mercoledì 14 marzo 2012

Il sogno giovane di Chiara




Oggi, 14 marzo, è il 4° anniversario della dipartita di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, o Opera di Maria, tra le personalità più rilevanti della Chiesa del XX secolo. Molti gli appuntamenti promossi in tutto il mondo per ricordarla e per approfondire la dottrina scaturita dal suo carisma centrato sulla preghiera di Gesù: “Che tutti siano uno”. A Roma, nel pomeriggio, alla Facoltà di Teologia Teresianum, la presentazione di un libro curato da Fabio Ciardi: “Il castello esteriore, il ‘nuovo’ nella spiritualità di Chiara Lubich”, costituito dalla raccolta di scritti del padre carmelitano, Jesus Castellano Cervera. Studioso appassionato della storia della spiritualità cristiana, p. Castellano aveva riconosciuto nel cammino spirituale proposto dalla Lubich, “ uno dei vertici e una delle sintesi della spiritualità cristiana di tutti i tempi” e una forma adeguata alle esigenze e alle domande proprie del cristiano di oggi. Ma quale aspetto l’aveva colpito di più? Adriana Masotti (Radio Vaticana) lo ha chiesto al padre Santino Bisignano, tra i relatori di questo pomeriggio.

R. – Credo che per comprendere il rapporto di Jesùs Castellano con la spiritualità dell’Opera, con Chiara in particolare, sia necessario guardare un momento alla sua vita, ancor prima di conoscere l’Ideale. Lui era colpito dalla preghiera di Gesù: “Che tutti siano uno” e come San Giovanni della Croce l’aveva imparata a memoria e la ripeteva continuamente. Anche nel giorno della sua ordinazione sacerdotale lui ha ripetuto quella preghiera. Plasmato in questo modo dalla Parola di Dio, pensò che l’incontro successivo con il Movimento non fosse altro che una risposta a queste esigenze profonde che il Signore gli aveva posto nel cuore. Quindi, ciò che l’ha colpito di più è stato esattamente l’unità, è stata la certezza che lo Spirito Santo, attraverso i vari carismi, concorre a rendere più bella - come diceva lui - la Chiesa. Ed è questo che in fondo gli ha aperto l’animo: ha sentito che la spiritualità dell’Opera nutriva la sua spiritualità di carmelitano e gli offriva nuovi spunti, nuove idee, nuove ispirazioni per poter servire la Chiesa.

D. – A proposito di cose nuove: lui era cresciuto nella spiritualità di santa Teresa d’Avila, quindi aveva ben presente il cammino spirituale proposto dalla questa santa, “il castello interiore”. La novità trovata in questo incontro con Chiara è invece quella di un “castello esteriore”….

R. – Forse possiamo ascoltare direttamente padre Jesùs nel suo scritto, dove dice che Chiara non ha elaborato una teoria sul castello esteriore, ma ha offerto una vita, un’intuizione che ha concorso ad arricchire e a farci comprendere di più la stessa Chiesa. E si rifà a due testi della Parola di Dio. L’evangelista Luca: “Il Regno di Dio è dentro di voi”; quello che ha illuminato santa Teresa nel sentire questa presenza di Dio nella vita della persona e questo cammino verso la santità con le diverse tappe della vita spirituale. L’altro testo: “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” - Matteo 18,20. Questo gli ha fatto sentire che oltre al cammino personale, c’è un cammino che facciamo come Chiesa, come corpo di Cristo, che genera una spiritualità di comunione, una spiritualità a corpo. E’ la presenza del Signore che costituisce la realtà di questo castello esteriore: la presenza del Signore che illumina e che guida. Per cui - come lui stesso sottolineerà - come santa Teresa ha mostrato le tappe del cammino spirituale, così vivendo insieme una santità collettiva, ci sono delle tappe nella vita spirituale, che poi Chiara descriverà. Il castello esteriore, scrive padre Castellano, è un’espressione del tutto nuova nella storia della spiritualità cristiana: certamente è un riferimento al castello interiore di Santa Teresa, ma porta con sé una novità che nasce dall’esperienza collettiva della spiritualità dell’unità vissuta prima di tutto da Chiara e da tutta l’Opera di Maria. Ma poi tutta la Chiesa è questo: la Chiesa nella sua organizzazione, nella sua struttura, nella sua vita. Per cui, quando Giovanni Paolo II, ha parlato della spiritualità di comunione, tutto questo ha avuto una forte risonanza in padre Jesùs Castellano e in Chiara Lubich.

