domenica 31 luglio 2011

Se sei Tu, chiamami...






In Cristo, Parola definitiva della sua rivelazione,
Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno:
egli ha detto all'umanità chi è.
E questa autorivelazione definitiva di Dio
è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria.
Essa non può non proclamare il vangelo,
cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso.


Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5.


Di seguito il testo del Vangelo di oggi, 1 Agosto, lunedi della XVIII settimana del Tempo Ordinario, con un commento, un testo del Magistero e una pagina di san Bruno, fondatore dei Certosini. Buona giornata.



Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-36.

Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava gia qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret.
E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.

IL COMMENTO

La fede è un cammino di verità. La domanda-richiesta di Pietro è la stessa che risuona nel fondo di ciascuno di noi. Pietro è voce della Chiesa intera, portavoce della questione decisiva. Se sei tu... come dire, chi sei Signore, puoi davvero camminare sulle acque? Sei un fantasma, un'illusione, un'invenzione? E' la domanda che sorge prepotente di fronte agli eventi della storia, quelli che accolgono il cammino della Chiesa, come quelli che ci attendono nel dipanarsi dei giorni. E' la domanda che percorre tutto il Vangelo, che ha affaticato cuore e menti dei teologi, dei Pastori, di ogni cristiano durante i secoli, sino ad oggi. E' la domanda che risuona nei territori di missione, in Asia come in Africa, soprattutto laddove l'annuncio del Vangelo sembra sbattere contro un muro di indifferenza che spesso si fa ostilità e atroce persecuzione.
Si tratta di una domanda seria, quella di una sposa innamorata che vuol conoscere il suo sposo. Ma può nascondere la tentazione più grande, quella capace di minare i fondamenti della fede e spegnere lo zelo abortendo la missione alla quale la Chiesa è chiamata. Una domanda subdola, la stessa affiorata sulle labbra del tentatore, all'inizio e al culmine della missione di Gesù, tra il deserto ed il Golgota: se sei Figlio di Dio... Se sei tu... Domanda ineludibile, crocevia fondamentale nel cammino della Chiesa e di ciascuno di noi. La conversione quotidiana cui siamo chiamati passa attraverso lo "scrutinio" di questa domanda. Rispondervi è questione di vita o di morte, per la Chiesa, per noi, per il mondo.

La Chiesa sorge dall'effusione dello Spirito Santo: essa vive, si muove, compie la sua missione per l'ordine perentorio del Signore di precederlo all'altra riva, sintesi di quelle che saranno le ultime parole consegnate agli apostoli in Galilea, prima di ascendere al Cielo: "Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo... Ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo". La barca solca il mare nella notte oscura della storia, del male e del peccato: il vento è contrario e increspa il mare di onde minacciose. Una parola di Gesù e la barca è salpata, da duemila anni, giorno dopo giorno, tra persecuzioni, incomprensioni, rifiuti e martiri. E Gesù è lì, e cammina accanto ad essa: è con i suoi discepoli ogni giorno mostrando l'autentico cammino, orme invisibili sul mare del nuovo e definitivo esodo che conduce l'umanità dall'Egitto della corruzione alla Terra del Regno di Dio, l'eterna libertà nella pienezza dell'amore di Dio. La barca e Gesù, un unico e identico destino, la stessa missione, l'una incarnazione visibile del Verbo eterno risuscitato dalla morte.

Ma Pietro, e la Chiesa, e ciascuno di noi, portiamo le ferite del peccato, la debolezza estrema di una carne che appesantisce il cammino. La debolezza sbatte sul legno della Croce, e le difficoltà, le sofferenze, il male, la zizzania, i tradimenti, i peccati, il corso precario e tumultuoso degli eventi innescano, inevitabile, la domanda: è tutto vero o è pura fantasia? Come Israele, nel deserto, ha tentato di darsi un immagine, potente e rassicurante, di Dio, pur avendo sperimentato tante volte la sua presenza attraverso il suo stesso agire. Sei tu Signore che cammini sulle acque della morte, in mezzo a questo matrimonio che fa acqua, a questa missione che non sembra dar alcun frutto, in questo ufficio che è una routine insopportabile, tra queste bollette che non riesco a pagare, tra i sorrisi beffardi e il rifiuto di chi mi sta intorno? Sei tu che cammini sui miei fallimenti? Se sei tu chiamami, che abbia un sigillo, qualcosa che mi tolga il dubbio dal cuore. Chiamami Signore!

