sabato 23 luglio 2011

Brigida di Svezia: Le "Rivelazioni" (6)


Ciò che disse Cristo a santa Brigida. Le rivelazioni


Le Rivelazioni Celesti di Santa Brigida di Svezia - Libro Ottavo

Capitolo Quarantottesimo

...Allora risuonò una voce dall'alto, che diceva: O Madre della Misericordia, Madre dell'eterno Re, impetra misericordia. A te son giunte le preghiere del Re tuo servo. Sappiamo bene che è giusto che siano puniti i suoi peccati, ma chiedi misericordia, perché si converta e faccia penitenza e procuri onore a Dio.

Rispose lo Spirito: In Dio vi sono quattro giustizie. La prima, che Egli, increato ed eterno, sia onorato sopra tutte le cose, perché da Lui tutte le cose provengono e in lui tutti vivono e sussistono. La seconda è che Lui, che sempre era ed è e che è nato nel tempo, sia servito e amato in purità da tutti. La terza è che Lui, che per sé impassibile è divenuto passibile con l'umanità facendosi mortale e ha meritato agli uomini l'immortalità, sia desiderato sopra tutte le cose desiderate e desiderabili. La quarta giustizia è che quelli che sono instabili ricerchino la vera stabilità e quelli che sono nelle tenebre desiderino la luce, cioè lo Spirito Santo, chiedendone l'aiuto con contrizione e vera umiltà.

Ma di quel Re, servo della Madre di Dio, per il quale si chiede ora misericordia, giustizia vuole che non gli basti il tempo per espiare degnamente, come esige la giustizia, i peccati commessi contro la misericordia divina, né il suo corpo potrebbe sopportare il castigo meritato per essi.

Tuttavia la misericordia della Madre di Dio meritò e ottenne misericordia per il suo servo, sicché egli stesso ascolti quello che ha fatto e come debba emendarsi, se vorrà pentirsene e convertirsi. E subito in quello stesso momento vidi in cielo una gran bella casa e in essa un pulpito e sul pulpito un libro e davanti al pulpito c'erano due, cioè l'Angelo e il demonio.

Uno dei due, cioè il diavolo parlava dicendo: « Ahi » è il mio nome! Codesto Angelo e io inseguiamo la stessa cosa per noi desiderabile, perché vediamo che il potentissimo Dio propone di far costruire una gran cosa. E perciò lavoriamo, l'Angelo per la perfezione, io per la distruzione. Ma accadde che quando quella tal cosa desiderabile capita tavolta nelle mie mani, è così accesa e calda, che non riesco a tenerla. Quando capita nelle mani dell'Angelo è così fredda e viscida, che subito gli sguscia dalle mani. Guardando attentamente io a quel pulpito – con tutta l'attenzione mentale – il mio intelletto non riusciva a capire come era, né valse l'anima mia a comprenderne ed esprimerne la bellezza. L'aspetto del pulpito era come un raggio di sole, di color rosso e bianco, dorato, splendido. Il color d'oro era come un sole fulgido, il bianco come neve candidissima, il rosso come una rosa rossa. E ogni colore si vedeva nell'altro. Difatti quando guardavo il color d'oro, vedevo in esso quello bianco e quello rosso; o quando guardavo il bianco, vedevo in esso gli altri due colori. Così pure avveniva quando guardavo il rosso, sicché uno si vedeva nell'altro; però ognuno era distinto dall'altro e per se stesso, ma in tutto e per tutto sembravano uguali.

Guardando in alto non riuscii a comprendere la lunghezza e l'altezza del pulpito e guardando in basso non riuscii a scandagliarne la immensa profondità, perché era tutto incomprensibile. Dopo ciò, sullo stesso pulpito vidi risplendere un Libro, come oro brillantissimo che aveva forma di libro. Questo libro era aperto e la sua scrittura non era scritta con inchiostro, ma ogni parola era vivente nel libro e parlava da sé, come se qualcuno dicesse: fa' questo, o quello, e tutto, detta la parola, era fatto. Nessuno leggeva la scrittura del libro, ma tutto ciò che conteneva, tutto era nel pulpito e si vedeva in quei colori.

