domenica 31 luglio 2011

L'Abuna Yaqob Mariam



Non è nella santa Eucaristia che i nostri fratelli, che non vanno mai in chiesa, troveranno il Signore. E’ in noi che lo incontreranno, nella misura in cui i nostri atti, le nostre parole e i nostri gesti saranno la viva espressione della Sua presenza dentro di noi. (H. Perrin)

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Pensando a quello che OGGI sta succedendo in quelle terre...

Addis Abeba (Agenzia Fides)- Oggi 31 luglio si concludono il Prefetto della Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Sua Ecc. Mons. Fernando Filoni, nella chiesa di San Fele, concluderà il ciclo di celebrazioni per il 150esimo anniversario della morte di San Giustino De Jacobis (l'Abuna Yaqob Mariam, come lo avrebbero chiamato in seguito), evangelizzatore dell’Etiopia.

San Giustino de Jacobis, dunque, nacque il 9 Ottobre 1800 da Giovanni Battista e Giuseppina Muccia.
In tenera età andò 2 volte vicino alla morte; la prima quando aveva solo un anno a causa di una malattia e la seconda quando, dal dorso di una mula imbizzarrita, rischiò di cadere in un precipizio.
Intorno al 1812, la famiglia di Giustino de Jacobis si trasferì a Napoli, forse per motivi economici.
Ai primi studi letterari ed umanistici, Giustino affiancò una intensa partecipazione alla vita spirituale e fu così che nel 1818, il Padre carmelitano Mariano Cacace, intuì la vocazione del giovane indirizzandolo verso la comunità dei missionari Vincenziani, presenti a Napoli sin dal 1668 per iniziativa del cardinale Innico Caracciolo.
In quel periodo, gli appartenenti alla comunità rivolgevano la loro attività soprattutto verso le popolazioni delle campagne o comunque bisognose e Giustino si ambientò immediatamente con notevole spirito di dedizione.
Proseguendo i suoi studi, Giustino de Jacobis si spostò in Puglia e fu proprio in questa terra che nel 1824, nella cattedrale di Brindisi (e non ad Oria come alcuni testi riportano), fu ordinato sacerdote.
Nella stessa Puglia il de Jabobis trascorse i suoi primi anni di sacerdozio e tra il 1824 ed il 1836 fu a Monopoli e Lecce.
Nel 1836 fece ritorno a Napoli, mentre in città una epidemia di colera falcidiava fino a 100 persone al giorno; pure in quella circostanza, il sacerdote sanfelese ebbe modo di dimostrare il suo spirito di dedizione verso i tantissimi malati che i Vincenziani curavano direttamente fino a quando, in coincidenza della processione dell'Immacolata, l'epidemia fu completamente sconfitta.
A Napoli, nella chiesa di S.Nicola, si conserva tuttora la statua della Madonna che anche Giustino de Jacobis trasportò a spalla.
Gli anni successivi al colera non furono più facili per Giustino: nell'ottobre 1837 morì il padre e, nel giugno del 1838 la madre.
Quel dolore fu trasformato in una ulteriore offerta verso la sua missione tanto da giungere a ricoprire la carica di superiore alla casa "dei Vergini" e con questo nuovo impegno, la personalità ed il valore di Giustino furono messe ancora più in risalto tanto da cominciare a parlare di episcopato.
Nel frattempo, nel 1838, il padre vincenziano Giuseppe Sapeto, avviò una missione a Massaua e, resosi conto del forte impegno che questa comportava, informò a più riprese Papa Gregorio XVI della necessità di rafforzarla.
Fu così che il cardinale Fransoni, prefetto della Congregazione Romana, dopo aver conosciuto casualmente a Napoli Giustino de Jacobis e dopo averne apprezzato le sue eccezionali virtù, propose al Procuratore generale dei vincenziani di invitare Giustino de Jacobis ad accettare la missione in Etiopia.
L'interessato, che aveva già in precedenza espresso il desiderio di partire in missioni estere, accettò l'invito.
Prima di raggiungere l'Africa, però, decise di recarsi a Parigi per pregare sulla tomba di San Vincenzo de Paoli, fondatore dell'ordine a cui apparteneva.
Il 24 Maggio 1839 iniziò Il viaggio verso l'Etiopia e, attraverso Malta, Nasso (Grecia), Siria, Alessandria d'Egitto, Cairo e Massaua, il 13 Ottobre Giustino de Jacobis giunse ad Adua dove incontrò Padre Giuseppe Sapeto, fondatore della missione.
Durante i primi mesi, Giustino ebbe necessità di dedicare molto tempo all'apprendimento della lingua ed alla conoscenza dei luoghi superando, contestualmente, la diffidenza che gli indigeni avevano nei suoi confronti.
Successivamente, però, egli ed il Sapeto decisero di dividersi per potersi occupare di un territorio più vasto e per non far risaltare troppo il loro impegno agli occhi degli avversari religiosi.
