giovedì 24 maggio 2012

La madre di tutte le crisi




 Non ha citato le emergenze etiche, non ha ripetuto l’appello per una nuova generazione di cattolici in politica, non ha commentato la situazione sociale ed economica del Paese: si è concentrato sulla fede. Anzi sulla mancanza di fede e sul processo di secolarizzazione sempre più evidente anche in Italia, «in un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato».


È un discorso che punta all’essenziale quello che a mezzogiorno di oggi, 24 maggio, nell’aula del Sinodo, Benedetto XVI ha rivolto ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale. Il Papa ha ricordato innanzitutto il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio, invitando ad «approfondirne i testi». Ha ribadito le intenzioni di Giovanni XXIII, che voleva «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti, ma in modo nuovo» e ha definito «inaccettabile» la chiave di lettura che presenta il Vaticano II «discontinuità» «rottura» con la tradizione precedente, affermando che grazie al Concilio «la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo».


Benedetto XVI ha quindi messo in guardia dalla «razionalità scientifica» e dalla «cultura tecnica» che travalicando i loro ambiti pretendono «di delineare il perimetro delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste, e ha citato l’emergere «a volte in maniera confusa»,  di «una singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio».


La secolarizzazione avanza e «anche una terra feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto. Ne è un segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella partecipazione alla liturgia eucaristica e, ancora di più, al sacramento della penitenza». Tanti battezzati, continua il Papa «hanno smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti guardano dubbiosi alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio» solo ad alcuni grandi valori.


Il cuore dell’annuncio cristiano, ha ripetuto Ratzingter citando le parole di Papa Wojtyla «non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile». Purtroppo, ha aggiunto, «è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato dalla coscienza pubblica». Da qui deriva la «crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale».

Per far fronte a questa situazione, ha detto ancora il Papa, «non bastano nuovi metodi di annuncio evangelico o di azione pastorale». I padri conciliari del Vaticano II «da Dio, celebrato, professato e testimoniato» e non a caso approvarono come prima costituzione conciliare quella sulla liturgia. Benedetto XVI ha indicato ai vescovi italiani la necessità di «un rinnovato impulso, che punti a ciò che è essenziale della fede e della vita cristiana», spiegando che «non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della grazia; non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio».
 

Ratzinger ha ricordato che per questo scopo ha indetto l’Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre, e ha citato nuovamente il precedessore per affermare che la nuova evangelizzazione «deve essere, come insegna questo Concilio, opera comune dei Vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». Il Papa ha concluso: «Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino».
 


Al termine del suo discorso, Benedetto XVI ha recitato una sua preghiera allo Spirito Santo, nella quale tra l’altro si afferma: «Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull’abisso, aiuta l’umanità del nostro tempo a comprendere che l’esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo, e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà e la società tutta si edifica nella giustizia».
Fonte: A. Tornielli in Vatican Insider

 * * *

Pubblico di seguito il discorso del Santo Padre.