D. – Possiamo dire, in conclusione, che padre Castellano ha dato molto al Movimento, ma ha dato molto anche alla Chiesa nell’aiutarla ad aprirsi ai nuovi movimenti e a capire che tra nuove realtà ecclesiali e antichi carismi ci può essere un rapporto e un reciproco arricchimento...

R. – Sì, certamente, lui era convinto di questo. Aveva una grande sensibilità verso l’azione molteplice dello Spirito: la Chiesa una e la Chiesa nella sua diversità, dove non sono le contrapposizioni, ma sono le diversità in comunione che arricchiscono. E lui si è posto al servizio dei vari movimenti. Basta vedere gli attestati al momento della sua morte, che sono venuti dalla Comunità di Bose, che sono venuti dai Neocatecumenali e da molti altri movimenti, che l’hanno sentito come un grande amico, che li ha aiutati a respirare, con una grande apertura ecclesiale, in comunione con tutti. (ap)


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Da "Avvenire" di oggi, 14 marzo, riporto a firma di Diego Andreatta.

«Eravamo alla fine degli anni Sessanta: i giovani esprimevano nuove mode, stili di vita, il desiderio di cambiare tutto e subito. Anche Chiara ci parlò di rivoluzione, ma quella dell’amore. E convinse me, come tanti altri giovani». Uno dei primi gen, Diego Goller, trentino come lei, racconta così il fascino spirituale esercitato via via da Chiara Lubich sulle giovani generazioni, alle quali volle consegnare il suo sogno di unità. Quest’impatto sempre personale, tradotto poi nella fraternità, è il filo conduttore degli incontri che in tutto il mondo accompagnano la giornata di oggi, quarto anniversario della morte della fondatrice del Movimento dei Focolari.

«Più che celebrare, vogliamo lasciarsi coinvolgere dalla grazia del suo carisma» è il tam tam focolarino che riecheggerà oggi nelle Messe in tante diocesi del mondo (a Roma alle 19 in San Pancrazio con il cardinale João Braz de Aviz , a Firenze alle 18.30 in San Marco con il cardinale Giuseppe Betori, a Milano in Sant’Ambrogio alle 21 con il cardinale Angelo Scola, a Trento alle 18 al Santissimo, a Udine alle 19 in Sant’Andrea con l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato, ad Agrigento alle 19 in Seminario, soltanto per ricordane alcune) e in momenti pubblici di confronto sul suo radicale stile di vita: ad esempio in Ungheria, dove si terrà quest’anno il Genfest, in Argentina dove parte un corso per i giovani sulla cultura dell’unità, in Kenya dove si ricorda pure il ventennale della storica visita di Chiara. Ma già domenica scorsa tanti giovani, e non solo cattolici, si sono collegati via Internet con il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo per unirsi ai 2500 partecipanti all’incontro su «Chiara e le nuove generazioni».

L’impeccabile e gioioso ritmo degli eventi focolarini è stato aperto da Silvana Veronesi, la più giovane delle «pope», le prime compagne che sotto le bombe della guerra lanciarono a Trento la spiritualità dell’unità: «Avevo 15 anni. Fu il mio professore del liceo, padre Casimiro, a farmi incontrare Gesù attraverso Chiara – ha raccontato – ricordo che lei mi disse accogliendomi in piazza Cappuccini, 2: "vieni, Silvanella, abbiamo una vita sola e dobbiamo spenderla bene, per qualcosa che non passa. E noi abbiamo capito che Dio solo non passa. Vedi, le nostre anime possono brillare come le stelle. Noi vorremmo fare una costellazione dove ogni stella è più bella perché sta insieme alle altre"».

Sul palco, introdotti dalle coreografie e dalle musiche dei complessi Gen Verde e Gen Rosso, hanno offerto brani di vita giovani come Angela e Stefano, «angeli del fango» nella Liguria alluvionata lo scorso anno o Beppe Porqueddu, paraplegico, terapista della riabilitazione: «Ho capito grazie a Chiara – ha detto – come la condizione di una persona con disabilità, ritenuta da tanti un dramma degno solo di pietismo, può essere illuminata in una nuova visione sapienziale. Questa situazione allora non solo è vivibile, piedistallo di santità, ma diventa anche occasione di trasformazione della società».