Davanti a questo pulpito vidi un certo Re ancora vivo nel mondo. Alla sinistra del pulpito vidi un altro Re, morto, che era nell'inferno; alla destra poi del pulpito, vidi un altro Re morto, che era in Purgatorio. Il sopraddetto Re vivente, seduto e coronato, era come in un globo di vetro. Sul globo pendeva una terribile spada a tre punte, che s'accostava ogni momento al globo, come la meridiana d'un orologio al suo segno. Alla destra di questo Re vivo, stava l'Angelo che aveva un vaso rotondo d'oro. Alla sinistra stava il diavolo con tenaglie e martello. Entrambi lottavano a chi fosse con le mani più vicine al globo nel momento in cui esso fosse stato colpito e rotto dalla spada. Allora udii la voce orribile di quel diavolo, che diceva: Ecco, entrambi vogliamo la stessa preda, ma ignoriamo chi dei due l'avrà.

E subito la giustizia divina mi diceva: Queste cose che ti son mostrate non sono corporali, ma spirituali; infatti né l'Angelo né il diavolo hanno corpo, ma così accade perché tu non puoi capire le cose spirituali se non per mezzo di immagini corporali. Il re vivo lo vedi nel globo di vetro, perché la vita sua non è che un fragile vetro sul punto di infrangersi. La spada tricuspide è la morte che, quando arriva, fa tre cose: Indebolisce il corpo, trasmuta la coscienza, toglie tutte le forze, separando – come una spada – l'anima dal corpo.

Il fatto poi che l'Angelo e il diavolo sembrano lottare sopra il globo di vetro, significa che tutti e due desiderano avere l'anima del Re, la quale sarà aggiudicata a quello ai cui consigli avrà più obbedito. Che poi l'Angelo abbia un vaso che è cavo, significa che, come il bimbo riposa in seno alla madre, così l'Angelo fa in modo che l'anima si presenti a Dio, come in un vaso, nel seno dell'eterna consolazione. Che poi il diavolo abbia le tenaglie e il martello significa che il diavolo attira l'anima con le tenaglie delle cattive dilettazioni e la stordisce col martello, cioè con il numero dei delitti perpetrati. Che poi il globo di vetro sia talvolta troppo caldo, talvolta troppo viscido e freddo, significa che il Re è instabile. Posto infatti nella tentazione, pensa e dice fra sé: Anche se so di poter offendere Dio, accetto questa tentazione nella mia mente; tuttavia questa volta questo pensiero lo metterò in atto, perché ormai non posso più ritirarmene. E così, scientemente peccando, va in mano al diavolo. Poi lo stesso Re, confessandosi e pentendosi, esce dalle mani del diavolo e va in potere dell'Angelo buono. E perciò se questo Re non smetterà la sua instabilità, sta in pericolo, perché ha un fragile fondamento.

Dopo ciò vidi alla sinistra del pulpito l'altro Re, quello che era morto e dannato all'Inferno, vestito delle vesti regali, quasi seduto sul trono. Era morto e cereo e molto terribile, con davanti una ruota a quattro linee aguzze. Questa ruota si voltava secondo i movimenti del Re. E ogni linea saliva su o giù, come il Re voleva, perché il movimento della ruota era in potere del Re. Tre di quelle linee avevano delle scritte, la quarta nessuna. Vidi anche alla destra di questo Re un Angelo, come un uomo bellissimo, con le mani vuote, e serviva al pulpito. Alla sinistra invece appariva il diavolo, che aveva la testa d'un cane con il ventre insaziabile e l'ombelico aperto, ribollente d'un veleno colorato di tutti colori velenosi e in ogni piede aveva tre unghie grandi, forti e aguzze.

Allora uno che era splendidissimo come il sole e mirabile da vedersi per la bellezza, mi disse: Questo Re, che tu vedi, è un miserabile. La sua coscienza ti sarà ora svelata, quale fu durante il Suo Regno e nella sua intenzione quando morì. Quale sia stata la sua coscienza, prima del Regno, non è da te saperlo. Sappi tuttavia che non è la sua anima davanti ai tuoi occhi, ma la sua coscienza. E poiché l'anima e il diavolo non sono corporali, ma spirituali, perciò le tentazioni diaboliche e i supplizi ti sono rappresentati in maniera corporale.

E subito quel Re morto cominciò a parlare, non dalla bocca ma dal cervello, e disse così: O consiglieri miei, la mia intenzione è questa, io voglio mantenere e custodire tutto ciò che è soggetto alla corona del Regno. Voglio anche lavorare, perché s'accresca e non diminuisca. In qual modo poi sia stato ottenuto, che importa a me saperlo? Basta a me ch'io valga a difenderlo e aumentarlo.

