venerdì 15 giugno 2012

Il Sacratissimo Cuore di Gesù - Testi Patristici



 

 

San Bonaventura. Sul Sacro Cuore

Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo

(Opusc. 3, Il legno della vita, 29-30. 47; Opera omnia 8, 79) 

Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.
Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37), per divina disposizione é stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed é, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48, 28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83, 4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12, 3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2, 10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.
Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l'intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell'eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.
O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità é senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile!
Da te scaturisce il fiume «che rallegra la città di Dio» (Sal 45, 5), perché «in mezzo ai canti di una moltitudine in festa» (Sal 41, 5) possiamo cantare cantici di lode, dimostrando, con la testimonianza, dell'esperienza, che «in te é la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35, 10).

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Sant'Agostino. Omelia su Giovanni



Omelia dal Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni.

In Io. tr. 82, 1‑3; 83,1.3. PL 35, 1843‑1845.1846. 

Il Vangelo ci dice che Dio Padre è glorificato quando portiamo molto frutto e ci dimostriamo veri discepoli di Cristo; allora non facciamocene un titolo di gloria, quasi fosse da attribuire alla nostra capacita cio che abbiamo realizzato. Questa grazia viene da Dio; quindi non torna a gloria nostra, ma a gloria sua.

In un'altra circostanza il Signore dice: Cosi risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone, e subito dopo aggiunge: E rendano gloria al Padre vostro che e nei cieli (Mt 5,16). Non voleva infatti che i discepoli credessero di compiere da se tali opere.

La gloria del Padre è appunto che noi portiamo molto frutto e siamo veri discepoli di Cristo.

Ma chi ci fa cosi se non colui che ci ha prevenuti con la sua misericordia?

Noi infatti siamo opera sua. creati in Cristo Gesù per le opere buone (Ef 2, 10).

Come il Padre ha amato me. cosi anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Ecco il principio di tutte le nostre opere buone. Da dove potrebbero venire se non dalla fede che opera per mezzo della carità? E come potremmo noi amarlo, se egli non ci amasse per primo? Con estrema chiarezza sempre Giovanni ce lo insegna in una sua lettera: Noi amiamo, perché egli ci ha amato per primo (1 Gv 4,19).

Rimanete nel mio amore. In qual modo vi rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osserverete i miei comandamenti., rimarrete nel mio amore.

E' l'amore che ci mette in grado di osservare i comandamenti, oppure è la fedeltà ad osservarli che ci consente di amare? Ma chi dubita che l'amore non preceda l'osservanza? Chi non ama non ha un motivo per mettere in pratica i comandamenti. Quando Gesù ci dice: Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore., non indica ciò che fa nascere l'amore, ma quello che lo attesta. Come se dicesse: "Non crediate di rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti. Solo se li osservate, potrete rimanervi; cioè, apparirà chiaro che dimorate nel mio amore se osservate i miei comandamenti".

Questo perché nessuno s'inganni dicendo che ama Dio, mentre non fa quanto egli comanda. In altre parole, noi in tanto lo amiamo, in quanto osserviamo i suoi comandamenti; e quanto meno obbediamo ad essi, tanto meno lo amiamo.

Non è dunque per ottenere il suo amore che osserviamo quanto ci comanda: se egli non ci amasse per primo, non potremmo tradurre in atto i suoi precetti. Questa è la grazia rivelata agli umili, mentre ai superbi rimane nascosta.

Questo vi ho detto., perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Cos'è la gioia di Cristo in noi? La compiacenza ch'egli prova a rallegrarsi di noi. E cos'è la nostra gioia che egli vuole completa? Godere di stare insieme con lui. Tant'è che il Signore aveva detto a Pietro:Se non ti lavero, non avrai parte con me (Gv 13,8).

Insomma, la gioia di Cristo in noi è la grazia che ci dona, e questa grazia costituisce anche la nostra gioia.

Cristo ne fruiva fin dal principio, fin da quando in eterno ci ha eletto prima della costituzione del mondo.

Il gaudio della nostra salvezza, che da sempre lo rallegrò, perché da sempre egli lo ha conosciuto e da sempre ad esso ci ha predestinati, comincio ad abitare in noi quando egli ci ha chiamati.

Abbiamo ragione nel definire nostra questa gioia, perché un giorno ci rendera' beati. Nel frattempo essa conosce una crescita e un avanzamento continuo, tesa com'è a perseverare verso il pieno compimento. Questa gioia comincia nella fede di chi rinasce nel battesimo e toccherà il vertice nel premio di chi risorgerà alla vita eterna.

Rimaniamo ancorati al precetto del Signore di amarci gli uni gli altri, e cosi osserveremo qualsiasi altro comandamento, perché questo li racchiude tutti.

Questo amore è diverso da quello che gli uomini, in quanto uomini, si portano l'un l'altro.

Per distinguere i due atteggiamenti, il Signore soggiunge: Come io vi ho amati.

Cristo ci ama per renderci capaci di regnare con lui. Sempre questo medesimo scopo deve guidare l'amore reciproco gli uni verso gli altri in modo che esso resti ben distinto dall'affetto che di solito gli uomini nutrono a vicenda e che in realtà non è vero amore.

