sabato 17 marzo 2012

Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita

 

Celebriamo oggi 18 gennaio la IV Domenica di Quaresima - Anno "B".
L’esperienza storica del popolo d’Israele, intrecciata di fedeltà e soprattutto di ostinata infedeltà oggi ci rivela un Dio premuroso e clemente che porta avanti la storia della salvezza suscitando Ciro per ricondurre il popolo nella sua terra e ricostruire il Tempio della sua presenza. Luce per i nostri giorni tormentati, dove sembra che Dio sia stato cacciato dai cuori. 
Di seguito la seconda lettura dell'Ufficio, i testi della Messa e qualche commento.
Buona domenica, pb. Vito Valente.


Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita
Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)

Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «E' in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Dunque mettiamoci subito all'opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto»(Sal 145, 7. 8).
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Si, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
Vedremo faccia a faccia. L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Core 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all'una e all'altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all'anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
Tu replichi: Si, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Cf Is 66,10-11
Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l'amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell'abbondanza
della vostra consolazione.

 
Colletta

O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per il nostro Signore...

Oppure:
Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  2 Cr 36,14-16.19-23
Con l’esilio e la liberazione del popolo si manifesta l’ira e la misericordia del Signore.

Dal secondo libro delle Cronache

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi 
[i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re 
[dei Caldei] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».


Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 136
Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.
Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.

Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.

Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.


Seconda Lettura
  Ef 2,4-10
Morti per le colpe, siamo stati salvati per grazia.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.


Canto al Vangelo
  Cf 
Gv 3,16
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.
Lode e onore a te, Signore Gesù!

   
   Vangelo  Gv 3,14-21
Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui.


Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». Parola del Signore.


COMMENTI

1. Congregazione per il Clero


Le parole con cui la Chiesa, oggi, ci introduce nei Divini Misteri sono un invito alla gioia. Da tale invito, questa quarta Domenica di Quaresima prende il nome di “Domenica Laetare”. Nell’Antifona di ingresso, infatti, facendo proprie le parole del Profeta Isaia, la Liturgia ci dice: «Rallegrati Gerusalemme e voi tutti che l’amate riunitevi. Esultate e gioite voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza delle vostra consolazione».
Perché la Chiesa, nel pieno di questo cammino penitenziale, ci chiama a gioire? Di fronte ad un simile invito, sorge in noi la stessa domanda che, nella Divina Commedia, al canto XXIV del Paradiso, San Pietro Apostolo rivolge a Dante, dopo averlo sottoposto ad uno stupendo esame sulla virtù teologale della fede ed averlo trovato ben saldo in essa: «Questa cara gioia, sopra la quale ogne virtù si fonda – chiede l’Apostolo –, onde ti venne?».
Tutte le Letture odierne ci testimoniano la stessa risposta.
Agli uomini di Giuda, che moltiplicava le proprie infedeltà, il Signore Dio «mandò premurosamente ed incessantemente i suoi messaggeri […], perché aveva compassione del Suo popolo e della Sua dimora» (2Cr 36,15). Dalla Lettera agli Efesini, abbiamo ascoltato: «Dio, ricco di Misericordia, […] da morti che eravamo per le nostre colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (Ef 2,4-5). E l’Evangelista, infine, ci ha introdotto nel segreto del dialogo notturno di Cristo con Nicodemo: «Dio […] ha tanto amato il mondo – dice il Redentore – da dare il Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv3,15).
Di fronte alle innumerevoli infedeltà dell’uomo, davanti al suo inspiegabile “beffarsi” di quel Dio che lo ha creato per amore e che lo chiama alla vita vera, il Signore non solo non si è arreso, non solo non ha cessato di inviare messaggeri perché ammonissero il Suo popolo, ma «ha tanto amato il mondo» da riversare su di noi tutti la sovrabbondanza della Sua Misericordia, inviando il Figlio Unigenito, Colui che è presso di Lui da tutta l’Eternità. Il Padre ci ha donato, cioè, la Sua stessa Gioia! È per questo immeritato ed inimmaginabile Dono di Dio che dobbiamo esultare con tutta la Chiesa!
La gioia cristiana, infatti, non è un’idea da concepire, non è una proposta morale cui essere fedeli, ma è una Persona, Gesù di Nazareth, Figlio Unigenito del Padre e Figlio dell’uomo! Essa ci è definitivamente data e a noi sta solo l’accoglierla, colmi di ogni gratitudine verso Dio e verso la Chiesa che, da duemila anni, ci trasmette questo Dono che l’universo non può contenere, ma che in Lei continuamente vive ed opera.
Il Santo Padre Benedetto XVI, con delicata insistenza, ci sta richiamando a questa grande verità fin dall’inizio del suo Pontificato e questo messaggio ci raggiunge in modo speciale oggi, mentre ci avviciniamo al Calvario. Lì, tra poche settimane, vedremo innalzato il Figlio dell’uomo, che aprirà definitivamente le Sue braccia per accoglierci e renderci partecipi di quella Vita che trionferà a Pasqua.
Di fronte a questa incredibile iniziativa di Dio, cresce in noi quel desiderio che allarga il cuore e lo rende più capace della gioia di Dio ed aumenta anche la gratitudine verso Colei che, con il suo “fiat”, è divenuta Porta del Cielo e, così, Causa della nostra Letizia. A Maria Santissima chiediamo luce, guida e protezione, perché non ci accada di dimenticare Gerusalemme, di preferire le tenebre alla Luce, ma perché, uniti a Lei, possiamo «fare la verità», possiamo fare cioè «le opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (Ef 2,10), ed andare così verso la Luce di Cristo. Amen.