E allora il diavolo esclamò e disse: Ecco, è quasi rotto; che farà il mio vicino? Rispose la giustizia dal libro, che era sul pulpito e disse al diavolo: Metti l'uncino al foro e tiralo a te. E, detta questa parola della Giustizia, fu posto l'uncino e subito, in quello stesso momento, venne davanti al Re il martello della misericordia, col quale quel Re avrebbe potuto scacciare l'uncino, se avesse voluto rendersi conto della verità di tutto e avesse fruttuosamente cambiato volontà.

Di nuovo parlava lo stesso Re, dicendo: O Consiglieri e uomini miei, voi mi prendeste a Signore e io (presi voi) a consiglieri: però vi addito un uomo del Regno, che è traditore del mio onore e della mia vita, aspira ad essere Re, va contro la pace e la comunione dei popoli del Regno. Se un tal uomo sarà sopportato e tollerato, la cosa pubblica andrà in rovina, s'accresceranno la discordia e i mali interni del Regno. Di me si fidavano, e delle parole che io rivolgevo loro, fino a quando quel tale, da me accusato di tradimento, fu percosso con il massimo castigo e vergogna e condannato all'esilio. Ma la mia coscienza sapeva bene quale fosse l'autentica verità in questa faccenda e che avevo detto molte cose contro quel tale, per l'ambizione del Regno e la paura di perderlo e anche per allargare ancora più il mio onore e perché il Regno più sicuramente restasse a me e ai miei posteri. Pensai anche fra me e me che, sebbene sapessi la verità e come fosse stato conquistato il Regno e quel tale calunniato, se l'avessi di nuovo accolto e graziato e avessi detto la verità, ogni vergogna e ogni danno sarebbe ridondato sopra di me. Decisi allora nel mio animo di voler morire piuttosto che dire la verità e ritrattare le falsità dette e le ingiustizie fatte.

Il diavolo rispose allora: O Giudice, ecco come questo Re si accusa da sé. Rispose la divina Giustizia: Mettigli il laccio. E mentre il diavolo subito eseguiva e gli poneva un laccio, scese davanti alla bocca del Re un ferro acutissimo, del quale si sarebbe potuto servire, volendo, per tagliare e spezzare il laccio.

E ancora parlò quel Re dicendo: O Consiglieri miei, io consultai Chierici e Letterati dello Stato del Regno, ed essi dicono che se mettessi il Regno in mano ad altri, sarebbe di danno a molti e sarei traditore della vita e degli onori, violatore della giustizia e delle leggi. E perciò, per poter mantenere il Regno e difenderlo dagli invasori, bisogna pensare ad un'altra entrata fiscale, perché le vecchie non bastano a governare e difendere il Regno. Io ho pensato perciò di imporre nuove tasse e aumenti fraudolenti a danno di molti cittadini, non solo residenti nel Regno ma anche di quelli che vi transitano e dei mercanti. In queste cose decisi di perseverare fino alla morte, sebbene la coscienza mi dicesse che questo era contro Dio, contro ogni giustizia e il pubblico bene.

Allora gridò il diavolo: O Giudice, ecco che questo Re ha piegato entrambe le mani verso il mio vaso d'acqua. Che farò io dunque? Rispose la Giustizia dal libro: Buttaci sopra il tuo veleno. Gettato dal diavolo il veleno, subito apparve davanti al Re un vaso da unzione, che quel Re avrebbe potuto trarre a sé. Allora il diavolo gridò ad alta voce: Ecco, vedo una cosa meravigliosa e imperscrutabile: il mio uncino aggancia il cuore di questo Re e subito gli è stato offerto un martello. Gli ho messo il laccio alla bocca e gli si dà un ferro acutissimo. Gli ho versato sulle mani il veleno e gli si dà il vaso con l'unguento.

Rispose la Giustizia dal libro, che stava sul pulpito e disse: Ogni cosa a suo tempo e Misericordia e Giustizia si abbracceranno.

Dopo di che parlava a me la Madre di Dio e diceva: Vieni, figlia, e vedi e ascolta quel che lo spirito buono suggerisce all'anima e che cosa quello cattivo. Infatti ogni uomo ha ispirazioni e visite, a volte da parte dello spirito buono, a volte di quello cattivo e non c'è alcuno che, mentre è in vita, non sia visitato da Dio.

