Se Dio è onnipotente perché esiste il male? È un interrogativo più che mai presente nella società contemporanea ed è stato al centro delle riflessioni del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, durante la seconda via crucis quaresimale celebrata ieri sera nel Duomo.
Come ricordato dal cardinale Scola nella monizione iniziale è il Catechismo a sancire che “Dio non è in alcun modo, né direttamente, né indirettamente, la causa del male” (CCC n°57). La fine di Gesù in croce, tuttavia, illumina il mistero del male, con Dio che, “nel Figlio incarnato, si carica sulle spalle il no degli uomini”.
La IV stazione – Gesù incontra la madre – è un emblema dell’autentica com-passione cristiana. “La Madre è venuta incontro al Figlio e si strugge per l’impotenza ad arrestarne il supplizio”, ha commentato l’arcivescovo di Milano.
Scola ha poi citato due grandi poeti, i cui versi immortali sono ispirati proprio alla IV stazione: Jacopone da Todi (“Figlio bianco e vermiglio”) e De Victoria (“I miei occhi sono annebbiati dalle mie lacrime: considerate, popoli tutti, se c’è un dolore come il mio”).
Indicando il quadro di Gaetano Previati, Via Crucis – Gesù incontra la madre, presente in Duomo per l’occasione, il cardinale Scola ne ha colto l’aspetto di Maria che precede la piccola compagnia che segue il Figlio, così come ogni madre è “chiamata a condurre il figlio al padre”.
Nella V stazione – Gesù è aiutato dal Cireneo – l’arcivescovo ha riflettuto sulla “straordinario privilegio di una collaborazione, benché minima, con l’opera di salvezza di Gesù”. Un incontro, quello tra Cristo e Simone di Cirene, di “assoluta gratuità ”: pur segnato dal dolore e dalla sofferenza, questo evento “apre nell’esistenza umana lo spazio della felicità ”.
L’episodio del Cireneo è un segno della com-passione che si trasforma in solidarietà , come “fattore di coesione sociale” che ci spinge fino a “farci carico del male e del dolore di coloro che non riescono a portarlo sulle proprie spalle”.
La Veronica, protagonista della VI stazione, è invece colei che riesce a riconoscere il santo volto di Gesù, “anche sotto la maschera ripugnante della sofferenza”. Proprio dietro quel volto sfigurato si cela la Bellezza, dell’“Impotente capace” (per usare un’espressione di Charles Peguy), del “Volto della misericordia”, “essenza del cuore dell’uomo, la più alta aspirazione della ragione”.
La seconda caduta di Gesù, commemorata nella VII stazione, è una conseguenza della scelta di obbedire al Padre, portando su di sé “con mite ma energica docilità , il nostro peccato”.
E se di fronte alle potenti manifestazioni del male – Scola ha citato i terremoti di Haiti e del Giappone e la “assurda tragedia” del Concordia – l’uomo è portato a “cercare un capro espiatorio”, pur di scaricare da se stesso le proprie colpe, il Figlio di Dio – innocente - accetta di essere trattato come tale.
Analogamente gli uomini, per ottenere l’autentico perdono di Dio devono riconoscere le proprie colpe, avendo la “disponibilità di espiarle”. Per questo, ha esortato il cardinale Scola, in conclusione, è opportuno, per affrontare il sacramento della penitenza, chiedere la “grazia del dolore dei nostri peccati” che non è un “semplice senso di colpa” bensì “un giudizio della ragione contrita e commossa”. (Zenit)
Di seguito il testo integrale della catechesi del Cardinal Scola.
