giovedì 17 maggio 2012

La Chiesa, gli omosessuali e il dissenso.


Schönborn

Riporto da "La Stampa" di oggi, 17 maggio, a firma di Andrea Tornielli.
Un mese e mezzo fa aveva lasciato al suo posto nel consiglio pastorale di una parrocchia Florian Stangl, un giovane che convive con il proprio compagno. Una decisione che aveva suscitato reazioni polemiche ma anche speranze e che era stata considerata da più di qualcuno l’inizio di un cambiamento della posizione della Chiesa nei confronti dei gay. Il cardinale Christoph Schönborn, domenicano, 67 anni, allievo di Ratzinger, arcivescovo di Vienna, in questi giorni è a Roma dove ha discusso con le autorità vaticane della situazione della Chiesa austriaca. In questa intervista a La Stampa, dopo settimane di silenzio, torna a parlare della sua scelta. La difende, ma spiega al tempo stesso che l’insegnamento cattolico non cambia. E interviene anche sul dissenso che attraversa la Chiesa in Austria, anticipando le iniziative che prenderà nei confronti dei preti firmatari dell’appello alla disobbedienza

Può spiegare perché ha ratificato l’elezione di Stangl nel consiglio pastorale?

«La mia è stata una “non decisione”, ho solo deciso di non interferire con l’elezione avvenuta. È  la parrocchia che deve scegliere bene i candidati per il consiglio pastorale, in conformità con i requisiti previsti. Nel caso di cui parliamo ciò purtroppo non è avvenuto».


Lei ha incontrato Stangl. Che cosa l’ha colpita?

«Non intendo scendere nei dettagli perché le persone hanno diritto alla loro sfera privata».


Il caso ha suscitato speranze in chi auspica un cambiamento di posizione della Chiesa sui gay…

«Di fronte a casi di irregolarità, di persone che convivono, di divorziati che si risposano o di coppie formate da persone dello stesso sesso, noi pastori dobbiamo tener fermi gli insegnamenti della Scrittura e della Chiesa, non per fideismo, ma perché siamo convinti che rappresentano il cammino verso la felicità. E dobbiamo cercare di aiutare tutti a condurre una vita conforme a questi insegnamenti».


Perché allora ha deciso di non intervenire?

«Perché dobbiamo riconoscere che non solo quelli che vivono in una situazione oggettiva di disordine morale, ma noi tutti, abbiamo bisogno di perdono e di misericordia. Stiamo camminando verso una meta che riconosciamo con il cuore e la mente, ma siamo anche coscienti che ci vogliono passi di conversione e di pazienza. Non dobbiamo giustificare certe situazioni, ma chiedere un cambiamento. Come pastore ho giudicato che in quella situazione particolare, nel caso di cui parliamo, c’era un cammino in corso».


Ammetterà che si tratta di un precedente…

«Non è cambiata la posizione della Chiesa su questi temi e non si tratta di un precedente. È solo un caso particolare, come ce ne sono altri…».


La Chiesa dovrebbe dimostrare un atteggiamento più misericordioso verso gli omosessuali?

«La Chiesa ha sempre mostrato misericordia verso i peccatori, e tutti siamo peccatori. Anche se ci fissiamo soltanto su certi peccati e su certe situazioni di disordine morale, tutti noi, come cristiani, dobbiamo confessarci. Ma non c’è misericordia senza verità. Ci vuole un cammino di conversione: questo vale per i divorziati risposati ma anche per chi vive relazioni omosessuali. Bisogna aiutarli a riconoscere che il disegno di Dio non è questo e se si sentono incapaci di seguire l’insegnamento della Chiesa, che lo ammettano con umiltà, chiedendo l’aiuto di Dio, confessandosi e cercando di non peccare più. Non possiamo cambiare il suo disegno ma dobbiamo ricordare che Dio è infinitamente misericordioso con i nostri peccati».


Le associazioni gay accusano la Chiesa di avere un atteggiamento discriminatorio. Come risponde?