Invece coloro che si amano per aderire a Dio, ci riescono davvero: essi prima amano Dio, per sapersi poi amare l'un l'altro. Una tale carità non brilla fra tutti gli uomini; anzi, sono pochi quelli che si amano affinché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28).

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Dai "Discorsi" di un ignoto oratore africano dei V secolo.

Cristo parla ai suoi con misericordia, esorta con affettuosa bontà quelli che sono consacrati al suo nome: Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non sei servo, ma amico quando compi quello che io ti prescrivo. Non sei un dipendente, ma mio congiunto in amore se ti dedichi a quanto io ordino. Allora da schiavo sarai trasformato in amico, da servo in familiare; dalla zona degli estranei potrai entrare nella cerchia degli intimi. Il peccato non. ti può più bollare con il marchio di schiavo perché la mia misericordia ti ha stretto a me in amicizia.
E' stata stroncata la colpa che ti aveva ridotto nella più abietta degradazione, perché con il perdono ti ho destinato a regnare accanto a me. Cerca solo di serbare intatta la fedeltà, e con essa l'amore che corre sullo stesso filo. Siamo, tu ed io, una sola cosa. Unico perciò sia il volere di entrambi, di me che comando e di te che attui, perché pure comune ci sia il regnare nel cielo. Nascendo ho assunto io stesso l'uomo e unito con lui sono apparso in quanto Dio; tu pure, che sei uomo e mi hai ricevuto attraverso la grazia, sei stato unito a me tuo redentore e mi sarai associato in cielo, come ora mi sei unito nel mondo.

Non i tuoi meriti, ma la mia tenerezza ti ha donato l'amicizia. La mia bontà ti ha reso amabile, non certo le tue prestazioni. Non hai meritato nulla e sei mio amico. Ma comincerai a meritarlo se compirai quello che ti comando. Anzi, non potrai essermi amico se non ti dedicherai con amore a realizzare miei precetti. Per redimerti scesi in terra e tu per restare con me dovrai trasferirti in cielo. Tra gli umani amicizia e amici formano un blocco dovunque ci si stringe in comunione, essa dura finché persiste la fedeltà agli impegni presi. Insomma, togli l'amore, l'amicizia naufragherà; togli la fedeltà e gli uomini non si associeranno più. Come dall'amore spunta l'amicizia, cosi la vita comunitaria è cementata dalla fedeltà. Il tipo sprezzante non ha amici e lo sleale è bandito da ogni comunità.
Perciò tutti i santi apostoli raggiunsero il vertice dell'amicizia divina. Anche i patriarchi pervennero all'amore di Dio. Pensiamo ad Abramo che obbedì ai comandi divini, osservò i suoi precetti per cui divenne il padre dei credenti del vecchio e poi del nuovo Testamento.

Chiunque sei che discendi dalla stirpe di Abramo e ti vanti d'esserne figlio, se davvero è così, imita tuo padre. Sei l'amico di Cristo? Segui i suoi comandi per gioire della sua familiarità, conquistata con un comportamento che gli rende onore. Se un potente della terra volesse stabilirti suo erede, farti suo amico, addirittura adottarti come figlio, al colmo dell'ammirazione e dello stupore non ti voteresti corpo ed anima al suo servizio? Escogiteresti ogni forma di onore, eseguiresti puntualmente i tuoi obblighi nella tema che quello offeso cambi parere e determinazione, trasferendo ad un altro magari migliore di te, il bene che voleva concederti. Ora Dio ti ha stabilito suo erede, Cristo ti ha abbracciato come amico e per lui sei divenuto il figlio del Padre suo. Se tu sei l'erede, conserva quanto il testatore ti ha affidato. Da autentico amico dimostra che nulla può spezzare il tuo rapporto. Se sei figlio, svela in te la fisionomia paterna. Il testamento manifesta l'erede, il servizio l'amico, l'amore il figlio. Sull'onda di questi simboli, è cristiano chi ne attua gli impegni, il compiacimento per essere l'amico di Cristo deve sbocciare da questa premessa: Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. "Tu sei mio caro amico se fai quel che ti dico" sentenzia il proverbio. Tralasciare se non addirittura disprezzare il volere dell'amico in realtà è seppellire l'amicizia.

Diciamo anzitutto che hai raggiunto le stelle, o cultore di Dio. Però da dove ti proviene la fortuna di stringere amicizia con Cristo, di accedere all'intimità con il Signore? Dal merito? Non il nostro, ma quello di Cristo, è ovvio. Dalla preghiera? Il suo frutto dipende soltanto dal fatto che il Maestro è lui a presentarla al Padre. Né merito, né preghiera, né altre prerogative affini sono il retroscena di quell'entusiasmante approdo. L'unica risposta spetta alla tenerezza di Dio che ce l'ha donata tramite Cristo. Per noi lui si rivesti di un corpo mortale, portò la croce, penetrò negli inferi, risorse vincitore, ascese al cielo e ci ha accolti nella sua amicizia per pura gratuità, dicendo: Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando. In altri termini: voglio stringerti in amicizia con me, prediligerti come mio intimo, spalancarti il cuore purché tu dia ascolto alle mie richieste, tu compia quanto io esigo e ti applichi con accurata premura a ciò che ti suggerisco. D'altronde non puoi essere amato, se disprezzi; ma non sarai schernito se servi, né sarai servo obbedendo. Anzi, rinsalderai l'amicizia col mandare ad effetto i miei comandi.