domenica 24 luglio 2011

Giacomo "il maggiore": testi e commento al Vangelo





Oggi 25 LUGLIO celebriamo la festa di

SAN GIACOMO, APOSTOLO

(+ 42/43)
Giacomo, detto «il maggiore», era figlio di Zebedeo e di Salome (Mc 15,40; cf Mt 27,56) e fratello maggiore di Giovanni l’evangelista, col quale fu chiamato fra i primi discepoli da Gesù e fu sollecito a seguirlo (Mc 1,19s;Mt 4,21s; Lc 5,10). È sempre messo fra i primi tre Apostoli (Mc 3,17; Mt 10,2;Lc 6,14; Atti 1,13). Pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, con lui viene soprannominato «Boanerghes» da Gesù (Mc 3,17), ma è fra i prediletti di lui insieme col fratello, con Pietro e Andrea. Assiste alla subitanea guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31), alla risurrezione della figlioletta di Giairo (Mc 5,37-43; Lc 8,51-56), alla trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Mc 9,2-8; Mt 17,1-8; Lc 9,28-36); e con gli altri tre interroga Gesù sui segni dei tempi premonitori della fine (Mc 13,1-8); poi, con Pietro e Giovanni è chiamato da Gesù a vegliare nel Getsemani (Mc 14,33s; Mt26,37s). Con zelo intempestivo, aveva chiesto di far scendere il fuoco sui Samaritani che non accoglievano Gesù, meritando un rimprovero (Lc 9,51-56). Ambiziosamente mirò ai primi posti nel regno, protestandosi pronto a tutto; e suscitò la reazione degli altri apostoli e il richiamo di Gesù a un altro primato: quello del servizio e del martirio (Mc 10,35-45; Mt 20,20-28). La profezia che allora Gesù gli fece, preannunciando che avrebbe «bevuto con lui il calice del sacrificio», si realizzò in pieno, quando Giacomo fu il primo tra gli Apostoli a dare il sangue per il suo Signore, e come lui durante le feste pasquali fatto decapitare da Erode Agrippa I, nel 42/43(Atti 12,1-2). San Giacomo non fu l’evangelizzatore della Spagna, né vi è certezza che vi sia stato trasportato il suo corpo: Venanzio Fortunato attesta che, ai suoi tempi (VI secolo), si trovava a Gerusalemme. Però dal secolo IX, san Giacomo ebbe un culto straordinario a Compostella nella Spagna (Galizia), che lo ebbe protettore della sua fede e libertà contro i Mori. Quel santuario divenne per l’Europa uno dei maggiori luoghi di pellegrinaggio nel medioevo e oltre.

* * *

Partecipi alla passione di Cristo
Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 65, 2-4; PG 58, 619-622)

I figli di Zebedeo chiedono al Cristo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 37). Cosa risponde il Signore? Per far loro comprendere che nella domanda avanzata non vi è nulla di spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, risponde: «Non sapete ciò che domandate», cioè non ne conoscete il valore, la grandezza e la dignità, superiori alle stesse potenze celesti. E aggiunge: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?» (Mc 10, 38). Voi, sembra dir loro, mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece di lotte e di sudori. Non è questo il tempo dei premi, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente è tempo di morte violenta, di guerre e di pericoli.
Osservate quindi come, rispondendo loro con un'altra domanda, li esorti e li attragga. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma domanda: «Potete voi bere il calice» e per animarli aggiunge «che io devo bere?», in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione «battesimo» per far capire che tutto il mondo ne avrebbe ricevuto una grande purificazione. I due discepoli rispondono: «Possiamo!». Promettono immediatamente, senza sapere ciò che chiedono, con la speranza che la loro richiesta sia soddisfatta. E Gesù risponde: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39). Preannunzia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete con me; finirete la vita con una morte eroica e parteciperete a questi miei dolori. «Ma sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10, 40).
Dopo aver preparato l'animo dei due discepoli e dopo averli fortificati contro il dolore, allora corregge la loro richiesta.
«Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli» (Mt 20, 24). Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.
MESSALE
Antifona d'Ingresso Cf Mt 4,18.21
Mentre camminava lungo il mare di Galilea,
Gesù vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello
che riassettavano le reti, e li chiamò.


Colletta
Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli Apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per la sua gloriosa testimonianza conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
2 Cor 4, 7-15Portiamo nel nostro corpo la morte di Gesù.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai CorìnziFratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita.
Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Salmo 125Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.

Canto al Vangelo
Gv 15,16
Alleluia, alleluia.
Io ho scelto voi, dice il Signore,
perché andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga.
Alleluia.

Vangelo Mt 20, 20-28Il mio calice lo berrete.