«La Chiesa deve seguire ciò che è rivelato nella Scrittura, ma condanna il peccato, non il peccatore. Poi ci sono le lobby, il “politicamente corretto”, gli atteggiamenti esibiti sui quali peraltro non tutti coloro che hanno inclinazioni omosessuali sono d’accordo. Un certo chiasso, una certa propaganda gay, il voler estendere nelle scuole un tipo di educazione sessuale che finisca per promuovere anche l’omosessualità… Mi chiedo: ma se questa è la normalità, perché ha bisogno di tanto chiasso? Se questa è la felicità che Dio ha voluto per l’uomo, perché c’è bisogno di tanta propaganda?».


C’è chi dice che la Chiesa oggi parli troppo di morale sessuale. Che cosa ne pensa?

«Ciò che è importante è il rapporto di amicizia con Gesù, l’incontro personale con lui. Benedetto XVI non si sofferma molto sulle questioni legate alla sessualità, ma insiste sull’amicizia con Gesù, cioè sulla fede. Mi ha colpito che durante il primo incontro con i giovani a Colonia, nel 2005, il Papa non abbia mai citato i temi legati alla sessualità. E ricordo anche che Giovanni Paolo II nel 2001 disse che tutti gli insegnamenti morali rimangono leggi esteriori e incomprensibili senza l’esperienza della fede, del rapporto con Gesù»


Nella Chiesa austriaca c’è molto dissenso, centinaia di preti hanno firmato un appello alla disobbedienza. Che cosa accadrà?

«Vorrei innanzitutto chiarire che una cosa è la “Pfarrer-Initiative” del 2006, firmata da 350 sacerdoti, un’altra è l’appello alla disobbedienza, lanciato con grande evidenza mediatica un anno fa: quest’ultimo, promosso da monsignor Helmut Schüller, è stato fatto senza preavvisare i firmatari, che erano all’oscuro. Ho subito dichiarato che non si può giocare con le parole e che l’appello alla disobbedienza è inammissibile. Come vescovi abbiamo pazientato – secondo alcuni anche troppo – e ora stiamo preparando una lettera pastorale che uscirà durante l’Anno della Fede nella quale risponderemo a tutte le questioni poste dai dissenzienti».


Il Papa li ha citati nella messa del Giovedì santo…

«Benedetto XVI in quell’omelia ci ha dato un modello di dialogo, cercando di entrare nelle loro motivazioni, di rispondere alle loro obiezioni e infine invitandoli a seguire Cristo nell’obbedienza che è un cammino di redenzione e di libertà».


E se i sostenitori della «Pfarrer-Initiative» non cedessero?

«Noi diciamo a loro: adesso è il momento di chiarire. Poi prenderemo le nostre decisioni includendo eventualmente anche dei passi che prevedono sanzioni disciplinari. Spero che non sia necessario».


Nel caso di sanzioni, l’intervento sarà vostro o della Santa Sede?
«Noi vescovi, non Roma. È un dovere che compete a noi pastori».


Come giudica il dilagare di questo dissenso, che chiede l’abolizione del celibato, il sacerdozio alle donne, i laici al posto dei preti nelle celebrazioni?

«Il movimento è diffuso, c’è persino una specie di “Guida Michelin” del dissenso, con i nomi delle associazioni nei vari Paesi. Si tratta in gran parte di sacerdoti della generazione del Sessantotto: lo dico senza alcun disprezzo, come dato anagrafico. Molti di loro soffrono, vanno rispettati e spesso sollevano problemi reali. Siamo d’accordo sulla diagnosi: c’è una crisi. Non condividiamo però la terapia. Mi sembra che abbiano in mente la situazione della Chiesa negli anni Cinquanta e Sessanta, quando era molto più forte, vivace e radicata».


Qual è la terapia giusta secondo lei?

«Una nuova riscoperta della fede che accetta di essere luce del mondo. Il vero programma di contrasto alla “Pfarrer-Iniziative” sono le tante realtà vive della Chiesa austriaca, delle quali nessuno parla: il numero crescente di famiglie giovani che vivono la loro fede nel mondo con la consapevolezza di essere una minoranza creativa; i giovani affascinati dalla spiritualità e dalla liturgia dei monasteri. Siamo stati abituati a essere maggioranza e a dire tutto su tutti: ora è il momento di riconoscerci minoranza e di testimoniare ciascuno al proprio posto, la nostra fede».