* * *
Via Crucis con l’Arcivescovo
Per
le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5)
Sulla via della Croce (Stazioni IV-VII)
Lc
2,34-35; Mc 15,21-22; Is 53,2-3; 1Pt 2,23-24
Testi
di Jacopone da Todi, Charles Péguy, Santa Chiara di Assisi e
Giuseppe Ungaretti
Martedì
della seconda settimana di Quaresima
Monizione iniziale di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Che
rapporto c’è tra il male e Dio? Lo tocca? Lo nega? Lo lascia
indifferente? La libertà infinita di Dio “può” qualcosa contro
la libertà finita (da Lui stesso creata), se essa si indurisce in un
no? Sono domande che attraversano tutta la storia della
famiglia umana. «Se Dio è onnipotente e provvidente, perché
allora esiste il male?» si chiede il Catechismo della Chiesa
Cattolica (CCC n. 57).
Uno
cielo opaco ed opprimente sopra uno spazio desolato, remoto dalla
città degli uomini. Uno spazio spento, attraversato dalla croce che,
sola, ne segna il senso (significato e direzione). Con questa potente
immagine Previati evoca la risposta al mysterium
iniquitatis che ogni uomo, senza distinzioni, sente pesare sulla
propria vita.
Dio,
nel Figlio incarnato, si carica sulle spalle il no degli
uomini: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul
legno della croce» (1Pt 2,24). Insiste il Catechismo:
«Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente,
la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel suo Figlio,
Gesù Cristo, che è morto e risorto per vincere quel grande male
morale che è il peccato degli uomini e che è la radice degli altri
mali» (CCC n. 57).
Amici,
questa sera siamo tornati fedelmente nel nostro bel Duomo per seguire
in preghiera la via della liberazione dal male (salvezza) aperta dal
Crocifisso glorioso. Sulla via della croce - così infatti
abbiamo intitolato questa seconda tappa del nostro cammino
catechetico di Quaresima - apprestiamoci, quindi, a calcare le orme,
con il cuore pieno di affetto, dell’Innocente condannato.
Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Contempliamo Cristo che liberamente si lascia imporre la
Croce sulle spalle e con decisione inizia a percorrere la Via
dolorosa: il Santo, l’Innocente si carica del nostro dolore fino a
morirne. In questa tappa della nostra catechesi quaresimale emergono
con forza gli incontri di Gesù lungo la Via della croce: con la
Madre, con il Cireneo, con la Veronica.
IV. Gesù incontra la madre
Nella sofferenza che talora appesantisce le nostre
giornate e rende lunghe e inquiete le notti, non siamo soli: Gesù è
con noi. Ma, in qualche modo, è vero anche l’atteggiamento
reciproco: secoli di tradizione cristiana ci hanno insegnato ad
accompagnare Gesù nella Sua sofferenza. E questo perché la
com-passione, il patire-con (essere sensibile
all’altro, soprattutto alle sue sofferenze), lega, al di là di
ogni diversità , tutti gli uomini. La famiglia umana infatti ha in
Dio, lo si riconosca o meno, un unico Padre. E Gesù è in tutto,
tranne che nel peccato, uomo.
«Anche a te - dice il vecchio Simeone a Maria,
prefigurando il mistero dell’Addolorata - una spada trafiggerÃ
l’anima» (Lc 2,35). La Madre è venuta incontro al
Figlio e si strugge per l’impotenza ad arrestarne il supplizio.
«O croce, e che farai? El figlio mio torrai? E che
ce apponerai che non ha en sé peccato?»: mettendo sulle labbra
della Madonna un dialogo (che è in realtà uno straziato monologo)
con la croce, il genio di Jacopone si fa interprete di tutte le
vittime della violenza del male. “Figlio bianco e vermiglio”
così Maria inizia il suo dolcissimo compianto su Cristo. Bianco,
l’innocenza; rosso il sacrificio. Sono i colori dello stemma della
nostra città . Alla poesia di Jacopone fa eco, con insuperata
intensità , il Caligaverunt di De Victoria «I miei occhi
sono annebbiati dalle mie lacrime: considerate, popoli tutti, se c’è
un dolore come il mio».
Nel quadro di Previati la Madre precede la piccola
compagnia che segue il Figlio: anche nel momento estremo della Croce,
Maria precede anche noi, stasera, ci conduce al Signore. Maria è
veramente madre. Come fa, o dovrebbe fare, ogni madre chiamata a
condurre il figlio al padre. Compito della madre infatti è condurre
il figlio all’altro, soprattutto a suo padre.
Ogni sera, prima di dormire, impegniamoci ad affidare la
nostra persona - e in particolare la nostra vocazione – alla nostra
Madre celeste recitando un’Ave Maria, magari in ginocchio.
V. Gesù è aiutato dal Cireneo
A uno solo - e per giunta sconosciuto e straniero - è
concesso lo straordinario privilegio di una collaborazione, benché
minima, con l’opera di salvezza di Gesù. E
non importa se il suo gesto è del tutto casuale, forse anche non
voluto o, per lo meno, fatto di malavoglia: «Costrinsero
a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di
Cirene» (Mt
15,21).
Duemila anni fa in luogo sperduto della terra, un tale
che ritornava dal lavoro, probabilmente stanco e desideroso di
arrivare quanto prima a casa, cedette ad una “misteriosa
costrizione”. E da quel momento il suo nome divenne familiare a
tutti gli uomini del mondo e della storia. Ancora oggi noi ne
sentiamo parlare con precisione di dati, come si fa con un amico:
«Simone di Cirene, il padre di Alessandro e di Rufo».
«Felice colui che lo vide nel tempo, e che pure non
lo vide che una volta» (Péguy, I Misteri). Nella
gratuità assoluta della grazia dell’incontro «con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione
decisiva» (Benedetto
XVI, Deus caritas est 1) si apre nell’esistenza umana
lo spazio della felicità , anche quando quell’incontro è segnato
dal dolore e dalla sofferenza.
L’episodio del Cireneo ci dice che dalla com-passione
nasce la solidarietà . Lo vediamo bene negli aspetti decisivi della
nostra vita quotidiana: gli affetti, il lavoro, il riposo. La
“com-passione” rappresenta un fattore di coesione sociale,
può essere principio di una società giusta e umana. Ci spinge fino
a farci carico del male e del dolore di coloro che non riescono a
portarlo sulle proprie spalle.
A questi aspetti decisivi della nostra vita vuole
richiamarci il VII Incontro Mondiale delle Famiglie
impreziosito dal dono straordinario della presenza per ben tre giorni
di Benedetto XVI tra noi.
VI. Gesù incontra Veronica
Cristo è lo splendore della gloria del Padre, ci ha
testimoniato Santa Chiara, invitandoci a contemplare «l’ineffabile
carità con la quale ha voluto soffrire». Gli
occhi della Veronica la contemplarono e il suo tenero gesto di
compassione la seppe custodire. Cercando incessantemente il Suo volto
ella fu capace di riconoscerLo anche sotto la maschera ripugnante
della sofferenza, senza «apparenza
né bellezza», senza «splendore
per poterci piacere» (Is
53,2).
Qualche anno fa in Francia, a Nizza, venne proposto a
tutti gli studenti liceali e universitari un Concorso in cui si
chiedeva di rappresentare graficamente la loro immagine di Dio. Vinse
un liceale con un disegno così concepito: nella fascia alta del
foglio un cielo chiaro e nuvole illuminate da mille colori, sotto un
volto bellissimo, secondo l’ideale greco dell’uomo apollineo e
infine, nella parte inferiore del foglio, un mondo in rovina:
macerie, la devastazione dello tsunami, teatri di guerre e di
attentati, morti… con questo titolo: Dieu, le tout puissant,
incapable - Dio, l’Onnipotente, un incapace.
Invece quest’Uomo dal cui abbraccio siamo stati
attirati fin qui anche questa sera è l’esatto contrario: è l’
Impotente capace, tanto è vero che rigenera la vita. La
Bellezza – a ben vedere - è in questo volto sfigurato che ci dice
la disponibilità di Dio a dare la Sua vita per noi; o, per usare la
parola giusta, ci dice il Suo sacrificio. Il sacrificio oggettivo non
annulla il desiderio di felicità che abita nel nostro cuore. Anzi lo
compie! Per questo il sacrificio nell’esperienza del Crocifisso e
di quelli che si pongono alla Sua sequela, i martiri, si trasfigura
in Bellezza.
«Il tuo volto, Signore io cerco» (Salmo
26): il Volto dell’Impotente capace è il Volto della
misericordia. Cercare il Volto della misericordia è l’essenza del
cuore dell’uomo, la più alta aspirazione della ragione.
Come la Veronica sono migliaia i cristiani che, dalla
mattina di Pasqua fino ad oggi, si spendono personalmente in opere di
carità in tutto il mondo. Prendiamo questa sera la decisione di
donare in questo tempo di Quaresima, almeno una volta, un po’ del
nostro tempo libero, agli ammalati, agli anziani, ai carcerati, a
quanti sono soli. E ricordiamoci del gesto di solidarietà a favore
dell’Ospedale di Chirundu, in Zambia.
VII. Gesù cade la seconda volta
Nel peccato l’uomo,
ribellandosi alla dipendenza dal Creatore, si sottomette ad un altro
che lo tiene in scacco; viene soggiogato dal Maligno, insultato e
maltrattato da lui… Per liberarci dal Maligno
il Signore Gesù sceglie, obbedendo al Padre, di portare su di sé
con mite ma energica docilità , il nostro peccato: «Insultato
non rispondeva con insulti,
maltrattato non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui che giudica con giustizia»
(1Pt 2,23).
Gesù si carica della croce del nostro peccato e ne porta le
conseguenze fino a cadere sotto il loro peso). Noi invece,
tendenzialmente rimuoviamo il peccato, lo “scarichiamo” e
gettiamo su “altro” e su “altri” le sue conseguenze. Così di
fronte alle varie forme di male, di fronte a una disgrazia fisica -
penso allo tsunami, o ai devastanti terremoti di Haiti e del
Giappone, o alla assurda tragedia del Concordia… - ma ancor di più
di fronte al male morale, l’uomo è spinto a cercare un capro
espiatorio, qualcuno su cui gettare tutte le colpe, allontanandole da
sé. Del resto anche il Crocifisso fu trattato come un capro
espiatorio. È un’ultima “de-responsabilizzazione” contraria
alla verità dell’umano. Invece i nostri atti ci seguono. Senza
espiazione l’io non trova pace. Il perdono, quello di Dio, quello
autentico, esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe
e la disponibilità ad espiarle.
Le tre grandi parole della Quaresima: preghiera, caritÃ
e digiuno ci indicano la strada.
Chiediamo la grazia del dolore dei nostri peccati
preparandoci ad un’umile, completa e sobria confessione nel
sacramento della penitenza. Il dolore dei peccati non è semplice
senso di colpa, ma è un giudizio della ragione contrita e commossa.
Sottomettendoci al Suo giogo dolce e leggero saremo
risollevati dalla Misericordia che, come dice Ungaretti,
«perennemente riedifica umanamente l’uomo».
Signore Gesù,
la compassione della Tua santissima Madre,
la tenerezza della Veronica,
il sostegno del Cireneo,
non sono riusciti a evitarTi la caduta
inflitta dalle nostre colpe.
Nel Tuo Volto santo noi, peccatori,
riconosciamo la misericordia del Padre.
Concedi ai nostri cuori assetati di redenzione
il dono del Tuo Spirito.
Crea in noi un cuore nuovo,
riempilo di compassione per i nostri fratelli uomini.
Figlio a noi consegnato dal Padre, Uomo dei dolori,
esperto nel patire,
abbi di noi compassione. Amen.