Oggi, Giovedì 17 maggio, 40° giorno del Tempo Pasquale, tutte le parrocchie di Rito ambrosiano festeggiano la solennità dell’Ascensione. Ieri in Duomo, il cardinale Angelo Scola ha presieduto la celebrazione vigiliare dell’Ascensione, con cui si è aperta la decade di giorni che precede e prepara la Pentecoste. Nel corso della liturgia, secondo la tradizione della Cattedrale, il grande cero pasquale è stato innalzato fino alla volta del Duomo, quasi a raffigurare in modo plastico il mistero dell’Ascensione di Cristo
Di seguito il testo dell'omelia.
Arcidiocesi di Milano
Solennità dell’Ascensione del Signore
Messa della Vigilia
At 1,1-11; Salmello
[Cfr. Col 3,4.1; Sal 83 (84), 5]; Ef
4,7-13; Lc 24,36b-53
Duomo di Milano, 16 maggio 2012
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
1. «Si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed
essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia» (Vangelo, Lc 24,51-52).
Come è possibile che una
partenza, per giunta così singolare, generi gioia? È difficile immaginare che
una persona che se ne va lasci, come risvolto, in chi resta una pienezza.
Eppure è ciò che emerge con evidenza dalla liturgia della solennità di oggi.
Benedetto XVI ci dà una chiara spiegazione: «Ogni addio lascia dietro di sé un dolore. … La gioia dei discepoli dopo
l’Ascensione corregge la nostra immagine di tale evento. L’Ascensione non è un
andarsene in una zona lontana del cosmo, ma è la vicinanza permanente che i
discepoli sperimentano in modo così forte da trarne una gioia durevole» (Gesù di Nazaret 2, 311-312).
Il Vangelo parla non solo di
gioia, ma di gioia grande. Una gioia stabile, non in balìa dei cambiamenti
delle circostanze, né degli stati d’animo. La gioia diventa il tratto
essenziale della vita dei Suoi (cioè anche della nostra) che, proprio in forza
di questa gioia duratura, si trasformano in grati «testimoni a Gerusalemme… e fino ai confini della terra» (cf At
1,8) di Colui che ascende al cielo. Giungono fino a dare come Lui la loro vita
a vantaggio degli uomini.
2. San Luca, l’autore sia del
Vangelo che degli Atti, narrando l’episodio dell’Ascensione ci offre alcuni
elementi per comprendere meglio le ragioni di questa gioia.
Anzitutto essa deriva dal
fatto straordinario della risurrezione: Colui che era morto sulla croce, ora
vive per sempre. Il Crocifisso è Risorto e ha preso possesso della realtà
tutta. La gioia, quindi, scaturisce dall’accertamento della Sua presenza: «Egli -
proprio Lui! - si mostrò ad essi vivo,
dopo la sua passione, con molte prove» (Lettura,
At 1,3). È Gesù stesso ad
accompagnare i Suoi, e con loro anche noi, a riconoscerLo presente: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi
nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!
Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho»
(Vangelo, Lc 24,38-39). Questo nuovo modo di presenza di Gesù è “corporale”, lo si può vedere e
toccare, eppure non è sottoposto
alle comuni leggi del tempo e dello spazio.
Come si rende presente oggi il
Risorto tra noi? La Chiesa ci ha insegnato a dare il nome proprio a questa
nuova modalità di presenza e di azione di Gesù Risorto nella storia degli
uomini: la Sua è una presenza “sacramentale”. Per questo da duemila anni
celebriamo l’Eucaristia in cui, per la potenza del Suo Spirito, Gesù si offre
alla nostra libertà. Nell’incontro tra la libertà di Dio e la nostra il Signore
ci cambia. Attraverso i sacramenti fa di noi membra del Suo Corpo, la Chiesa. Solo la
presenza reale di Gesù, infatti, è capace di rinnovare l’uomo, di trasformare
il suo cuore ferito dal male proprio e altrui, di saziare la sua sete e la fame
di vita eterna. Tutta la nostra vita è investita dalla presenza sacramentale
del Signore. Per questo, per il cristiano, l’esistenza intera è vocazione: ogni
circostanza ed ogni rapporto diventano la modalità con cui il Signore ripete
anche a noi: Toccatemi e guardate, sono
proprio io! In quest’ottica ci prepariamo trepidi alla circostanza
straordinaria del VII Incontro Mondiale
delle Famiglie, benedetta dalla
presenza del Santo Padre.
In secondo luogo siamo colmi
di gioia perché la presenza del Risorto apre i nostri occhi e il nostro cuore
affinché possano comprendere il disegno buono del Padre: «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro:
“Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e
nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei
peccati”» (Vangelo, Lc 24,45-47). Cogliere a pieno il significato
degli eventi della Pasqua di Gesù, attraverso l’intelligenza delle Scritture,
trasforma giorno dopo giorno la nostra esistenza. In Lui, con Lui e per Lui noi
cresciamo!