E subito vidi ancora il Re morto, la cui anima – mentre viveva – era così ispirata dallo spirito buono: O amico, tu sei tenuto a servire Dio con tutte le forze, perché ti diede la vita, la coscienza, l'intelletto, la salute, l'onore e poi ti sopporta per i tuoi peccati. Rispondeva la coscienza del Re dicendo: È vero che son tenuto a servire Dio, dalla cui potenza sono stato creato e redento, e vivo e sussisto per la sua misericordia. Ma lo spirito cattivo gli suggeriva: Fratello, ti do un buon consiglio, fa' come chi suol pulire i pomi. Egli getta via lo sporco e la scorza, tiene per sé la sostanza e le cose più utili. Fa' tu pure lo stesso. Infatti Dio è umile e misericordioso e paziente e non ha bisogno di nulla. Dei tuoi beni dà a lui quelli di cui puoi agevolmente fare a meno, e tieni per te il meglio e il più utile. Fa' dunque tutto quel che ti piace di fare e, sebbene debba perdonare, non farlo e, in cambio, fa' elemosine, con le quali puoi consolare tante persone.

Rispondeva la coscienza del Re: Questo sì che è un consiglio utile. Potrò dare qualcosa del mio, senza alcun mio danno, e Dio la riterrà gran cosa; il resto lo terrò a mio proprio uso e per farmi molti amici. In seguito, parlava ancora l'angelo dato a custode del Re e gli diceva con le ispirazioni: O amico, pensa che sei un mortale, presto morirai. Rifletti anche che questa vita è breve e Dio è giusto giudice e paziente, Egli esamina tutti i tuoi pensieri e parole e opere, dall'inizio dell'uso di ragione sino alla fine. Giudica anche tutti gli affetti e le intenzioni tue, e niente resta ingiudicato; usa perciò del tuo tempo e delle tue forze secondo ragione, mortifica le tue membra a vantaggio dell'anima, vivi modesto, non cercar diletti carnali con i desideri. Poiché, quelli che vivono secondo la carne e la voluttà, non entrano nella patria di Dio.

Di contro, invece, lo spirito diabolico subito sussurrava al Re le sue ispirazioni: O fratello – diceva – se di ogni ora e di ogni momento devi rendere conto a Dio, che ti resta per godere? Ma ascolta il mio consiglio: Dio è misericordioso e si placa facilmente. Non ti avrebbe redento, se avesse voluto perderti. Perciò la Scrittura dice che, col pentimento, son rimessi tutti i peccati. Fa' dunque come fece astutamente quel tale che doveva a un altro 20 libbre d'oro e non avendole venne da un amico per consiglio. Questi gli consigliò di prendere 20 libbre di rame e di dorarle con una sola libbra d'oro e con quelle così dorate togliersi il debito. Eseguendo questo consiglio, saldò al creditore le 20 libbre di rame, così dorate, e tenne per sé le 19 libbre d'oro puro. Fa' pure tu così e usa le 19 ore del tempo nei piaceri, nella voluttà, nel tuo godimento e una sola ora ti basterà per rattristarti e pentirti. Perciò, coraggiosamente, prima e dopo la confessione fa' quello che ti piace. Perché come il rame dorato sembrò tutt'oro, così le opere di peccato, significate nel rame dorato, saranno cancellate e tutte le tue azioni splenderanno come oro. Rispondeva allora la coscienza del Re: Mi sembra buono e ragionevole questo consiglio, perché così facendo posso disporre di tutto il tempo a mio piacimento.

Ancora l'angelo buono ispirava il Re: O amico, pensa dapprima a quale scopo Dio ti trasse dal grembo angusto della madre tua. Poi pensa con quanta pazienza Dio ti sopporta in vita. Infine pensa con quanta sofferenza ti ha salvato dalla morte eterna. Ma di contro il diavolo diceva al Re: O fratello, se Dio ti trasse dal grembo ristretto della madre tua all'aperto del mondo, rifletti pure che ti trarrà di nuovo dal mondo con una dura morte. E se Dio sopporta che tu vivi, rifletti pure che in questa vita hai tanti disagi e tribolazioni contro la tua voglia. Se Dio ti ha redento con la dura sua morte, chi lo costrinse? non glielo chiedesti poi tu.