Altre voci di ex gen, come il diplomatico Pasquale Ferrara («Ho imparato ad amare la patria altrui come la mia») o il cardinale brasiliano João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, sono state raccolte al termine dalla presidente del Movimento dei Focolari, Maria Emmaus Voce: «Oggi siamo stati coinvolti interiormente dalla reciprocità che il modo di amare di Chiara ha generato nei giovani, suscitando in loro altrettanto amore, fiducia, speranza, concretezza. Sentiamoci investiti nuovamente della sua fiducia. Così potremo testimoniare la rivoluzione del Vangelo in atto, potremo essere seme di Paradiso sparso ovunque nel mondo».
«Eravamo alla fine degli anni Sessanta: i giovani esprimevano nuove mode, stili di vita, il desiderio di cambiare tutto e subito. Anche Chiara ci parlò di rivoluzione, ma quella dell’amore. E convinse me, come tanti altri giovani». Uno dei primi gen, Diego Goller, trentino come lei, racconta così il fascino spirituale esercitato via via da Chiara Lubich sulle giovani generazioni, alle quali volle consegnare il suo sogno di unità. Quest’impatto sempre personale, tradotto poi nella fraternità, è il filo conduttore degli incontri che in tutto il mondo accompagnano la giornata di oggi, quarto anniversario della morte della fondatrice del Movimento dei Focolari.

«Più che celebrare, vogliamo lasciarsi coinvolgere dalla grazia del suo carisma» è il tam tam focolarino che riecheggerà oggi nelle Messe in tante diocesi del mondo (a Roma alle 19 in San Pancrazio con il cardinale João Braz de Aviz , a Firenze alle 18.30 in San Marco con il cardinale Giuseppe Betori, a Milano in Sant’Ambrogio alle 21 con il cardinale Angelo Scola, a Trento alle 18 al Santissimo, a Udine alle 19 in Sant’Andrea con l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato, ad Agrigento alle 19 in Seminario, soltanto per ricordane alcune) e in momenti pubblici di confronto sul suo radicale stile di vita: ad esempio in Ungheria, dove si terrà quest’anno il Genfest, in Argentina dove parte un corso per i giovani sulla cultura dell’unità, in Kenya dove si ricorda pure il ventennale della storica visita di Chiara. Ma già domenica scorsa tanti giovani, e non solo cattolici, si sono collegati via Internet con il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo per unirsi ai 2500 partecipanti all’incontro su «Chiara e le nuove generazioni».

L’impeccabile e gioioso ritmo degli eventi focolarini è stato aperto da Silvana Veronesi, la più giovane delle «pope», le prime compagne che sotto le bombe della guerra lanciarono a Trento la spiritualità dell’unità: «Avevo 15 anni. Fu il mio professore del liceo, padre Casimiro, a farmi incontrare Gesù attraverso Chiara – ha raccontato – ricordo che lei mi disse accogliendomi in piazza Cappuccini, 2: "vieni, Silvanella, abbiamo una vita sola e dobbiamo spenderla bene, per qualcosa che non passa. E noi abbiamo capito che Dio solo non passa. Vedi, le nostre anime possono brillare come le stelle. Noi vorremmo fare una costellazione dove ogni stella è più bella perché sta insieme alle altre"».

Sul palco, introdotti dalle coreografie e dalle musiche dei complessi Gen Verde e Gen Rosso, hanno offerto brani di vita giovani come Angela e Stefano, «angeli del fango» nella Liguria alluvionata lo scorso anno o Beppe Porqueddu, paraplegico, terapista della riabilitazione: «Ho capito grazie a Chiara – ha detto – come la condizione di una persona con disabilità, ritenuta da tanti un dramma degno solo di pietismo, può essere illuminata in una nuova visione sapienziale. Questa situazione allora non solo è vivibile, piedistallo di santità, ma diventa anche occasione di trasformazione della società».

Altre voci di ex gen, come il diplomatico Pasquale Ferrara («Ho imparato ad amare la patria altrui come la mia») o il cardinale brasiliano João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, sono state raccolte al termine dalla presidente del Movimento dei Focolari, Maria Emmaus Voce: «Oggi siamo stati coinvolti interiormente dalla reciprocità che il modo di amare di Chiara ha generato nei giovani, suscitando in loro altrettanto amore, fiducia, speranza, concretezza. Sentiamoci investiti nuovamente della sua fiducia. Così potremo testimoniare la rivoluzione del Vangelo in atto, potremo essere seme di Paradiso sparso ovunque nel mondo».