Dal vangelo secondo MatteoIn quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Parola del Signore.

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Aosta, chiesa di sant'Orso:
il martirio di san Giacomo, affresco del XIII sec.




Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio,
ma è l’umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi,
e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno,
ma trova il suo culmine sul legno della Croce.

Benedetto XVI



IL COMMENTO AL VANGELO


Il Signore aveva appena annunciato, per la terza volta, il suo destino. La Passione, la Croce e la Resurrezione. Acqua fresca sui discepoli. I loro interessi, le loro aspirazioni più profonde soffocavano le parole serie del Maestro. Il cuore dei più intimi di Gesù, esattamente come il nostro. Una perversione di fondo, l'invincibile desiderio di potere, di prestigio. Il desiderio di "essere". In tutto, anche nell'accompagnare il Signore, il nostro cuore è profondamente piagato di vanagloria, di egoismo. Un'inguaribile tendenza a fare di tutto quel che ci è dato di vivere, essenzialmente le nostre relazioni, qualcosa che ci sia propizio, che porti acqua al mulino dei nostri bisogni, affettivi e carnali, e di sentirsi vivi. Nulla in noi è gratuito, l'orizzonte dei nostri pensieri, dei nostri atti, anche quelli che paiono intessuti dell'amore più puro, di tutto l'orizzonte è il nostro inaffondabile "io". Scambiamo Dio con "io", naturalmente, senza rendercene conto.


Come Giacomo, come Giovanni. Proviamo a scandagliare il nostro cuore e ne vedremo delle belle. Nelle parole, lacci. Negli sguardi, ventose. Negli atteggiamenti, esche. Nelle opere, catene. La prova? Nelle delusioni che proviamo, nei rancori che ci prendono, nella gelosia che ci taglia il cuore. Ci diciamo pronti a qualsiasi cosa, a bere qualunque calice, pur di sedere alla destra e alla sinistra del più forte di tutti. Pur di essere come Dio. E, spesso, ci buttiamo davvero nel fuoco. Ma l'orizzonte è sempre lo stesso che ci ha mostrato, subdolamente, il demonio. Diventare come Dio. Il destino promesso ad Adamo e ad Eva. Essere, partecipare di qualcosa che non muore, che non ci faccia preda degli eventi, il controllo delle situazioni, relazioni stabili e asservite al nostro cuore. E facciamo e disfiamo, costruiamo castelli di compromessi, impietriti dinanzi alla possibilità d'essere lasciati, abbandonati, rifiutati. Odore di paure, della morte, della solitudine. Scacciare i fantasmi con il fantasma più grande, la menzogna del mentitore.


Ma "Gesù esaudisce le sue promesse, non le nostre attese" (Cfr. S. Fausti, Ricorda e racconta il vangelo, Milano 1994, pag. 339). Gesù ci ama, davvero. Gesù è Dio, quello vero a cui possiamo assomigliare, del quale possiamo acquisire la natura, l'essere vero, e pieno, e perfetto. L'"ecce homo" nel quale tutti siamo stati creati e ricreati. Non il feticcio che ci siamo immaginato, come Giacomo e Giovanni, un regno umano che domina su tutto. Non il potere di essere servito, ma il potere di servire. La Croce. Il dono, totale, puro. "Non è il potere che redime, ma l'amore! Questo e' il segno di Dio: Egli stesso e' amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse piu' forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di cio' che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell'umanita'. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che e' divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo e' redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall'impazienza degli uomini" (Benedetto XVI, Omelia nella messa di inizio pontificato).


La libertà sconfinata di chi possiede una vita senza fine. E la può donare, e in questo, gustare la pace, la gioia, l'essere più profondo, che davvero non passa, che riordina ogni cosa, ogni relazione. Dare la vita, amare, anche quando non si è amati, anche quando si è disprezzati. L'aveva compreso S. Francesco, e aveva vissuto sino in fondo la perfetta letizia del suo Signore. L'ultimo posto, il più bello, il più vero, il più felice. Il posto di Cristo. Il posto dell'amore infinito. "Quei discepoli che volevano sedersi uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, cercavano anch'essi la gloria; miravano alla meta, ma non vedevano la via; il Signore li richiamava alla via, onde potessero con sicurezza raggiungere la patria. Eccelsa è la patria, umile è la via. La patria è la vita di Cristo, la via è la sua morte. La patria è lassù ove Cristo dimora con il Padre, la via è la sua passione. Chi ricusa la via, non cerca la patria" (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni).