Allora, come parlando, il Re disse nella sua coscienza interiore: È vero – disse – quel che suggerisci, difatti mi rattrista più il dover morire, che non l'essere nato dal seno di mia madre. E mi costa più sopportare le avversità del mondo e le contrarietà del mio animo, che non altro. Se mi si offrisse di scegliere, vorrei piuttosto vivere nel mondo senza tribolazioni e rimanere nelle consolazioni che separarmene. E più ancora desidererei vivere e gioire eternamente nel mondo, piuttosto che Cristo mi abbia redento col suo sangue; e non mi curerei d'essere in cielo se potessi avere in terra il mondo a mio piacimento. Allora udii la voce dal pulpito che così diceva: Togli ora dal Re il vaso dell'unguento, poiché peccò contro Dio Padre. Dio Padre, infatti, che è eternamente nel Figlio e nello Spirito Santo, dette per mezzo di Mosè la vera e retta Legge. Ma codesto Re promulgò una legge contraria e perversa. Ma siccome codesto Re fece qualcosa di bene, anche se con obliqua intenzione, gli si permette di possedere il Regno nei suoi giorni e di essere così ricompensato nel mondo.

Ancora parlò il Verbo dal pulpito e disse: Togli l'acutissimo ferro agli occhi del Re, perché peccò contro il Figlio di Dio. Egli infatti nel Vangelo dice che avrà un giudizio senza misericordia chi non usò misericordia. Codesto Re non volle far misericordia a chi soffriva ingiustamente e ritrattare la calunnia e il mal fatto. Però per qualche buona azione fatta sia compensato con l'avere sulla bocca parole sapienti ed essere reputato sapiente. Per la terza volta parlò la Giustizia e disse: Sia tolto il mantello al Re, perché peccò contro lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo infatti rimette i peccati a tutti quelli che se ne pentono, ma codesto Re decise di perseverare nel suo peccato sino alla fine. Ma siccome fece qualcosa di buono, gli sia concesso quel che più desidera per il piacere del corpo, e cioè abbia in moglie la donna desiderata e bella ai suoi occhi. E ottenga una fine bella e desiderabile secondo il mondo.

Dopo questa voce, avvicinandosi la vigilia della fine del Re, il diavolo esclamò, dicendo: Ecco, gli è stato tolto il vaso dell'unguento, perciò fermerò le sue mani perché non faccia opere fruttuose. E subito, detto questo, il Re fu privo della forza e della salute. Disse allora il diavolo: Ecco gli è stato tolto il ferro acuto. E subito il Re fu privo della loquela. E nel momento in cui fu privo della parola, parlò la Giustizia all'Angelo buono, ch'era stato dato al Re come custode, e disse: Cerca nella ruota e vedi qual è la linea che tende verso l'alto e leggi ciò che v'è scritto. Ecco, era la quarta linea, dove nulla era scritto ed era quasi liscia. E disse allora la Giustizia: Perché quest'anima amò quel che è vano, vada perciò ora da chi amò per averne il compenso. E in quel momento l'anima del Re si separò dal corpo. E mentre stava uscendo l'anima, gridò subito il diavolo e disse: Io ormai spezzerò il cuore a questo Re, perché la sua anima è mia.

E vidi allora il Re trasmutare tutto dal capo ai calcagni ed era orribile, come un animale scorticato. Gli occhi suoi erano strappati fuori e tutta la carne era come rattrappita e s'udiva allora la sua voce: Guai a me – diceva – che son diventato cieco, come un cagnolino nato cieco, in cerca delle parti posteriori della cagna, perché per la mia ingratitudine non ne vedo le mammelle. Guai a me, che nella mia cecità vedo che mai vedrò Dio, perché con la mia coscienza ora capisco di dove son caduto e cosa dovevo fare e non ho fatto. Guai anche a me, perché nato nel mondo per divina provvidenza e rinato nel Battesimo, ho dimenticato e trascurato Dio.

E poiché non volli bere della dolcezza del latte divino, perciò son più simile a un cane cieco che a un bambino che vede e vive. Ma adesso, anche contro la volontà mia, pur da Re, son costretto a dire la verità. Io sono infatti come legato da tre funi e obbligato a servire Dio, cioè dal Battesimo, dal matrimonio e dalla corona regale. Ma disprezzai il primo, quando diressi il mio affetto alle vanità del mondo. Non attesi al secondo, quando desideravo la moglie di altri. Disprezzai la terza, quando m'insuperbivo del mio potere terreno e non pensavo a quello del cielo. Per cui, anche se sono ora cieco, vedo tuttavia nella mia coscienza che per aver disprezzato il Battesimo devo essere legato dall'odio del demonio; per i moti disordinati della carne devo subire quel che piace al diavolo; per la superbia devo essere legato ai piedi del diavolo.