Preghiera dei Fedeli

Introduzione del celebrante
Come Nicodemo siamo venuti in questa Chiesa per incontrare Gesù. La sua parola ci invita alla fiducia e alla preghiera.

1.    O Dio Padre, che hai tanto amato il mondo da dare il tuo Figlio Unigenito, donaci di guardare a Lui per avere la vita e compiere le opere della luce,
Ti preghiamo: SIGNORE ASCOLTA LA NOSTRA PREGHIERA

2.    Ti affidiamo o Signore il prossimo viaggio del Papa a Cuba e in Messico; sostieni l’annuncio e la testimonianza dei nostri pastori, per il bene di tutto il popolo cristiano,
Ti preghiamo: SIGNORE ASCOLTA LA NOSTRA PREGHIERA 

3.    Ti preghiamo O Signore per tutti ‘i cercatori di Dio’ come Nicodemo; uscendo dall’esilio della confusione e dell’incertezza, possano ritrovarsi nella Chiesa, come promessa della nuova Gerusalemme,
Ti preghiamo: SIGNORE ASCOLTA LA NOSTRA PREGHIERA 

4.    Ti preghiamo o Signore per le famiglie e le comunità cristiane; per i giovani e i ragazzi; per tutti i catecumeni che celebreranno i sacramenti nella prossima Pasqua. Santifica o Signore la tua Chiesa,              
Ti preghiamo: SIGNORE ASCOLTA LA NOSTRA PREGHIERA

