come san Paolo, a scorgere in
modo sempre più chiaro i segni di questo disegno e di questa azione:
nella bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature (cfr Ef 3,9),
come canta san Francesco d’Assisi: «Laudato sie mi’ Signore, cum tutte
le Tue creature» (FF 263). Importante è essere attenti proprio adesso,
anche nel periodo delle vacanze, alla bellezza della creazione e vedere
trasparire in questa bellezza il volto di Dio.
Nella
loro vita i Santi mostrano in modo luminoso che cosa può fare la
potenza di Dio nella debolezza dell’uomo. E può farlo anche con noi. In
tutta la storia della salvezza, in cui Dio si è fatto vicino a noi e
attende con pazienza i nostri tempi, comprende le nostre infedeltà,
incoraggia il nostro impegno e ci guida.
Nella
preghiera impariamo a vedere i segni di questo disegno misericordioso
nel cammino della Chiesa. Così cresciamo nell’amore di Dio, aprendo la
porta affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini,
riscaldi, guidi la nostra esistenza.
«Se
uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), dice Gesù
promettendo ai discepoli il dono dello Spirito Santo, che insegnerà ogni
cosa. Sant'Ireneo ha detto una volta che nell'Incarnazione lo Spirito
Santo si è abituato a essere nell'uomo. Nella preghiera dobbiamo noi
abituarci a essere con Dio. Questo è molto importante, che impariamo a
essere con Dio, e così vediamo come è bello essere con Lui, che è la
redenzione.
Cari
amici, quando la preghiera alimenta la nostra vita spirituale noi
diventiamo capaci di conservare quello che san Paolo chiama «il mistero
della fede» in una coscienza pura (cfr 1 Tm 3,9). La preghiera come modo
dell’«abituarsi» all’essere insieme con Dio, genera uomini e donne
animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di
potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di
servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio
del mondo.
Vorrei concludere questa Catechesi con l’epilogo della Lettera ai Romani.
Con san Paolo, anche noi rendiamo gloria a Dio perché ci ha detto tutto
di sé in Gesù Cristo e ci ha donato il Consolatore, lo Spirito di
verità. Scrive san Paolo alla fine della della Lettera ai Romani: «A
colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù
Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per
secoli eterni, ma ora manifestato mediante le Scritture dei Profeti, per
ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti, perché giungano
all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù
Cristo, la gloria nei secoli. Amen» (16,25-27).
Grazie.
Seguo con profonda preoccupazione le notizie che provengono dalla Nigeria, dove continuano gli attentati terroristici diretti soprattutto contro i fedeli cristiani. Mentre elevo la preghiera per le vittime e per quanti soffrono, faccio appello ai responsabili delle violenze, affinché cessi immediatamente lo spargimento di sangue di tanti innocenti. Auspico, inoltre, la piena collaborazione di tutte le componenti sociali della Nigeria, perché non si persegua la via della vendetta, ma tutti i cittadini cooperino all’edificazione di una società pacifica e riconciliata, in cui sia pienamente tutelato il diritto di professare liberamente la propria fede.