Allora disse il diavolo: Fratello, ora è tempo che parli io e che, parlando, agisca. Vieni perciò da me, non con amore, ma con odio. Io infatti sono stato il più bello degli angeli e tu un uomo mortale. Dio potentissimo mi dette il libero arbitrio, ma siccome ne abusai e preferii odiare Dio, per sopravanzarlo, piuttosto che amarlo, perciò son caduto, come chi ha il capo in giù e i piedi in alto. Tu, invece, come ogni uomo fosti creato dopo la mia caduta ed ottenesti rispetto a me un privilegio speciale, quello cioè di essere redento dal sangue del Figlio di Dio, ed io no. Dunque, poiché tu disprezzasti la carità di Dio, volta la tua testa verso i miei piedi e io riceverò i tuoi nella mia bocca e così saremo assieme congiunti, come coloro che hanno l'uno la spada nel cuore dell'altro e questi il coltello nelle viscere del primo. Tu dunque offendimi con la tua ira, io ti colpirò con la mia malizia. E giacché ebbi la testa, cioè l'intelligenza per onorare Dio, se avessi voluto e tu i piedi, cioè la forza, per andare a Dio e non volesti, così la mia testa terribile consumerà i tuoi piedi freddi. Sarai incessantemente divorato, ma non consumato; ti rigenererai anzi in te stesso. Congiungiamoci anche con tre funi. La prima, in mezzo, che unisca assieme il tuo e il mio ombelico, sicché da me tu aspiri il mio veleno ed io attragga a me le tue interiora. E giustamente. Amasti infatti più te stesso che il tuo Redentore ed io amai più me stesso che il mio Creatore. Con la seconda fune stringiamo il tuo capo e i miei piedi. Con la terza il mio capo e i tuoi piedi.

Poi vidi lo stesso diavolo con tre unghie per piede e diceva al Re: Poiché tu, fratello, avesti gli occhi per vedere la via della vita e la coscienza per discernere il bene e il male, due mie unghie entreranno nei tuoi occhi e li accecheranno; la terza unghia t'entrerà nel cervello. Frattanto soffrirai per essere mio Padrone ed io sgabello dei tuoi piedi. Avesti anche due orecchie per ascoltare la via della vita e la bocca per dir cose utili all'anima. Ma, giacché con disprezzo non volesti ascoltare e parlare per la tua salvezza, le altre due mie unghie ti entreranno nelle orecchie e la terza nella bocca. Con esse sarai tormentato, perché ti sarà amarissimo tutto ciò che prima, quando offendevi Dio, ti sembrò dolce. Dette queste cose, si congiunsero, così come detto, capo e piedi e ombelico del Re con quelli del diavolo. E così assieme legati sprofondarono nell'abisso.

E udii allora una voce che diceva: Oh, oh, che cosa ha ora il Re di tutte le sue ricchezze? Nient'altro che il danno. E che ne ha dell'onore? Vergogna, certamente. E che della cupidigia e attaccamento al Regno? Nient'altro che la pena: egli era stato unto con l'olio santo e consacrato con la formula santa e incoronato della corona regale, perché desse onore alle parole e alle cose divine, difendesse il popolo di Dio e regnasse. E sapesse anche di essere sempre sottomesso a Dio e Dio essere il suo rimuneratore. Ma siccome disprezzò d'essere sottomesso a Dio, perciò ora è sotto i piedi del diavolo. E poiché non volle riscattare il tempo con opere meritorie, quando poté, così ora non avrà più tempo di meritare.

Dopo ciò parlava ancora la Giustizia dal libro, che stava sul pulpito, dicendomi: Tutte queste cose a te così seriamente mostrate sono un sol punto dinanzi a Dio. Ma siccome tu sei nel corpo, fu necessario che le cose spirituali fossero spiegate a te con immagini materiali. Perciò se ti è sembrato che il Re e l'Angelo e il diavolo parlassero fra di loro, non erano che le ispirazioni e le locuzioni della coscienza espresse all'anima del Re dallo spirito buono o dal cattivo o da se stesso o dai consigliere e amici loro. Il fatto poi che il diavolo abbia detto: È perforato, quando il Re diceva di voler tenere per sé il Regno, qualunque fossero i retroscena della corona e comunque fosse stata acquisita, senza curarsi della giustizia, è da interpretarsi nel senso che la coscienza del Re era perforata dal ferro del diavolo, per l'ostinazione sua nel peccato, allorquando non volle fare alcuna indagine né esaminare se erano o no giuste le cose riguardanti il Regno.

