mercoledì 16 maggio 2012

Io, finta tredicenne, clandestina su Facebook



Traggo da "La Stampa" di oggi, 16 maggio, a firma di Flavia Amabile.







Tutti pazzi per Facebook, fin dalla quinta elementare se non hai il tuo profilo non sei abbastanza «figo». Se non posti le foto di tutta la tua vita e semmai anche quelle scattate in classe non sei di quelli giusti, capaci di sfidare regole e controlli e di fregarsene con un sonoro «Chissene» come ogni giorno fanno migliaia di ragazzi italiani, tutti beatamente irregolari in un social network che chiede almeno 13 anni di età ma che lascia a chiunque la possibilità di inserire l’età che preferisce e di dire «Chissene». Non è un mondo virtuale, è un mondo fotocopia di quello reale, il trionfo dell’aggiramento delle regole, dell’indifferenza verso ogni forma di avvertimento sui rischi che si corrono, della legge del più forte, della violenza verbale e psicologica, come ho scoperto in un viaggio nel mondo degli under-13 con un account falso quanto quello degli altri fingendo di avere undici anni.

Il primo a darmi l’amicizia lo chiameremo Roberto. Sono le tre del pomeriggio, lui è appena tornato a casa da scuola. Frequenta la prima media: il tempo di un pranzo veloce e si collega. Sono passate solo due ore da quando ho creato il mio profilo Facebook, anno di nascita sballato come fanno tutti, una serie di post scritti sulla mia bacheca per far capire che invece sono in prima media, felicemente irregolare come tutti quelli che contatterò.

Le regole prevedono che si debba avere almeno 13 anni. Le regole prevedono anche altro: autorizzazione se si pubblicano foto di altri, richiesta ai genitori se si tratta di minori, nessun dato sensibile di altri sui propri profili. Ma chi le rispetta?

Pochi, davvero pochi, scoprirò in questo viaggio nel mondo degli under 13, il trionfo della presa in giro delle regole con i genitori che strizzano l’occhio e spesso aiutano anche i propri figli all’ultimo gran debutto in società rimasto nel mondo 2.0 dove virtuale e reale sono un’unica realtà ma non tutti sembrano ancora averlo capito.

Di sicuro non l’hanno capito gli ultimi arrivati su Facebook, le matricole. A volte iniziano a dieci anni, a volte a undici. In genere quando arrivano in prima media il salto generazionale rispetto alle elementari viene confermato anche dall’apertura di un profilo. Una «roba» da grandi, insomma.

Roberto si sente molto grande con la sua bacheca che inizia a riempirsi di giochi dalle tre del pomeriggio in poi. Difficile capire se e quando faccia i compiti ma non mi soffermo troppo, il viaggio è appena iniziato.

Catturato il primo amico, la parte più difficile è fatta. Il secondo arriva subito dopo, basta cercare fra i suoi contatti, oltre un centinaio. Un’ora dopo ho già agganciato le mie due prime «prede». In un giorno e mezzo arrivo facilmente a una ventina, tutti di Roma. Eppure il mio è un profilo strano, diverso dagli altri: non ho foto, non ho gruppi di amici a commentare ogni mio post.

Nessuno però si pone domande. Uno di loro, decisamente più astuto degli altri, perché almeno il suo profilo ha un nome chiaramente falso, mi manda un messaggio in privato per chiedermi se ci conosciamo. Gli rispondo di no ma che sono amica di Roberto. Un secondo dopo siamo amici anche noi.

Al terzo giorno mi sposto altrove per capire se sono gli under-13 romani un po’ ingenui o se invece è una caratteristica diffusa. Riesco ad entrare in due gruppi di ragazzi di prima media, il primo torinese, il secondo del foggiano. Riconoscersi è piuttosto semplice: sono i giorni del test Invalsi: solo chi è in prima media può averlo sostenuto e commentare i post sulle prove. Lascio un po’ di esche in giro, dopo poco iniziano ad abboccare. In generale i ragazzi sono più ingenui delle ragazze. O forse sarà perché stringere amicizia con una ragazza deve apparirgli meno pericoloso. Qualcuno però che si fa domande su di me c’è. È una ragazza del foggiano, la chiameremo Luana. A un certo punto mi chiede senza troppi giri di parole: «Chi sei?». Me lo scrive sulla bacheca, e quindi è visibile da tutti. Rispondo semplicemente: «Vivo a Roma, sono in prima media. E tu?». Scompare.

La inseguo io stavolta, le spiego la stranezza del mio profilo senza foto: a scuola ci hanno detto che non si debbono pubblicare immagini proprie per evitare problemi, qualcuno potrebbe rubarle e usarle per scopi suoi. Replica con un «vabè», piuttosto disgustato. E quando le chiedo spiegazioni conclude la discussione con un «Chissene». Più chiaro di così.

Ormai sono a cinquanta giovani e ingenui amici in cinque giorni. So tutto di quello che fanno a scuola, in gita, conosco i loro volti di quando erano dei paffuti neonati o delle loro vacanze al mare. Se fossi stata un maniaco o un mercante pedofilo avrei apprezzato moltissimo le immagini in costume delle ragazze, le foto di una giovane di dieci anni in bikini sono molto quotate in certi ambienti.

Se fossi stata un manager della pubblicità con pochi scrupoli e con una sede lontana dalle città dei miei giovani e ingenui amici virtuali, avrei potuto fare man bassa di tutto quello che ho trovato e poi utilizzarlo per una campagna che solo per un caso sfortunato potrebbe capitare sotto gli occhi di chi mi ha regalato il proprio volto.

Li risparmio ma mentre continuo a navigare capito su una bacheca molto aggressiva, Lui lo chiameremo Marco, ce l’ha con un compagno di scuola. Ha riempito la sua bacheca di insulti, offese e derisioni di ogni genere di questo suo povero coetaneo anche lui su Facebook, e fra i suoi contatti, dunque perfettamente in grado di leggere e anche di commentare gli insulti rivolti a lui. Scorrendo la bacheca ad un certo punto mi fermo. Non si è limitato alle offese, ha pubblicato anche la password dell’amico.

Se fossi un pirata informatico potrei fare molte cose con quella password prima che la vittima se ne accorga. Per loro fortuna non sono nulla di tutto questo, esco da Facebook e li lascio ai loro litigi.