Venerati e cari Fratelli


è un momento di grazia questo vostro annuale convenire in Assemblea, in cui vivete una profonda esperienza di confronto, di condivisione e di discernimento per il comune cammino, animato dallo Spirito del Signore Risorto; è un momento di grazia che manifesta la natura della Chiesa. 
Ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco per le cordiali parole con cui mi ha accolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: a Lei, Eminenza, rivolgo i migliori auguri per la riconferma alla guida della Conferenza Episcopale Italiana. 
L’affetto collegiale che vi anima nutra sempre più la vostra collaborazione a servizio della comunione ecclesiale e del bene comune della Nazione italiana, nell’interlocuzione fruttuosa con le sue istituzioni civili. In questo nuovo quinquennio proseguite insieme il rinnovamento ecclesiale che ci è stato affidato dal Concilio Ecumenico Vaticano II; il 50° anniversario del suo inizio, che celebreremo in autunno, sia motivo per approfondirne i testi, condizione di una recezione dinamica e fedele. 
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Giovanni XXIII nel discorso d’apertura.
Egli impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi». (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). 
Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa.
La razionalità scientifica e la cultura tecnica, infatti, non soltanto tendono ad uniformare il  mondo, ma spesso travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di delineare il perimetro  delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il  potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma  morale. Proprio in tale contesto non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una  singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che  alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio. Questa situazione  di secolarismo caratterizza soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed erode quel  tessuto culturale che, fino a un recente passato, era un riferimento unificante, capace di  abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al  passaggio alla vita eterna. Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue  radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al  punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di  diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto.  Ne è un segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella partecipazione alla  Liturgia eucaristica e, ancora di più, al Sacramento della Penitenza. Tanti battezzati hanno  smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di  poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti guardano dubbiosi  alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che  hanno certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non riguardano ancora il nucleo centrale  della fede cristiana. Il Regno di Dio è dono che ci trascende. Come affermava il beato Giovanni  Paolo II, «il regno non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione,  ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio  invisibile» (Redemptoris missio, 18). 
Purtroppo, è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte  di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si  vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato  dalla coscienza pubblica. Passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al  Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo  pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso.  In questo contesto, come possiamo corrispondere alla responsabilità che ci è stata affidata  dal Signore? Come possiamo seminare con fiducia la Parola di Dio, perché ognuno possa trovare  la verità di se stesso, la propria autenticità e speranza? 
Siamo consapevoli che non bastano nuovi  metodi di annuncio evangelico o di azione pastorale a far sì che la proposta cristiana possa  incontrare maggiore accoglienza e condivisione. Nella preparazione del Vaticano II,  l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare intendeva dare risposta era: «Chiesa, che  dici di te stessa?». Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari furono, per così dire,  ricondotti al cuore della risposta: si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e  testimoniato. Non a caso, infatti, la prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia:  il culto divino orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il suo primato, plasma la  Chiesa, incessantemente convocata dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro  con Dio. A nostra volta, mentre dobbiamo coltivare uno sguardo riconoscente per la crescita del  grano buono anche in un terreno che si presenta spesso arido, avvertiamo che la nostra situazione  richiede un rinnovato impulso, che punti a ciò che è essenziale della fede e della vita cristiana.  In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un  grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento  della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte  adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli  uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio.  Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per  ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini  vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno  significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare  all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di  Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera  e plasmati dalla sua Grazia. Sant’Agostino, dopo un cammino di affannosa, ma sincera ricerca  della Verità era finalmente giunto a trovarla in Dio. Allora si rese conto di un aspetto singolare  che riempì di stupore e di gioia il suo cuore: capì che lungo tutto il suo cammino era la Verità  che lo stava cercando e che l’aveva trovato. Vorrei dire a ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare  da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. E’ dalla  relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che  abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio.  
Per questo ho voluto indire un Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre prossimo, per  riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per conoscere in modo più profondo  le verità che sono la linfa della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, ad un  rinnovato incontro con Gesù Cristo «via, verità e vita».  In mezzo a trasformazioni che interessavano ampi strati dell’umanità, il Servo di Dio Paolo  VI indicava chiaramente quale compito della Chiesa quello di «raggiungere e quasi sconvolgere  mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le  linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con  la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii nuntiandi, 19). 
Vorrei qui ricordare  come, in occasione della prima visita da Pontefice nella sua terra natale, il beato Giovanni Paolo  II visitò un quartiere industriale di Cracovia concepito come una sorta di «città senza Dio». Solo  l’ostinazione degli operai aveva portato a erigervi prima una croce, poi una chiesa. In quei segni,  il Papa riconobbe l’inizio di quella che egli, per la prima volta, definì «nuova evangelizzazione»,  spiegando che «l’evangelizzazione del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del Concilio  Vaticano II. Deve essere, come insegna questo Concilio, opera comune dei Vescovi, dei  sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». E concluse: «Avete costruito  la chiesa; edificate la vostra vita col Vangelo!» (Omelia nel Santuario della Santa Croce,  Mogila, 9 giugno 1979).
Cari Confratelli, la missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli  uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore  a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua  volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della  vita. Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi  l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e  rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino.  Come evidenzia opportunamente il tema principale di questa vostra Assemblea, la nuova  evangelizzazione necessita di adulti che siano «maturi nella fede e testimoni di umanità».  L’attenzione al mondo degli adulti manifesta la vostra consapevolezza del ruolo decisivo di  quanti sono chiamati, nei diversi ambiti di vita, ad assumere una responsabilità educativa nei  confronti delle nuove generazioni. Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare  persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento  fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché  l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita. In questo cammino  formativo è particolarmente importante – a vent’anni dalla sua pubblicazione – il Catechismo  della Chiesa Cattolica, sussidio prezioso per una conoscenza organica e completa dei contenuti  della fede e per guidare all’incontro con Cristo. Anche grazie a questo strumento possa l’assenso  di fede diventare criterio di intelligenza e di azione che coinvolge tutta l’esistenza.
Trovandoci nella novena di Pentecoste, vorrei concludere queste riflessioni con una preghiera allo Spirito Santo:


Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull’abisso,
aiuta l’umanità del nostro tempo a comprendere
che l’esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.
Spirito della Pentecoste, che fai della Chiesa un solo Corpo,
restituisci noi battezzati a un’autentica esperienza di comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.
Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno della vita e assicura l’abbondanza del
raccolto.
Amen.