All’origine di questa gioia si
trova, infine, il dono dello Spirito Santo. Riceviamo «la forza dallo Spirito Santo» (Lettura, At 1,8). Tutto ciò che la Chiesa è e fa non è per forza
propria. Essa vive solo in forza di questo dono, solo in forza dello Spirito
che Gesù le comunica. «Io mando su di voi colui che il
Padre mio ha promesso» (Vangelo, Lc 24,49). È lo Spirito che ci permette
di riconoscere la presenza del Risorto e la bontà del disegno del Padre su di
noi e su tutta la famiglia umana.
3. L’odierna liturgia ci
insegna che in forza dell’Ascensione «nel
Salvatore risorto e glorioso, già si trova accanto a te [al Padre] la nostra natura» (A conclusione della liturgia della Parola). Per spiegare questo mistero
San Paolo utilizza un versetto del Salmo 68: «Asceso in alto,
ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini» (Epistola, Ef 4,8).
Nell’Ascensione Gesù «portò a compimento il disegno di grazia»
(Prefazio) del Padre, l’opera della
redenzione, con la quale fece prigionieri i nemici «per essere
pienezza di tutte le cose» (Ef 4,10). L’espressione
paolina indica la
sua totale signoria sulla realtà: il Crocifisso Risorto è veramente il Signore.
Ma attraverso quale strada
Gesù è diventato il Signore? Ci risponde ancora l’Epistola: «Cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla
terra? Colui che discese [con la sua incarnazione, morte, discesa agli inferi,
cioè con il suo svuotamento] è lo stesso
che anche ascese al di sopra di tutti i cieli» (Epistola, Ef 4, 9-10). Così
il grande san Bernardo illumina la risposta di Paolo: «Cristo per la
natura divina non doveva né crescere, né ascendere, perché oltre Dio non c’è
nulla; con la sua discesa trovò come crescere, venendo a incarnarsi, a patire,
a morire, perché non morissimo in eterno: per questo Dio lo ha esaltato, per cui è risorto, è asceso, siede alla
destra di Dio. Vai e fai così anche tu. Non potrai infatti salire, se non sarai
disceso» (In Ascensione Domini, Sermo I, De evangelica Lectione).
Gesù ci ha mostrato la strada che conduce alla
signoria, cioè, alla libertà. Essere “signore” significa essere libero, non
essere schiavo di nulla e di nessuno. È la strada della consegna della propria vita
secondo il disegno del Padre, la strada del dono di sé, la strada dell’essere
presi a servizio. Questa è la legge dell’amore: lo sanno bene tutti quelli che
amano. E non può non essere, almeno come orizzonte ideale e come motore
dell’impegno personale e comunitario, anche la dinamica propria della vita
sociale e dello svolgimento di ogni compito di governo per il bene comune.
4. «Ravviva in noi il desiderio della patria eterna, dove il Signore risorto ha innalzato l’uomo accanto a
te nella gloria»: così ci farà pregare il Canto dopo
la comunione. Il cero pasquale, durante la lettura del santo Evangelo, è stato
sollevato all’altezza della volta per esprimere il nostro destino eterno. La vita eterna è la vera qualità di vita.
La cultura oggi dominante parla in continuazione di
qualità della vita e sottolinea - in mille modi - il desiderio costitutivo
del cuore dell’uomo di poter durare sempre, di essere definitivamente amato, di sapere che la morte non è l’ultima parola
su di noi, sui nostri cari, sul quotidiano affanno della nostra esistenza.
Tuttavia questa stessa mentalità dominante confonde il desiderio di permanenza
con il principio di conservazione proprio della scienza fisica, come documenta
la credenza, oggi sempre più diffusa, nella reincarnazione. Essa pretende di
prolungare indefinitamente questa
vita mortale, secondo un’idea di eternità che altro non sarebbe se non l’indefinito protrarsi di questa nostra
finita esistenza temporale. Così si spiega il culto eccessivo del corpo e la mania salutista
che caratterizzano il Nord del pianeta e gridano vendetta di fronte alla
miseria sempre crescente dei popoli del Sud.
La vita eterna non ha nulla a che fare con questa
visione illusoria della realtà. Essa inaugura l’autentica qualità di vita in
cui l’eternità si rivela come la verità definitiva di ogni cosa a cominciare dalla
nostra stessa esistenza terrena. Questa e solo questa è la speranza affidabile.
La chiediamo a Maria che già vive nel suo vero corpo nel seno della Trinità. Amen.