2 - .p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.
Così Dio ha amato il mondo!
Nel Vangelo di questa Domenica troviamo una delle frasi, in assoluto, più belle e consolanti della Bibbia: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Per parlarci del suo amore, Dio si è servito delle esperienze d’amore che l’uomo fa nell’ambito naturale. Dante dice che in Dio esiste, come rilegato in un unico volume, “ciò che per l’universo si squaderna”. Tutti gli amori umani – coniugale, paterno, materno, di amicizia – sono pagine di un quaderno, o faville di un incendio, che ha in Dio la sua sorgente e la sua pienezza.
Anzitutto Dio, nella Bibbia, ci parla del suo amore attraverso l’immagine dell’amore paterno. L’amore paterno è fatto di stimolo, di spinta. Il padre vuole far crescere il figlio, spingendolo a dare il meglio di sé. Per questo, difficilmente un papà loderà il figlio incondizionatamente in sua presenza. Ha paura che si creda arrivato e non si sforzi più. Un tratto dell’amore paterno è anche la correzione. Ma un vero padre è anche colui che dà libertà, sicurezza al figlio, che lo fa sentire protetto nella vita. Ecco perché Dio si presenta all’uomo, lungo tutta la rivelazione, come la sua “roccia e il suo baluardo”, “fortezza sempre vicina nelle angosce”.
Altre volte Dio ci parla con l’immagine dell’amore materno. Dice: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 15). L’amore della madre è fatto di accoglienza, di compassione e di tenerezza; è un amore “viscerale”. Le madri sono sempre un po’ complici dei figli e spesso devono difenderli e intercedere per loro presso il padre. Si parla sempre della potenza di Dio e della sua forza; ma la Bibbia ci parla anche di una debolezza di Dio, di una sua impotenza. È la “debolezza” materna.
L’uomo conosce per esperienza un altro tipo di amore, l’amore sponsale, di cui si dice che è “forte come la morte” e le cui vampe “sono vampe di fuoco” (cfr. Cant 8, 6). E anche a questo tipo di amore Dio ha fatto ricorso per convincerci del suo appassionato amore per noi. Tutti i termini tipici dell’amore tra uomo e donna, compreso il termine “seduzione”, si trovano usati nella Bibbia per descrivere l’amore di Dio per l’uomo.
Gesù ha portato a compimento tutte queste forme di amore, paterno, materno, sponsale (quante volte si è paragonato a uno sposo!); ma ne ha aggiunto un’altra: l’amore di amicizia. Diceva ai suoi discepoli: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15).
Che cos’è l’amicizia? L’amicizia può costituire un vincolo più forte della stessa parentela. La parentela consiste nell’avere lo stesso sangue; l’amicizia nell’avere gli stessi gusti, ideali, interessi. Essa nasce dalla confidenza, cioè dal fatto che io confido a un altro quello che c’è di più intimo e personale nei miei pensieri ed esperienze.
Ora, Gesù spiega che ci chiama amici, perché tutto quello che lui sapeva dal Padre suo celeste, l’ha fatto conoscere a noi, ce lo ha confidato. Ci ha messi a parte dei segreti di famiglia della Trinità! Per esempio, del fatto che Dio predilige i piccoli e i poveri, che ci ama come un papà, che ci tiene preparato un posto. Gesù dà alla parola “amici” il suo senso più pieno.
Cosa dobbiamo fare dopo aver ricordato questo amore? Una cosa semplicissima: credere nell’amore di Dio, accoglierlo; ripetere commossi, con san Giovanni: “Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi!” (1 Giovanni 4, 16).
3. - Luciano Manicardi (Bose)

La storia di salvezza è guidata dall’amore misericordioso di Dio per il suo popolo peccatore. Questa misericordia si manifesta nell’evento che segna la fine dell’esilio babilonese (I lettura), conosce il suo vertice nel dono del Figlio a un’umanità peccatrice (vangelo) e trova un suo sacramento nel battesimo: esso infatti situa il cristiano nell’orizzonte del dono incommensurabile di Dio (II lettura).
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Cristo, come dono di Dio, è sacramento e narrazione dell’amore di Dio e, nell’itinerario da Dio all’uomo, l’amore del Padre (il Donatore) diviene l’amore del Figlio (il Dono che dona se stesso) e diviene amore nell’uomo (il donatario). Il dono che Cristo è, è asimmetrico, non cerca reciprocità: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi” (Gv 15,9); “Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34): il movimento della donazione divina non diviene un circolo asfittico e chiuso nell’infernale bipolarità “io-tu, tu-io” sempre esposta al rischio della violenza e della sopraffazione, ma resta aperto a un terzo di cui tende a far fiorire la soggettività e a servire la vita. Questo dono è decentrante rispetto al Donatore e si risolve in vita del donatario. L’amore che tale dono narra non è totalitario e obbligante, non pretende gratitudine, ma rispetta la libertà e la vita dell’uomo. La salvezza, non la condanna, è il fine dell’invio del Figlio da parte del Padre (cf. Gv 3,17). Questa è l’intenzione paterna di Dio, il senso del suo amore che si esprime nel dono del Figlio. E questo agire divino è normante per la chiesa. Anch’essa è mandata tra gli uomini non per giudicarli, ma per essere segno di salvezza e per narrare loro l’unica cosa salvifica e necessaria: la misericordia di Dio. Di fronte a uomini che spesso sentono la vita come condanna, la chiesa ha il compito di narrare la misericordia divina, di fare opera di liberazione, di dare senso, respiro e vivibilità.