E quando non volle esaminare quale giustizia egli facesse amministrare nel Regno. Fu posto l'uncino vicino all'anima del Re, quando la tentazione diabolica prevalse nell'anima del Re, che volle ostinarsi nell'ingiustizia fino alla morte. Che venisse poi il martello in grembo al Re, dopo l'uncino, significa il tempo dato al Re per pentirsi. Se infatti il Re avesse pensato e detto: Ho peccato, non voglio più mantenere coscientemente il mal tolto, m'emenderò dunque del resto, subito si sarebbe spezzato l'uncino della giustizia, infranto dal martello della contrizione, e il Re sarebbe venuto nella via buona e a buona vita. Che poi il diavolo abbia gridato: Ecco, il Re mi porge la lingua e subito abbia imposto il laccio al Re, non volendo egli far grazia a quel tale da lui calunniato, così si deve spiegare: chiunque coscientemente offende il prossimo e lo calunnia, per aumentare la propria fama, agisce con spirito diabolico e come un ladro, deve essere preso al laccio. Poi dopo il laccio viene davanti al Re il ferro acuto; questo vuol indicare il tempo del cambiamento e della correzione della cattiva volontà e il momento dell'azione virtuosa.

Quando dunque l'uomo corregge con buona volontà ed emenda il suo reato, la volontà è come un ferro acutissimo, contro cui cozza il laccio del diavolo e si ottiene la remissione dei peccati. Se dunque questo Re avesse cambiato la sua volontà e avesse fatto grazia a quell'uomo offeso e calunniato, si sarebbe subito spezzato il laccio del diavolo. Ma, poiché la sua volontà si confermò nel cattivo proposito, per divina giustizia egli si ostinò maggiormente. In terzo luogo vedesti poi che, pensando il Re di imporre nel Regno nuove tasse, gli fu versato sulle mani un veleno; questo significa che le opere del Re erano ispirate dal diavolo.

Come difatti il veleno produce agitazione e raffreddamento nel corpo, così il Re era agitato e mosso dalle maligne suggestioni e dai malvagi pensieri, cercando i modi come togliere possedimenti o beni agli altri e l'oro dei passanti. Difatti quando i passanti dormivano e credevano che l'oro fosse nella loro borsa, s'accorgevano poi da svegli di essere in potere del Re. Che poi, dopo il veleno, venga il vaso dell'unguento, sta a significare il sangue di Gesù Cristo, col quale ogni malattia è guarita. Se perciò il Re avesse intinto le sue opere nella considerazione del sangue di Cristo e avesse chiesto aiuto a Dio e avesse detto: « O Signore Dio, che mi hai creato e redento, so che per tua permissione io ebbi il Regno e la corona. Espugna dunque i nemici che mi combattono e salda i debiti miei, perché non bastano le finanze del mio Regno », io l'avrei aiutato e avrei alleggerito i suoi pesi.

Ma poiché egli desiderò la roba altrui, volendo passare per giusto, mentre sapeva d'essere ingiusto, il diavolo diresse il suo cuore e lo persuase ad agire contro le Costituzioni della Chiesa, a fare anche guerra e a derubare gli innocenti, finché la Giustizia fece sopra di lui giustizia ed equità dal pulpito della divina Maestà. La ruota poi, che si muoveva al fianco del Re, significava la coscienza del Re che, a mo' di ruota, ora si muoveva verso la gioia, ora verso la tristezza. Le quattro linee, che erano nella ruota, significavano la quadruplice volontà, che ogni uomo deve avere, cioè perfetta, forte, retta e ragionevole.

È perfetta la volontà d'amare Dio e di possederlo sopra ogni cosa; e questa volontà è nella prima linea. La seconda è la volontà di desiderare e fare il bene al prossimo, come a se stessi, per Iddio. E questa deve essere forte, per non infrangersi né per odio, né per avarizia. La terza è la volontà di astenersi dai desideri carnali e di desiderare le cose eterne. E questa è la scritta della terza linea. La quarta è la volontà di non amare il mondo se non ragionevolmente e per sola necessità. Voltata dunque la ruota, apparve la linea rivolta verso l'altro, quella per cui il Re aveva amato i piaceri del mondo e disprezzato l'amore di Dio. Nella seconda linea vi era scritto, che aveva amato gli onori e le persone del mondo. Nella terza linea v'era scritto l'amore disordinato dei beni e delle ricchezze del mondo. Nella quarta non v'era scritto niente, ma era tutta liscia, mentre sarebbe dovuto essere scritto soprattutto l'amore di Dio. Il vuoto di questa quarta linea, significava la carenza dell'amore e del timor di Dio; difatti col timore, Dio è attirato nell'anima buona e per l'amore vi si ferma. Se infatti un uomo nella vita non avesse mai amato Dio e però all'estremo di essa dicesse con tutto il cuore: O Dio, mi pento con tutto il cuore di aver peccato, dammi il tuo amore e mi correggerò nel resto, egli non andrebbe all'inferno. Poiché dunque il Re non amò chi avrebbe dovuto, ne ebbe già il compenso.