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Di seguito una intervista apparsa sul numero 15/2010 di Tempi a Maria Voce, erede di Chiara.

Intervista a Maria Voce. I segreti e i prodigi dei focolarini spiegati dall’erede di Chiara Lubich
Un carisma che conquista anche molti non cattolici. Un movimento capace di dar vita a vere e proprie “città cristiane”, con tanto di (efficace) modello di sviluppo economico studiato nelle università.
di Valerio Pece


"Che tutti siano uno". È tutto qui il programma di vita di Chiara Lubich, di cui il 14 marzo si sono celebrati i due anni dalla scomparsa. «Per queste parole siamo nati», ripeteva. «Per l’unità, per contribuire a realizzarla nel mondo». Non è un caso se durante i suoi funerali un monaco buddista ha dichiarato: «Chiara non appartiene solamente a voi cristiani. Ora lei e il suo ideale sono eredità dell’umanità intera». Ed è così: l’unità bramata da Chiara ha contagiato tutto il mondo. Nata a Trento, l’Opera di Maria (questo il nome ufficiale del movimento dei Focolari) in poco più di sessant’anni di vita si è diffusa in 182 paesi: dall’America all’Asia, dall’Africa all’Oceania, arrivando a conquistare anche molti non credenti attratti dall’ideale dell’unità tra i popoli. Da due anni a guidare il movimento è Maria Voce. Emmaus, come l’ha “ribattezzata” Chiara Lubich. Col sorriso disarmante che sempre l’accompagna, quasi una divisa per il laborioso e solido popolo dei focolarini, rivela: «Chiara ci ripeteva che l’Opera è come un tessuto al telaio: anche se un filo cede, tutti gli altri tengono. Abbiamo un’assoluta speranza in questa rete d’amore».

Cosa significa succedere a Chiara Lubich alla guida del movimento dei Focolari? 
Sento una grande responsabilità, ma non sono sgomenta. Ho una grande pace, perché il legame tra Cielo e terra è più che mai vivo, presente. Ho l’impressione che la partenza di Chiara abbia come sigillato a lettere di fuoco ogni parola che ha detto, non posso lasciarne cadere neppure una. Così mi sento unita a lei. Continua a guidarmi, a guidarci. E poi – lo sperimento ogni giorno di più – questa è una responsabilità condivisa. Sin dal primo momento è scattata in tutti la consapevolezza che la guida del movimento non è affidata a una sola persona. L’eredità che Chiara ci ha lasciato è il carisma del “due o più”, di quell’amore scambievole vissuto con una misura senza misura per generare la presenza spirituale di Gesù da lui promessa a due o più uniti nel suo nome. È la sua luce che ci guida, la sua forza che ci sostiene. Lo constato ad ogni incontro con il Consiglio, nelle visite alle comunità sparse nel mondo. Passo passo si fa luce su quali priorità scegliere, quale impulso dare…

Dal suo amico Giovanni Paolo II Chiara Lubich ha ottenuto che a guidare i focolarini fosse sempre una donna. Perché non vada perso il “genio femminile”?
Certo, anche. Ma è la fedeltà al disegno di Dio su quest’opera, il cui inizio e sviluppo è stato da Lui affidato a una donna, che ha spinto Chiara a fare questa ardita richiesta al Papa. E anche per garantire nel futuro l’impronta primariamente laicale e mariana del movimento. Giovanni Paolo II non solo aveva esclamato: «E perché no? Anzi!», ma lui stesso ne aveva spiegato il motivo profondo, parlando del profilo mariano e carismatico della Chiesa, citando il grande teologo Hans Urs von Balthasar.

Lei è da poco tornata da un viaggio di due mesi in Oriente per visitare le comunità del Focolare in Thailandia, Giappone, Corea del Sud, Filippine e Pakistan. Ha anche avuto importanti momenti di dialogo con i buddisti. Cosa si è portata a casa?
Difficile dirlo. Ma ciò che più mi ha colpito è proprio il forte senso del sacro, la sensibilità per il divino. È forse questo il valore più prezioso della grande cultura dell’Asia. Ma non è il solo. È una cultura ricca di altre perle preziose, che in Occidente appaiono forse un po’ fuori moda: il rispetto per l’anzianità, l’ubbidienza, la laboriosità, la tolleranza, la pazienza, la capacità di sopportare situazioni dolorose gravi… Di fronte a tutto questo mi dicevo: ma se noi non portiamo un valore più grande, cosa veniamo a fare? Qual è il nostro valore più grande? Mi appariva enorme il valore dell’amore cristiano, perché è l’unico super valore che non schiaccia gli altri valori, anzi li valorizza, li mette in luce. È quindi quel valore che tutti possono accogliere senza sentirsi schiacciati, anzi, sentendosi valorizzati. L’ho sperimentato a contatto con i buddisti con cui da anni è vivo il dialogo. Di più: ci si scopre fratelli chiamati a rispondere insieme alle grandi sfide dell’oggi.

Costruire una civiltà capace di mettere in pratica il proprio pensiero è stato il sogno di tanti pensatori. Perciò le Cittadelle dei Focolari, 35 città in miniatura sparse per il mondo con case, scuole, chiese, negozi, aziende, centri d’arte, rappresentano un unicum. Loppiano, vicino a Firenze, “strega” ogni anno migliaia di visitatori. Ci parla di queste incredibili città?
È diventata realtà una intuizione di Chiara, quando ad Einsiedeln, in Svizzera, cinquant’anni or sono, guardando dall’alto di una collina il complesso di una delle abbazie che nei secoli erano state centri propulsori di civiltà, aveva “sognato” che in questo secolo sorgessero piccole città-pilota per mostrare come sarebbe il mondo se fosse regolato dalla legge dell’amore evangelico. Nelle cittadelle si tocca con mano come in questa legge attuata c’è il Dna della convivenza fraterna, possibile tra persone di ogni età, professione, credo e nazionalità (a Loppiano sono rappresentati quasi tutti i continenti); c’è la legge dello sviluppo economico e culturale, artistico, educativo. È questo che attira: la versione nell’oggi del “che tutti siano uno” e… il mondo crede.

Nella Caritas in veritate Benedetto XVI cita espressamente l’“Economia di comunione”, profeticamente pensata da Chiara Lubich quasi vent’anni fa in Brasile. 
A distanza di circa vent’anni quella che poteva sembrare un’utopia, si sta scoprendo come una risposta all’attuale crisi economica globale. Arduo darne l’idea in poche parole. Di fronte al dramma del grave divario economico ben visibile nella metropoli di San Paolo, Chiara si rivolge in modo specifico alla struttura di base dell’economia moderna: l’impresa. Non basta più che i singoli mettano in comune il superfluo (come vissuto sino ad allora nel movimento). Lo devono fare anche le imprese. L’obiettivo: un futuro senza più indigenti. Oggi sono oltre 700 le aziende produttive e di servizi che hanno raccolto questa sfida. Diventando oggetto di ricerca accademica, di convegni e di attenzione da parte dei media. È di questi giorni un ampio articolo apparso sul più importante quotidiano economico italiano. Si moltiplicano gli articoli anche negli Stati Uniti, in Inghilterra. Si sta facendo strada l’idea che anche in economia l’elemento propulsore, ciò che cambia, ciò che innova un sistema economico, è la persona umana e non sono i capitali, non è la finanza. Si esce da questa crisi, da ogni crisi, se – come ha evidenziato il Papa – la persona è capace di andare oltre il dovuto per aprirsi alla gratuità.

Alla morte di Chiara Lubich Giuliano Ferrara scrisse sul Foglio uno dei suoi articoli più intensi e tormentati. La sua “battaglia culturale” era al culmine, ma lui volle esprimere la sua ammirazione per chi, come Chiara, “scioglieva nodi” senza imporre egemonie. È un’inquietudine anche di molti cattolici: come si conciliano le due vie, quella battagliera e quella di Chiara?
Quell’articolo è stato uno dei più apprezzati! Nell’inquietudine che esprimeva, baluginava l’intuizione di una «dimensione “altra” del tempo», «tutta da studiare, tutta ancora da raccontare». Posso qui aprire solo uno squarcio di questa “esperienza altra”, andando al cuore della vita di Chiara, tutta “sostanziata di Vangelo”. Un Vangelo che cambia mentalità e stile di vita. E che perciò è contestazione del modo corrente di pensare e di agire. Una contestazione che – ed è diventato stile del movimento – si esprime più che con le parole (anche se a volte sono più che opportune), con i fatti. Non avviene attaccando direttamente qualcuno, ma vivendo la Parola di Dio immersi nella stessa realtà in cui il male si accanisce. Della Parola si sperimenta la forza creatrice che costruisce un’alternativa al male stesso: risanando con l’amore il tessuto sociale lacerato dall’odio nei tempi di guerra; innovando politica ed economia, cultura, medicina e arte; alimentando dialogo e fraternità in mezzo alla difficile convivenza tra persone di religione e credo diversi. È una contestazione “fattiva” che non soffre della scissione parola-pensiero-azione. La forza della Parola, sì, scioglie i nodi, libera dall’impotenza e dai condizionamenti, imprime il cambiamento.

Ma nell’era del secolarismo aggressivo e intollerante il “cristianesimo mite” proclamato dalla Lubich rischia di apparire quasi irreale. Come si declina la “via dei dialoghi” incardinata nel vostro carisma?
Forse non si immagina che quel “cristianesimo mite” sgorga da un grido di abbandono lanciato su una croce dal Figlio di Dio. In quel grido «sono le doglie del parto divino di noi tutti a figli di Dio». In quel grido è assunta e trasformata ogni violenza, ogni ingiustizia, ogni attacco, ogni peccato. Riconoscendovi il volto di Gesù, «aggiungiamo la nostra piccola passione alla sua passione per continuare a rigenerare, a rinnovare uomini e situazioni». Allora si è capaci di quell’amore forte che prende l’iniziativa senza attesa di ritorno, che sa mettersi nella pelle dell’altro, senza esclusioni, nemmeno del nemico. È una forza che spalanca il dialogo, tesse relazioni autentiche, sino alla reciprocità che rende presente il Risorto. Il divino diventa così “tangibile”, facendo sperimentare quella pace, quell’amore, quella luce di cui l’umanità di oggi ha così fame!

L’ultima intuizione di Chiara è Sophia, l’università diretta dal teologo Piero Coda che offre una laurea davvero particolare: Fondamenti e prospettive di una cultura dell’unità. L’unità come scienza?
L’unità non come scienza a sé, ma come paradigma di una nuova cultura in funzione della formazione integrale dei giovani, permeata non solo di scienza, ma anche di sapienza, per prepararli ad affrontare la complessità del mondo odierno. È un paradigma che compone la frammentazione dei saperi, sulla base dell’armonia tra studio e vita, tra fede e ragione, nei rapporti tra studenti e docenti. È la sperimentazione in atto a Loppiano, che fa dire al cardinale Marc Ouellet, primate della Chiesa cattolica del Canada, a conclusione di un suo intervento a Sophia: «Qui si rifonda l’idea di università». Pur in fase nascente, già suscita interesse nel mondo culturale e nella società civile in Italia e all’estero.

Come giudica il tiro al bersaglio alla Chiesa e al Papa per la questione pedofilia? 
È questa, indubbiamente, un’ora di passione, per l’intima sofferenza delle vittime, per il travaglio di chi ha inflitto questa ferita profonda, per lo scandalo provocato, per quello che è stato definito dagli stessi giornalisti «l’accanimento mediatico distorsivo» che si è trasformato in attacchi diretti al Papa, mentre è lui che per primo ha avuto l’«audacia di rompere il sistema omertoso sui preti pedofili». Ho voluto esprimere al Santo Padre la nostra vicinanza e preghiera per questi attacchi che ci appaiono come una reazione alla linea di chiarezza e fermezza che caratterizza il suo pontificato. Mi hanno profondamente toccato le sue parole la sera del Venerdì santo. Tanta stampa internazionale ha lamentato che durante la Settimana santa il Papa non abbia fatto cenno alla questione pedofilia. Che poteva dire di più? Ha aperto la sua anima: «Vogliamo accompagnare il nostro Maestro condividendo la sua passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, per la vita del mondo». Ha parlato di “insuccessi”, “delusioni”, “amarezze” «che sembrano segnare il crollo di tutto». Ma su tutto ha gettato «la luce della speranza», «la luce sfolgorante della Risurrezione che tutto avvolge e trasforma». Ed è proprio questa nuova radicalità evangelica che gli abbiamo promesso, come contributo alla Resurrezione che di certo si prepara.