Il dono del Figlio è volto a dare vita, non morte, agli uomini (cf. Gv 3,16). Cristo, in quanto dono per la vita degli uomini, ha vissuto la sua intera esistenza donando la propria vita, e così ha generato alla vita, ha trasmesso e suscitato vita. E questo è culminato nella morte di croce, che Giovanni chiama “innalzamento” (3,14). Come Mosè, obbedendo al comando misericordioso di Dio, innalzò il serpente nel deserto perché chi lo guardava trovasse vita e guarigione, così l’innalzamento del Figlio dell’uomo è il compimento della misericordia divina per la salvezza dei credenti (cf. 3,14-15; Nm 21,4-9). Se nel serpente innalzato il credente era condotto a riconoscere il proprio peccato guardando in faccia il simulacro di chi lo aveva punito con i suoi morsi, nel Cristo innalzato il credente vede la misericordia di Dio che perdona i suoi peccati manifestando un amore unilaterale e universalmente salvifico.
La pro-esistenza di Cristo non ha evitato il rifiuto che gli è stato opposto. Se la salvezza è destinata a tutti, solo alcuni accedono alla fede e alla conoscenza del dono di Dio in Cristo. Tale dono può essere misconosciuto e rigettato. Ma questo rifiuto non sopprime la qualità di dono che il Cristo è e conferma che esso è a servizio della libertà del donatario. Qui si rivela che il dono di Dio – gratuito ma non neutrale – diviene appello alla fede. Non a caso la prima menzione dell’amore di Dio nel quarto vangelo (3,16) è accompagnata da cinque rimandi alla fede (o alla non-fede) dell’uomo (3,15.16.18). E la distinzione tra adesione e non adesione diviene discernimento tra luce e tenebre, tra opere fatte “in Dio” (3,21) e opere maligne (3,19: fatte nel Maligno). Questa distinzione non si situa sul piano morale e comportamentale (non si tratta di opere buone e cattive), ma designa una presa di posizione negativa di fronte all’inviato di Dio. E allora si comprende che l’unica opera essenziale secondo il quarto vangelo sia la fede. La querelle tra fede e opere è così risolta da Giovanni: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).


4. Enzo Bianchi (Bose)

Le parole del vangelo di questa domenica sono in parte parole di Gesù rivolte a Nicodemo (Gv 3,14-15), in parte una meditazione dell’evangelista su tali parole (Gv 3,16-21): esse paiono enigmatiche ma in realtà, se lette con attenzione, sono capaci di ri-velare, di alzare il velo sull’identità di Gesù e sulla sua vicenda.
 Nicodemo è un fariseo di Gerusalemme, un notabile, uno di quelli che, “vedendo i segni che Gesù faceva, credevano in lui” (cf. Gv 2,23); questo suo cammino di ricerca è però parziale, inadeguato, ed egli non è capace di giungere alla pienezza della fede. Per paura che la sua fiducia in Gesù venga scoperta da altri, egli si reca infatti da lui di notte, di nascosto (cf. Gv 3,2)… Nicodemo è ancora nella notte, e giungerà alla luce della fede solo dopo la morte di Gesù, quando andrà con grande coraggio al sepolcro dove Gesù stesso è deposto, portando con sé una quantità smisurata di olio profumato per imbalsamarne il corpo (cf. Gv 19,38-42).
 Giovanni mette innanzitutto in scena un dialogo tra due maestri, che si riconoscono tali reciprocamente: Nicodemo chiama Gesù “rabbi”, cioè “mio maestro”, e Gesù a sua volta lo definisce “maestro in Israele”. Si tratta però di un dialogo faticoso su una questione difficile, quella della possibilità di un’autentica rinascita dell’uomo. Gesù afferma che questa rinascita può avvenire solo “dall’alto” (Gv 3,3), per azione di Dio, mentre Nicodemo si chiede come è possibile che chi è vecchio ritorni nuovamente nel grembo materno (cf. Gv 3,4)… In risposta a tale obiezione, Gesù parla della forza dello Spirito di Dio, che può operare la vera rinascita (cf. Gv 3,5-8), e poi fa a Nicodemo una grande rivelazione: affinché lo Spirito sia effuso da Dio sull’umanità, occorre che lui, il Figlio dell’uomo, sia “innalzato”, come Mosè aveva innalzato un serpente di bronzo nel deserto, durante l’esodo di Israele dall’Egitto (cf. Nm 21,4-9). Guardando a quell’immagine i figli di Israele erano preservati dalla morte che li colpiva a causa dei serpenti velenosi; come il serpente era un segno di salvezza (cf. Sap 16,5-12), così dunque lo sarà il Figlio dell’uomo una volta innalzato.

 Ma cosa significa questo enigmatico essere innalzato? Significa certamente essere posto in alto, elevato da terra, e Gesù lo sarà sul legno della croce (cf. Gv 8,28); ma significa anche essere innalzato da Dio (cf. Gv 12,32), che prenderà Gesù nella sua gloria e lo farà Signore su tutto e su tutti (cf. Fil 2,9-11). Siamo pertanto di fronte a un annuncio della passione, morte e resurrezione di Gesù, fatto con le parole e lo stile propri del quarto vangelo… Ecco unite in una mirabile sintesi la croce e la gloria: la croce segna la fine della vita terrena di Gesù e, nel contempo, manifesta la sua identità di Figlio dell’uomo disceso dal cielo (cf. Gv 3,13) e poi nuovamente innalzato da Dio al cielo.
A questo punto l’evangelista, il contemplativo Giovanni, commenta per noi lettori questa rivelazione di Gesù. L’innalzamento di Gesù avviene perché “Dio ha tanto amato il mondo da dargli il suo Figlio unigenito”: come Abramo non ha esitato a offrire al Signore il suo figlio unico, l’amato, Isacco (cf. Gen 22,1-19), così Dio dona a noi uomini il suo Figlio unico e amatissimo, affinché noi abbiamo la vita in abbondanza (cf. Gv 10,10)… Di fronte agli uomini religiosi, sempre tentati di leggere l’operare di Dio come un giudizio di condanna, il vangelo assicura che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Questa è l’intenzione profonda del cuore di Dio, il quale non vuole che il peccatore muoia, ma che viva e sia salvato (cf. Ez 18,23; 33,11)! Sì, “Dio è amore” (1Gv 4,8), e sta a noi, a ciascuno di noi, pronunciare su di sé il giudizio. Come? Aderendo a questo amore, nella consapevolezza che noi tutti siamo peccatori e abbiamo bisogno di misericordia. Se invece rifiutiamo tale amore, attribuiamo a Dio il volto di un Dio perverso – magari credendo di difenderlo! – e finiamo per giudicarci da soli…
 In questo cammino verso la Pasqua, il nostro sguardo sia dunque rivolto a Gesù innalzato in croce, come ci invita a fare il discepolo amato: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37; cf. Zc 12,10). Contemplando “la verità appesa alla croce senza bellezza né splendore” – secondo le parole di un monaco medioevale – comprenderemo l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo, come lo ha compreso con fatica Nicodemo; e, finalmente convertiti, nell’alba di Pasqua giungeremo a credere in pienezza…

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COMMENTI DALLA TRADIZIONE PATRISTICA

Dai "Trattati su Giovanni" di sant'Agostino, Vescovo
(12, 10-13)
Cristo infatti discese e morì, e con la sua morte ci liberò dalla morte: morendo, ha distrutto la morte. E voi, fratelli, sapete che la morte entrò nel mondo per l'invidia del diavolo. La Scrittura afferma che Dio non ha fatto la morte, né gode che periscano i viventi. Egli creò ogni cosa perché esistesse (Sap 1, 13-14). Ma per l'invidia del diavolo - aggiunge - la morte entrò nel mondo (Sap 2, 24)L'uomo non sarebbe giunto alla morte propinatagli dal diavolo, se si fosse trattato di costringervelo con la forza; perché il diavolo non aveva la potenza di costringerlo, ma solo l'astuzia per sedurlo. Senza il tuo consenso il diavolo sarebbe rimasto impotente: è stato il tuo consenso, o uomo, che ti ha condotto alla morte. Nati mortali da un mortale, divenuti mortali da immortali che eravamo. Per la loro origine da Adamo tutti gli uomini sono mortali; ma Gesù, figlio di Dio, Verbo di Dio per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, Figlio unigenito uguale al Padre, si è fatto mortale: il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 3 14).
[La morte è stata ingoiata nel corpo di Cristo.]
 Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 14-15)Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia. Ma ascoltino anche quelli che non hanno letto l'episodio, e quanti che, pur avendolo letto o ascoltato, lo hanno dimenticato. Il popolo d'Israele cadeva nel deserto morsicato dai serpenti, e l'ecatombe cresceva paurosamente. Era un flagello con cui Dio li colpiva per correggerli e ammaestrarli. Ma proprio in quella circostanza apparve un grande segno della realtà futura. Lo afferma il Signore stesso in questo passo, sicché non è possibile dare di questo fatto un'interpretazione diversa da quello che ci indica la Verità riferendolo a sé. Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9). Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente. Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare? Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? (1 Cor 15, 55). Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo crocifisso; poiché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Come coloro che volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. E mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto: affinché abbia la vita eterna. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa: che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna.
 Poiché Dio non mandò suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 17)Dunque il medico, per quanto dipende da lui, viene per guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è venuto nel mondo: perché è stato chiamato Salvatore del mondo, se non perché è venuto per salvarlo, e non per giudicarlo? Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso. Che dico: ti giudicherai? Ascolta: Chi crede in lui non è giudicato; chi invece non crede... (e qui cosa ti saresti aspettato se non: viene giudicato? ma dice:) è già stato giudicato. Il giudizio non è stato ancora pubblicato, ma è già avvenuto. Il Signore infatti sa già chi sono i suoi (2 Tim 2, 19)sa chi rimane fedele fino alla corona e chi si ostina fino al fuoco dell'inferno; distingue nella sua aia il grano dalla paglia; distingue la messe dalla zizzania. Chi non crede è già stato giudicato. E perché è stato giudicato? Perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (Gv 3, 18).
[L'opera tua e la creazione di Dio.]
 Il giudizio, poi, è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Fratelli miei, chi il Signore ha trovato che avesse al suo attivo opere buone? Nessuno. Ha trovato solo opere cattive. Come hanno potuto, allora, taluni operare la verità e venire alla luce? Così infatti prosegue il Vangelo: Chi, invece, opera la verità, viene alla luce, affinché sia manifesto che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 19 21)Come mai alcuni hanno operato in modo tale da poter venire alla luce, cioè a Cristo, mentre altri hanno amato le tenebre? Se è vero, infatti, che il Signore ha trovato tutti peccatori e tutti deve guarire dal peccato, e che il serpente in cui fu prefigurata la morte del Signore guarisce quanti erano stati morsicati; se è vero che a causa del morso d'un serpente fu innalzato il serpente, cioè morì il Signore per gli uomini mortali che egli aveva trovato peccatori, in che senso bisogna intendere la frase: E' questa la ragione del giudizio: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie? Che significa? Chi aveva al proprio attivo delle opere buone? Non sei forse venuto, o Signore, per giustificare gli empi? Se non che tu dici: Hanno amato più le tenebre che la luce. E' questo che ha voluto far risaltare. Molti hanno amato i loro peccati, e molti hanno confessato i loro peccati. Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d'accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L'uomo e il peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. E' necessario che tu detesti in te l'opera tua e ami in te l'opera di Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla luce. Cosa intendo dire dicendo: operi la verità? Intendo dire che non inganni te stesso, non ti blandisci, non ti lusinghi; non dici che sei giusto mentre sei colpevole. Allora cominci a operare la verità, allora vieni alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono state fatte in Dio. E infatti il tuo peccato, che ti è dispiaciuto, non ti sarebbe dispiaciuto se Dio non ti avesse illuminato e se la sua verità non te l'avesse manifestato. Ma chi, dopo essere stato redarguito, continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo redarguisce, e la fugge, affinché non gli vengano rinfacciate le sue opere cattive che egli ama. Chi, invece, opera la verità, condanna in se stesso le sue azioni cattive; non si risparmia, non si perdona, affinché Dio gli perdoni. Egli stesso riconosce ciò che vuole gli sia da Dio perdonato, e in tal modo viene alla luce, e la ringrazia d'avergli mostrato ciò che in se stesso doveva odiare. Dice a Dio: Distogli la tua faccia dai miei peccati. Ma con quale faccia direbbe così, se non aggiungesse: poiché io riconosco la mia colpa, e il mio peccato è sempre davanti a me?(Sal 50, 11 5). Sia davanti a te il tuo peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio. Se invece ti getterai il tuo peccato dietro le spalle, Dio te lo rimetterà davanti agli occhi; e te lo rimetterà davanti agli occhi quando il pentimento non potrà più dare alcun frutto.