sabato 27 agosto 2011

La Bellezza che mantiene le promesse


Riporto da "La Bussola Quotidiana" di oggi 27 agosto

di Luigi Codemo


Baceno, chiesa di San Gaudenzio

In molti dipinti che rappresentano la scena del peccato originale, vediamo Eva porgere la mela ad Adamo, mentre il serpente si rivolge ad Eva assumendone le sembianze, il volto, il medesimo profilo, gli stessi capelli. È un modo geniale per descrivere il peccato. Eva pensa di potersi specchiare nelle parole e nelle promesse del serpente. Pensa di poter riconoscere se stessa nelle illusioni create dal peccato. È convinta di aver trovato il meglio per sé, di poter ricevere il centuplo. Ne è così convinta da volerlo condividere con la persona che ama.

Queste raffigurazioni del peccato originale avvertono che il peccato non si presenta mai per quello che è, ma appare sempre sotto le mentite spoglie di una promessa di bene. Il peccato, infatti, è qualcosa che appare bello, ma non mantiene la promessa.
Il serpente del giardino dell’Eden non crea e non offre nulla, ma perverte tutto: fa apparire la dedizione di Dio per l’uomo come un volontà di dominazione; fa passare come un possedimento da reclamare il dono gratuito della vita; fa credere che Dio sottragga gelosamente il tesoro della propria divinità.

Da allora, la storia degli uomini vede Dio smentire, pazientemente e tenacemente, il sospetto gettato dal serpente. La storia dell’alleanza è la memoria che testimonia la fedeltà di Dio alla parola data; è la testimonianza che quanto detto da Dio non è flatus vocis, un suono vuoto, non è dare aria alla bocca. Dio non si nasconde dietro le parole, ma si consegna in esse.

Se leggiamo il Magnificat (Lc 1,46-55) vediamo che Maria, nuova Eva, abbraccia con lo sguardo tutta la storia di Israele: di generazione in generazione, Dio si mostra affidabile perché fedele alla propria parola. Ora, i Vangeli aggiungono questa novità: il Verbo si è consegnato nella storia fino a farsi lui stesso storia, fino a farsi carne (Gv 1,14).

File:Hans Memling Passione 6.jpg


Il fatto è che gli uomini non accolgono questo Dio che si consegna. C’è un dipinto di Memling, conservato nella Galleria Sabauda, che lo mostra in modo emblematico. Vi si vede Gerusalemme, come in uno spaccato. In questo scenario, si compiono le singole tappe di passione, morte e risurrezione di Gesù. Tutti cercano di sbarazzarsi di Dio: Giuda, con il tradimento, consegna Gesù alle guardie, le guardie lo consegnano al Sinedrio, il Sinedrio lo consegna a Pilato, Pilato lo consegna a Erode, Erode lo consegna nuovamente a Pilato, e infine Pilato dopo aver fatto flagellare Gesù lo consegnò perché fosse crocifisso (Mc 15,15). La croce, infine, spalancò le braccia.

La croce che doveva mostrare la potenza dell’antico serpente, in realtà, lo smentisce. Dimostra che Dio non ha alcun «tesoro geloso» (Fil 2,6) da nascondere all’uomo. Ogni sospetto non ha più motivo di essere. Gesù consegna la sua vita all’opera che il Padre gli ha affidato e non recede dalla comunione con i suoi. La Parola incarnata mostra sulla croce la propria verità, mostra una forza elenctica, che è come dire che anche a contraddirla, a negarla fino a spergiurare, a bestemmiare, a sfigurarla, non cede, anzi, mostra ancor più la propria forza. Forza che non è rimasta solo quella di un ragionamento, di una parola ben detta, di una nobile testimonianza: l’evento della Risurrezione l’ha resa vera, ovvero pienamente adeguata alla promessa. Primizia degna della nostra speranza.

Ascoltare Dio significa quindi accoglierlo. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Ed accoglierlo non significa solo vivere il messaggio di Cristo, ma vivere Cristo, vivere della compagnia della sua Persona. È il volto di Dio quello che appare nel volto di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto. In questo volto ogni uomo può specchiarsi e vedere ciò a cui è destinato. Può riconoscere la bellezza che mantiene la promessa.