Un calice oggi per noi, il Signore offerto per noi nel crogiuolo di questa giornata. E di tutte. Siamo nati per Lui, la nostra vita non può essere che la sua. Tutte le altre sono solo illusioni, fantasie gravide di sofferenza. Lasciamoci amare. Lasciamoci attirare nella Sua intimità. Camminiamo stretti a Lui, sulla via che ci conduce al vero, al bello e al buono. La via stretta e dolorosa della storia pregna del Suo amore, orientata e sicura verso la patria eterna per la quale siamo nati: il Cielo del Padre.










BENEDETTO XVI


Udienza generale di mercoledì, 21 giugno 2006

Giacomo, il Maggiore



Cari fratelli e sorelle,

proseguendo nella serie di ritratti degli Apostoli scelti direttamente da Gesù durante la sua vita terrena. Abbiamo parlato di san Pietro, di suo fratello Andrea. Oggi incontriamo la figura di Giacomo. Gli elenchi biblici dei Dodici menzionano due persone con questo nome: Giacomo figlio di Zebedeo e Giacomo figlio di Alfeo (cfr Mc 3,17.18; Mt 10,2-3), che vengono comunemente distinti con gli appellativi di Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. Queste designazioni non vogliono certo misurare la loro santità, ma soltanto prendere atto del diverso rilievo che essi ricevono negli scritti del Nuovo Testamento e, in particolare, nel quadro della vita terrena di Gesù. Oggi dedichiamo la nostra attenzione al primo di questi due personaggi omonimi.
Il nome Giacomo è la traduzione di Iákobos, forma grecizzata del nome del celebre patriarca Giacobbe. L’apostolo così chiamato è fratello di Giovanni, e negli elenchi suddetti occupa il secondo posto subito dopo Pietro, come in Marco (3,17), o il terzo posto dopo Pietro e Andrea nel Vangeli di Matteo (10,2) e di Luca (6,14), mentre negli Atti viene dopo Pietro e Giovanni (1,13). Questo Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita.
Poiché fa molto caldo, vorrei abbreviare e menzionare qui solo due di queste occasioni. Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta quindi di situazioni molto diverse e l’una dall’altra: in un caso, Giacomo con gli altri due Apostoli sperimenta la gloria del Signore, lo vede nel colloquio con Mosé ed Elia, vede trasparire lo splendore divino in Gesù; nell’altro si trova di fronte alla sofferenza e all’umiliazione, vede con i propri occhi come il Figlio di Dio si umilia facendosi obbediente fino alla morte. Certamente la seconda esperienza costituì per lui l’occasione di una maturazione nella fede, per correggere l’interpretazione unilaterale, trionfalista della prima: egli dovette intravedere che il Messia, atteso dal popolo giudaico come un trionfatore, in realtà non era soltanto circonfuso di onore e di gloria, ma anche di patimenti e di debolezza. La gloria di Cristo si realizza proprio nella Croce, nella partecipazione alle nostre sofferenze.
Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro. All’inizio degli anni 40 del I secolo il re Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, come ci informa Luca, “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni” (At 12,1-2). La stringatezza della notizia, priva di ogni dettaglio narrativo, rivela, da una parte, quanto fosse normale per i cristiani testimoniare il Signore con la propria vita e, dall’altra, quanto Giacomo avesse una posizione di spicco nella Chiesa di Gerusalemme, anche a motivo del ruolo svolto durante l’esistenza terrena di Gesù. Una tradizione successiva, risalente almeno a Isidoro di Siviglia, racconta di un suo soggiorno in Spagna per evangelizzare quella importante regione dell'impero romano. Secondo un’altra tradizione, sarebbe invece stato il suo corpo ad essere trasportato in Spagna, nella città di Santiago di Compostella. Come tutti sappiamo, quel luogo divenne oggetto di grande venerazione ed è tuttora mèta di numerosi pellegrinaggi, non solo dall’Europa ma da tutto il mondo. E’ così che si spiega la rappresentazione iconografica di san Giacomo con in mano il bastone del pellegrino e il rotolo del Vangelo, caratteristiche dell’apostolo itinerante e dedito all’annuncio della “buona notizia”, caratteristiche del pellegrinaggio della vita cristiana.
Da san Giacomo, dunque, possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita. Così Giacomo il Maggiore si pone davanti a noi come esempio eloquente di generosa adesione a Cristo. Egli, che inizialmente aveva chiesto, tramite sua madre, di sedere con il fratello accanto al Maestro nel suo Regno, fu proprio il primo a bere il calice della passione, a condividere con gli Apostoli il martirio.
E alla fine, riassumendo tutto, possiamo dire che il cammino non solo esteriore ma soprattutto interiore, dal monte della Trasfigurazione al monte dell’agonia, simbolizza tutto il pellegrinaggio della vita cristiana, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, come dice il Concilio Vaticano II. Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta.