domenica 25 dicembre 2011

Veni ad salvandum nos!




Buon Natale! Di seguito la seconda lettura dell'Ufficio, i testi della Messa del giorno
e il messaggio "Urbi et Orbi" del Santo Padre.


* * * 


Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193)


Riconosci, cristiano, la tua dignità

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. 
Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro.Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.



MESSALE
Antifona d'Ingresso  cf. Is 9,5
E' nato per noi un bambino,
un figlio ci è stato donato:
egli avrà sulle spalle il dominio,
consigliere ammirabile sarà il suo nome.


Colletta

O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, f
a' che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...
 

LITURGIA DELLA PAROLA


Durante la recita del Credo, al “Per opera dello Spirito Santo”... e nel credo in latino: “Et incarnátus est”, ci si genuflette. 


Prima Lettura  
Is 52,7-10
Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio
 

Dal libro del profeta Isaia
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.


Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 97
Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

 
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Seconda Lettura   Eb 1,1-6
Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.
Dalla lettera agli Ebrei  Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».


Canto al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Un giorno santo è spuntato per noi:
venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra.

Alleluia.

  

Vangelo
  Gv 1,1-18 [forma breve Gv 1,1-5.9-14]
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.


Dal vangelo secondo Giovanni
   
[
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
]
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
[Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
 ]
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato. Parola del Signore.



* * *


MESSAGGIO URBI ET ORBI
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
NATALE 2011



Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!
Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.
Così lo invoca un’antica antifona liturgica: “O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio”. Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).
Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa “Salvatore” (cfr Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cfr Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: “Veni ad salvandum nos! - Vieni a salvarci!”.
Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr Est [greco] 10,3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.
Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione (cfr Es 3,7-12). La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione.
Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: “Vieni a salvarci!”. Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce.
Insieme invochiamo il divino soccorso per le popolazioni del Corno d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvolta aggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità internazionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi provenienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità.
Il Signore doni conforto alle popolazioni del Sud-Est asiatico, particolarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravi situazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni.
Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggiando la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi. Faccia cessare le violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca la piena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni un rinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le componenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali.
La nascita del Salvatore sostenga le prospettive di dialogo e di collaborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Natale del Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africana dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudan per la tutela dei diritti di tutti i cittadini.
Cari fratelli e sorelle, rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlemme: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli con fiducia e speranza: “Veni ad salvandum nos!”.


* * *


1960, Olio a spatola su masonite 
  Omelia di Enzo Bianchi, 25. XII. 2011
Cari amici,
voi siete certamente consapevoli che i grandi misteri della nostra fede – innanzitutto la resurrezione di Gesù, quindi la sua natività e anche la sua trasfigurazione gloriosa – sono celebrati da noi cristiani nella notte: la veglia pasquale, la santa notte di Natale, la gloriosa notte della trasfigurazione.
Perché in quest’ora in cui gli uomini abitualmente si riposano o addirittura dormono, noi invece celebriamo i nostri santi misteri? Perché noi cristiani amiamo tanto le ore della notte per celebrare la nostra comunione con il Signore? Certamente perché nella notte abbiamo più capacità di concentrazione, siamo meno distratti. Ma io credo che noi cristiani ci esercitiamo nella notte ad attendere – attendere la salvezza, attendere qualcuno che amiamo –, e dunque vegliamo nella notte, per restare vigilanti, per essere pronti ad accogliere il Veniente. Significativamente la chiesa ha sempre chiesto che i cristiani precedessero l’aurora; che i monaci, in particolare, nella notte fossero capaci di interrompere il sonno, per pregare, per mettersi davanti al Signore nella gratuità di un gesto che non solo non è chiesto, ma che magari può essere faticoso.
Ma c’è soprattutto un’altra ragione per il nostro vegliare nella notte: nella notte noi cantiamo il nostro desiderio della luce. Vivere la liturgia nella notte è fare una battaglia contro la tenebra. Noi affermiamo che crediamo al giorno, che crediamo al nuovo Sole che spunta dall’alto, alla Luce radiosa senza tramonto, alla Stella del mattino. Non a caso tutti i nomi dati a Cristo dai profeti e dalla chiesa nascente evocano la luce. Noi uomini in realtà siamo tutti cercatori di luce, siamo tutti dei ciechi che abbiamo bisogno della luce, siamo creature sempre avvolte nelle tenebre. E anzi, più camminiamo verso la luce, più ci rendiamo conto delle tenebre che ci avvolgono.