E Gesù chiama Pietro, e chiama da venti secoli la sua Chiesa, e oggi anche ciascuno di noi. Nella sua misericordia stende di nuovo il suo braccio, schiude le labbra e ci dice, anche ora: "Vieni!". E, come Pietro, come i suoi successori, come la teoria infinita di santi, conosciuti e sconosciuti, andiamo, ancora una volta obbedendo ad una sua Parola, e camminiamo, come Lui, sulla morte. Ma non basta. Occorre sperimentare la verità. Pietro, per essere Pastore universale, deve scendere al fondo di se stesso e scoprire che, la domanda fondamentale, l'unica che schiuda alla rivelazione sull'autentica identità di Gesù, è la domanda che riguarda se stesso, è conoscere sino in fondo chi sia lui, Simone figlio di Giona. E non basterà quella volta sul mare di Galilea, non basterà quando, proprio dopo aver professato la fede in Gesù Messia e Figlio di Dio, si sentirà apostrofato "satana" da Gesù. Pietro dovrà scendere ancora, e scoprire sino in fondo il suo cuore adultero, traditore, apostata, complice dell'assassinio di Cristo; lui, che credeva di non abbandonare mai quel profeta galileo che tanto amava. E, al capolinea della propria miseria l'incontro decisivo, quella mano tesa, la misericordia infinita. Nella sua debolezza la potenza di Cristo, nello svelarsi dell propria realtà Pietro ha conosciuto Gesù, l'amore di Dio fatto carne, tanto grande da polverizzare il peccato e la morte.

Il cuore del Vangelo di oggi è dunque l'affondare di Pietro nella sua paura: è in questo momento che cominciano ad aprirsi i suoi occhi sulla propria debolezza. Solo quando avrà conosciuto sino in fondo se stesso comprenderà che davvero nulla può senza Gesù; che la chiamata che lo ha raggiunto è stata pura Grazia; che la fede, l'abbandono fiducioso a Dio, la consegna senza riserve della propria vita a Cristo, è rimanere nella barca, laddove la sua Parola lo ha fatto entrare, la volontà del Padre istante dopo istante. Solo conoscendo se stesso potrà tendere le sue mani e lasciarsi condurre dove non vorrà andare, tra le onde impetuose ed il vento contrario, sulla Croce, il legno benedetto di cui è fatta la barca della Chiesa. Pietro, come ogni cristiano, sarà allora crocifisso con Cristo, spicchio di vita celeste nel buio del mondo.

Barca crocifissa, Pietro e ogni suo fratello crocifisso, perchè il mondo veda in loro realizzato, e possa così ascoltare, l'annuncio più assurdo: Cristo è risorto, è Lui l'unico Nome dato agli uomini per essere felici eternamente, che ogni altro nome nasconde illusioni e morte. Comprendiamo allora quanto sia importante per la Chiesa camminare ogni giorno sulla via della conversione, per riscoprire le origini e la potenza della propria fede, conoscendo più profondamente la propria debolezza e così accogliere e amare Cristo sino a riconsegnargli, istante dopo istante, l'intera esistenza, e progetti, speranze, fallimenti e dolori. Sono proprio le onde ed il vento contrario che ci aiutano a conoscere Cristo. Il nostro posto è lì, nella barca, nella certezza che Lui è con noi tutti i giorni, con il suo potere, sino alla fine del mondo. Che nulla potrà danneggiare la sua Chiesa, che le porte degli inferi non prevarranno su di essa, e su nessuno di noi. Pietro ha compreso di essere uomo di poca fede non solo perchè, impaurito, ha guardato se stesso e ha cominciato ad affondare. Uomo di poca fede lo era già nella barca, dalla quale guardava a Gesù con gli occhi, debolissimi, della sua carne.

Eppure il Signore ha voluto fondare la sua Chiesa su questo povero uomo; e, con lui, su ciascuno di noi. Ed era necessario a Pietro scendere nell'abisso dell'incredulità per gridare a Cristo: "Signore salvami!" Proprio sperimentando e conoscendo la propria incredulità, una e cento volte, Pietro avrà sigillata certezza che la fede è un dono celeste, nulla di moralistico e da strappare con i pugni e gli sforzi. E avrà conosciuto, per un'esperienza che nessuno potrà togliergli, che Gesù è l'unico salvatore. Nei secoli Pietro confermerà la Chiesa in questa fede, di fronte alle eresie, di fronte agli sbandamenti, ai timori e alle persecuzioni, riconoscendo i carismi consegnati da Dio per sostenerla nel suo cammino e nella sua missione, indicando con fermezza e certezza la rotta ispirata da Dio. Pietro confermerà la Chiesa nella fede perchè ha conosciuto la propria debolezza, come Giacobbe al guado del Jabbok, come ciascuno di noi: possiamo essere padri, madri, fidanzati, operai e dirigenti, amici e studenti solo conoscendo la nostra debolezza. Possiamo confermare nella fede, annunciare l'amore di Dio e l'unicità della sua salvezza solo nella consapevolezza della nostra totale debolezza: "Dio vi lascia in quelle tenebre per la sua gloria; qui è il vostro grande profitto spirituale. Dio vuole che le vostre miserie siano il trono della sua misericordia e le vostre impotenze il seggio della sua onnipotenza". (S. Pio da Pietrelcina).