A Giustino toccò la regione del Tigrè e si insediò ad Adua.
Nel 1840, il ras di quella regione, di nome Ubiè, propose al missionario sanfelese di guidare la delegazione che avrebbe dovuto recarsi dal patriarca di Alessandria d'Egitto a cui doveva essere chiesta la nomina di un vescovo per la chiesa copta.
Giustino accettò l'offerta del ras ma la subordinò alla autorizzazione a guidare la delegazione fino a Roma per salutare e conoscere il Papa Gregorio XVI.
Questa condizione fu accettata e nel gennaio del 1841 la delegazione partì alla volta di Alessandria. Giunti dal patriarca, questi nominò vescovo Abba Andreas che in futuro si rivelò l'avversario più costante dei cattolici e di Giustino.
La delegazione proseguì quindi per Roma dove il papa fu molto cordiale nei confronti dell'intera delegazione e, ritornando in Etiopia, Giustino de Jacobis riuscì a condurre con se due confratelli italiani: Padre Lorenzo Bianchieri e Giuseppe Abbatini.
Altri risultati della missione giunsero più avanti con la conversione al cattolicesimo del monaco etiopico Ghebrè Michael e via via quella di altri indigeni.
Dopo Adua, Giustino ed il suo folto seguito di indigeni fondarono altri centri missionari a Gondar, Enticciò, Guala, Alitiena, Halai, Hebo, Cheren. A Guala, in particolare, Giustino fondò il suo seminario al fine di garantire un luogo dove formare al credo cattolico i sacerdoti nativi del posto. Con questa realizzazione, il sacerdote lucano soddisfò una sua forte convinzione secondo la quale, come egli stesso scriveva, "Un prete della Abissinia, profondamente cattolico e sufficientemente istruito, grazie alla sua perfetta conoscenza della lingua, degli usi e dei pregiudizi dei suoi connazionali - conoscenza che difficilmente potrà avere un europeo - lavora con un successo notevolmente superiore a quello di un europeo". Tra tutti questi luoghi attraversati, comunque, è la città di Hebo quella a cui Giustino restò più legato tanto che proprio lì sono conservate le sue spoglie, venerate da cospicui pellegrinaggi provenienti da ogni zona dell'Etiopia.
Come detto prima, il nuovo Vescovo Abba Andreas, rese difficile la vita al missionario lucano. Prima di insediarsi ad Adua, il vescovo si incontrò nuovamente con il Ras Ubiè chiedendogli di espellere dal paese i missionari cattolici. La richiesta non fu accolta ma la persecuzione verso l'attività dei missionari cattolici era comunque già iniziata.
A Roma, intanto, per rafforzare la missione, fu deciso di costituire proprio un Vicariato indipendente nelle zone del Sud Etiopia e ne fu incaricato il Vescovo cappuccino Mons. Massaia che giunse da Giustino de Jacobis agli inizi del 1847. Purtroppo, l'arrivo del cappuccino in Etiopia creò subito un disagio all'intera missione. Infatti, una lettera a lui indirizzata dal suo superiore generale e portante la dicitura: "Ad Abuna Massaia, vescovo in Abissinia", fu recapitata nelle mani del vescovo copto Andreas che, scoperta la presenza di un vescovo cattolico sul suo territorio, scomunicò addirittura il Ras. Quest'ultimo, temendo il definitivo tramonto, espulse Giustino dai territori di sua competenza; il missionario, non avendo altre scelte, agli inizi di Ottobre 1848 si allontanò con Mons. Massaia verso la città di Massaua.
Monsignor Massaia, nella sua missione in Etiopia aveva comunque il compito di ordinare vescovo Giustino de Jacobis (come a Roma era stato stabilito) per poter affidargli con piena responsabilità, i territori del nord Etiopia.
La necessità di avere un Vescovo, prima che Mons. Massaia giungesse in Etiopia, era stata già dibattuta da Giustino de Jacobis, il Montuori e Bianchieri. Fra i tre, comunque, non c'era accordo su quali caratteristiche avesse dovuto avere "l'uomo giusto" ma Mons.Massaia era convinto che il più adatto a tale ruolo fosse proprio il missionario lucano.
Dopo molta insistenza, data la sua non completa convinzione, la sera dell'8 gennaio 1849, Giustino de Jacobis, in una atmosfera di segretezza, venne ordinato Vescovo.
I primi mesi di attività con questa nuova responsabilità non furono particolarmente felici; nel febbraio del 1850 venne anche imprigionato per un breve periodo il monaco Ghebrè Michael che, tornato in libertà, fu ordinato sacerdote proprio da Mons. de Jacobis.
Nel dicembre dello stesso 1851, l'assistente generale della congregazione della missione, Padre Paussou, fece visita ai missionari in Etiopia e per Giustino, che soffriva per le difficoltà nel comunicare con i superiori, fu un momento di grande felicità.
Padre Paussou rimase molto entusiasta del lavoro svolto dai missionari tanto da affermare "….il mio convincimento è che se Dio ha deciso di avere pietà del popolo abissino, è Mons de Jacobis che deve diventare lo strumento delle sue misericordie ".
Il 2 Ottobre 1853, Giustino consacrò Vescovo il suo confratello Padre Lorenzo Bianchieri; da quel momento acquisì la consapevolezza che anche dopo di lui la missione etiopica avrebbe avuto una guida. Nel frattempo, però, gli scenari politici della nazione subirono una imprevista evoluzione che portò al potere il ras Kassa, che, imponendosi ad Ubiè, raggiunse il pieno potere del febbraio del 1854.
Alla volontà del nuovo ras si allineò rapidamente il vescovo copto Abuna Salama che, in cambio della sua forza religiosa, avrebbe ottenuto appoggio e protezione. Proprio in quest'ottica, si inserisce l'editto pronunciato dal ras nel luglio del 1854 secondo il quale, tutto il popolo avrebbe dovuto aderire alla fede scismatica: in altri termini, i missionari avrebbero dovuto immediatamente lasciare l'Etiopia.
I missionari ignorarono l'imposizione del ras e del vescovo copto e furono arrestati. Giustino de Jacobis trascorse 4 mesi in una cella piccolissima e miglior trattamento non ebbero gli altri due suoi confratelli. L'odio e la crudeltà con cui venivano trattati i missionari creò però un forte senso di insopportazione da parte della popolazione e fu così che nel novembre del 1854, Giustino fu scarcerato.
In prigione restò invece padre Ghebrè Michael che, a causa delle torture subite, si spense in cella il 13 Luglio 1855; la chiesa, il 30 settembre 1926 lo ascriverà nell'albo dei beati. Dopo la morte del suo confratello, Giustino tornò a Gondar e lì si prodigò, tra l'altro, nell'assistenza ai malati di colera, scoppiato nel 1858. In questa occasione, Giustino diede veramente il massimo di se facendo tesoro dell'esperienza acquisita nella analoga occasione del 1836 a Napoli.
Nel frattempo, il nipote del deposto ras Ubiè, di nome Negusiè, provò a contrastare il ras Kassa ed i primi segnali sembravano dargli ragione tanto che una delegazione francese giunse nel 1860 ad Halai con il compito di aiutare il missionario lucano. Purtroppo, però, i tentativi di Negusiè furono subito annientati e Giustino tornò in carcere per altri 22 giorni con l'accusa di favoreggiamento nei confronti dei francesi.
Questo ulteriore episodio negativo segnò ulteriormente le già precarie condizioni di salute di Giustino che, però, continuava a meditare su come poteva essere potenziate la missione. Il pensiero del vescovo lucano andò anche alle suore che avrebbero potuto apportare un forte aiuto ma tale desiderio si realizzò solo dopo la sua morte. Il 19 Luglio 1860, Giustino celebrò a Massaua la messa in onore di S.Vincenzo de Paoli, il fondatore dell'ordine cui apparteneva ma, dopo quel giorno, cominciò a sentirsi molto male. Il 29 Luglio, dopo aver celebrato una funzione religiosa si incamminò verso l'altopiano di Halai, una zona molto più salubre di quella dove abitualmente risiedeva ma, prima di giungervi, nel pomeriggio del 31 Luglio, nella valle di Alghedien, lungo il sentiero che da Massaua porta all'altopiano, intorno alle ore 15.00 si spense.
Le sue ultime parole furono di raccomandazione e di affetto verso i suoi discepoli: "Figli miei, tutti voi avrete parte del mio affetto, voglio benedirvi!" "Non piangete, non piangete, continuò Giustino, non abbiate timore perché se vi conformerete alle raccomandazioni che vi ho fatto, nessuna cosa potrà nuocervi. Trasmettete questi avvisi a quelli che sono ad Hebo, Alitiena, Halai, Moncullo. Che tutti si ricordino di me nelle preghiere".
La notizia della morte di Giustino si propagò velocemente in tutta l'Etiopia.
Il missionario lucano sarebbe rimasto per sempre con loro, ad Hebo, dove alla sua tomba c'è un costante pellegrinaggio.
La chiesa di Roma celebrò i processi canonici dal 1904 al 1913 a Napoli, Lecce ed in Etiopia; il 25 Luglio 1935 ci fu il decreto del Papa sulla eroicità delle virtù ed infine, il 25 Luglio 1939 la beatificazione.
In coincidenza all'anno santo del 1975, il 26 Ottobre, Giustino de Jacobis fu proclamato Santo in una indimenticabile basilica di S.Pietro affollata di tanti fedeli provenienti dall'Etiopia ma anche dalla natìa San Fele.
Bibliografia: GIUSEPPE GUERRA, Giustino de Jacobis, dal meridione d'Italia all'Etiopia.
Nella foto, la processione del Santo che il 30 luglio attraversa le vie del paese.