È anche significativo che in questi giorni in cui le notti sono le più lunghe dell’anno, all’interno della nostra cultura, che è pur sempre una cultura ispirata dal cristianesimo e dai suoi misteri, noi accendiamo molte luci, molte stelle luminose, vogliamo addirittura che le piante siano luminose, che le nostre città siano ornate da luci. Anche questo è molto bello e non dobbiamo ripudiarlo come se fosse semplicemente qualcosa che riguarda gli andamenti delle mode e dei consumi. Perché anche questo dice che noi abbiamo bisogno di luce, che la luce è per noi vita, che la luce ci è necessaria per poter camminare in una direzione. Che cosa è la luce, se non ciò che può toglierci dal nostro disorientamento? Perché la luce è sempre oriente, è sempre «Oriens ex alto» (Lc 1,78) che ci precede: la luce che cantiamo ogni mattino nel Benedictus, la luce che cantiamo in questo tempo di Natale, ma soprattutto in questa notte.
Per questo la Scrittura ci parla di una grande luce che è sorta per le regioni che erano state colpite dall’oppressione babilonese: è a quelle terre di Zabulon e di Neftali che il Signore promette che sorgerà una grande luce (cf. Is 8,23-9,1). Per questo il Vangelo ci parla di luce sulla grotta di Betlemme, quella luce che ha avvolto i pastori – ci dice Luca – nel momento stesso in cui accoglievano l’annuncio dell’angelo (cf. Lc 2,9). C’è stata una luce su quella grotta anche quando giunsero i magi da terre lontane (cf. Mt 2,2.9-10). Ma quella luce che hanno visto i pastori, quella luce che hanno visto i magi, a che cosa serviva, a che cosa faceva segno? In realtà portava i pastori e portava i magi soltanto a contemplare un evento umano: una donna che partorisce un figlio, una donna anonima che nessuno conosceva, giunta per caso a Betlemme, talmente non riconosciuta da non aver nemmeno trovato un posto per partorire nel caravanserraglio; un bambino che doveva ancora ricevere un nome, un infante. Tanta luce per vedere un bambino appena nato, per contemplare un fatto che avveniva da secoli e che avverrà finché c’è l’umanità: una madre che genera un figlio. Questo è ciò che hanno visto i pastori, ciò che hanno visto i magi, ciò che possiamo vedere noi, andando alla grotta di Betlemme.

È vero, c’è anche la rivelazione degli angeli che indica che quel bambino è il Figlio di Dio, il Salvatore, il Messia, il Signore (cf. Lc 2,10). Certamente gli angeli rivelano l’identità profonda di quel bambino, ma al vederlo non c’è nulla di straordinario, nulla che lo testimoni, nulla che possa raccontare la qualità di quel bambino. La qualità di Figlio di Dio va comunque contemplata in un semplice uomo senza gloria e senza splendore, in un bambino avvolto in fasce in una greppia. L’angelo li ha mandati a vedere questo: non hanno visto nulla di straordinario, e soprattutto non hanno vista nulla di religioso. Che cosa c’è di più umano di un bambino? Lo siamo stati tutti noi, e in qualche misura, sappiamo che nella vecchiaia ritorneremo un po’ bambini: per l’impotenza, per la fragilità avremo bisogno che altri ci accudiscano, come quando siamo nati. È l’uomo, siamo ciascuno di noi.
Quel bambino non poteva parlare, non poteva imporre nulla, non poteva imporsi. Questo è il mistero vero del Natale che sta davanti a noi. E il cristianesimo è proprio la religione che, a differenza di tutte le altre, ci dice che un uomo, nient’altro che un uomo, deve essere da noi colto come un figlio di Dio, come una parola di Dio fatta carne (cf. Gv 1,14). E un uomo è sempre qualcuno che attende la nostra presenza, il nostro sguardo come dono. Noi questa sera dovremmo sentire quella voce che ci ha accompagnato lungo tutto l’Avvento e che ci accompagnerà anche nel tempo di Natale: «Io sto alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e mi apre, io starò con lui e lui con me» (cf. Ap 3,20). Chi lo dice? Chi è colui che dice di stare alla porta? È il bambino di Betlemme? È il Gesù che passava sulle strade di Galilea? È il Signore veniente nella gloria? Sì, ma perché noi riconosciamo il bambino di Betlemme, il Gesù che passa sulle strade di Galilea, il Veniente nella gloria in quanto vivo e risorto, dobbiamo ancora e sempre guardare semplicemente un volto, un uomo che sta davanti a noi. Il Natale ci chiede questo.
C’è un detto di Gesù che, anche se non è entrato nelle Scritture canoniche, esprime bene ciò che Gesù ci ha insegnato: «Hai guardato in faccia un uomo? Hai visto Dio». Il Natale ci ricorda questo mistero.