"Sono Io". Tanto basta. Sono queste le uniche parole capaci di darci pace. In mezzo ai marosi della vita. Coraggio, è Lui, proprio Lui che cammina in mezzo ai problemi, alle sofferenze, alla tristezza, ai dubbi, alla solitudine, ai fallimenti. Non è un fantasma, non sono ideali, filosofie, dottrine, pensieri, sogni. E' Lui. Oggi, incarnato dove siamo e ci fa figli nel Figlio, vincitori in tutto. Nulla e nessuno potrà mai separarci da Lui. Mai. Solo il nostro guardarci senza misericordia, il nostro giudicarci, solo i nostri occhi carnali su di noi possono toglierci la forza e la gioia di vivere in mezzo alla morte per annunciare la risurrezione. Fissare lo sguardo su di Lui. Il nostro unico ufficio, la nostra vocazione. Contemplare per vivere. Santi, felici e beati.



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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE


DALLA DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS" CIRCA L'UNICITÀ E L'UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA





Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, è diventato egli stesso carne, per operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti.


(Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 45). La necessaria e assoluta singolarità e universalità di Cristo nella storia umana è bene espressa da S. Ireneo nel contemplare la preminenza di Gesù come Primogenito: « Nei cieli come primogenito del pensiero del Padre, il Verbo perfetto dirige personalmente ogni cosa e legifera; sulla terra come primogenito della Vergine, uomo giusto e santo, servo di Dio, buono accetto a Dio, perfetto in tutto; infine salvando dagli inferi tutti coloro che lo seguono, come primogenito dei morti è capo e sorgente della vita di Dio » (Demonstratio, 39: SC 406, 138).


Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa, l'inseparabilità, pur nella distinzione, tra il Regno di Dio, Regno di Cristo e la Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa di Cristo.


Le radici di queste affermazioni sono da ricercarsi in alcuni presupposti, di natura sia filosofica, sia teologica, che ostacolano l'intelligenza e l'accoglienza della verità rivelata. Se ne possono segnalare alcuni: la convinzione della inafferrabilità e inesprimibilità della verità divina, nemmeno da parte della rivelazione cristiana; l'atteggiamento relativistico nei confronti della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; la contrapposizione radicale che si pone tra mentalità logica occidentale e mentalità simbolica orientale; il soggettivismo di chi, considerando la ragione come unica fonte di conoscenza, diventa « incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere»; la difficoltà a comprendere e ad accogliere la presenza di eventi definitivi ed escatologici nella storia; lo svuotamento metafisico dell'evento dell'incarnazione storica del Logos eterno, ridotto a mero apparire di Dio nella storia; l'eclettismo di chi, nella ricerca teologica, assume idee derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la verità cristiana; la tendenza, infine, a leggere e interpretare la Sacra Scrittura fuori dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa.

La risposta adeguata alla rivelazione di Dio è «l'obbedienza della fede (cf. Rm 1,5; Rm 16,26;2 Cor 10,5-6), per la quale l'uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestando il “pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela” e dando il proprio assenso volontario alla rivelazione fatta da lui». La fede è un dono di grazia: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”»

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San Bruno ( ?-1101), fondatore dei Certosini Lettera a Rodolfo il Verde , 4, 15-16 ; SC 88, 695

« Gesù salì sul monte, solo, a pregare »
Carissimo fratello, in territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa (Lc 12,36), io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini...


Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo.
Che cosa infatti, vi è di più opposto alla ragione, alla giustizia e alla natura stessa, dell'amare più la creatura che il Creatore, del ricercare più il perituro che l'eterno, più il terreno che il celeste?... Tutti, infatti, la Verità consiglia, quando dice: « Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò » (Mt 11,28). Non è una pessima ed inutile fatica l'essere tormentati dalla concupiscenza, l'essere incessantemente afflitti da preoccupazioni e ansietà, da timore e dolore per le cose desiderate?... Fuggi dunque, o fratello mio, tutte queste inquietudini e miserie, e passa dalla tempesta di questo mondo al riparo sicuro e quieto del porto.