Dopo ciò vidi alla destra della Giustizia, quell'altro Re che era in Purgatorio; era simile a un bambino appena nato, non era capace di muoversi e solo muoveva gli occhi. Alla sua sinistra vidi il diavolo, la cui testa assomigliava a un soffiatoio, fornito d'un lungo tubo e le braccia erano come due serpenti. Le ginocchia erano come uno strettoio e i piedi erano simili ad un lungo arpione. Alla destra del Re, poi, stava un angelo bellissimo, pronto all'aiuto. Allora udii una voce che diceva: Questo Re t'appare così com'era disposta l'anima sua, quando uscì dal corpo.

E subito il diavolo gridò verso il libro, che stava sul pulpito e disse: C'è da stupire qui. Infatti quell'angelo e io aspettavano la nascita di questo bambino, quegli nella sua purità, io nella totale impurità. Nato poi il bambino, ne apparve l'impurità per la carne, ma non nella carne e l'angelo aborrendola non poté toccare il bambino; io invece che l'ho avuto in mano, non so dove portarlo. Infatti gli occhi miei tenebrosi non lo vedono, per lo splendore d'una certa luce che esce dal suo petto. L'Angelo invece lo vede e sa dove portarlo, ma non è in grado di toccarlo. Perciò tu che sei giusto Giudice, sciogli questo nostro contrasto.

Rispose il Verbo che stava sul pulpito: Dimmi, tu che parli, per qual motivo codest'anima cadde nelle tue mani? Rispose il diavolo: Tu che sei la Giustizia in persona, hai detto che nulla può entrare in cielo, se non abbia dapprima restituito ciò che è stato ingiustamente rubato. Ma quest'anima s'è tutta macchiata di cose ingiustamente prese, tanto che di cibi ingiusti si nutrivano e crebbero le sue vene e le midolla, la sua carne e il suo sangue. Poi hai detto di non accumular tesori, che sono consumati dalla ruggine e dalla tignola, ma di procurarsi quelli eterni. E in quest'anima era vuoto il posto ove doveva essere nascosto il tesoro celeste, mentre era pascolo pieno di vermi e di rane. Infine hai detto di amare il prossimo per Iddio. Ma quest'anima amò più il corpo che Dio e non si curò proprio di amare il prossimo. Vivendo infatti si consolava della sottrazione dei beni del prossimo, feriva il cuore dei suoi sudditi, non badando ai loro danni, purché a lui non mancasse nulla. Fece pure tutto quel che gli piacque e volle e comandò, e poco si curò dell'equità. Ecco i principali motivi e tanti altri innumerevoli.

Allora rispose il Verbo dal libro della Giustizia, dicendo all'angelo: E tu, angelo custode di quell'anima, che sei nella luce e vedi la luce, che cosa hai tu che per ragione di diritto e di virtù giovi a costui? L'angelo rispose: Essa ebbe la santa fede, e credette e sperò che ogni peccato fosse rimesso con la contrizione e con la confessione e ti temette anche come suo Dio, seppure non come avrebbe dovuto.

Di nuovo parlò la Giustizia dal libro, dicendo: O angelo mio, a te ora è permesso di prendere quest'anima e a te, diavolo, è consentito di vederne la luce. Indagate dunque entrambi che cosa amò quest'anima quando viveva nel corpo ed era in salute. Risposero essi, cioè l'angelo e il diavolo: Amò gli uomini e le ricchezze. E allora disse la Giustizia dal libro: Che cosa amò, pressato dalla tristezza della morte? Entrambi risposero: Amò se stesso, perché s'angustiava più per le malattie del suo corpo e per la tristezza del suo animo che della passione del suo Redentore.

E ancora insistette la Giustizia: Indagate ancora che cosa amò e pensò nell'ultimo istante di vita, quando aveva ancora lucida la coscienza e la conoscenza. Rispose soltanto l'angelo: Quell'anima pensò così: Ahimé fui tanto temerario contro il mio Redentore! Avessi un minimo di tempo per ringraziare il mio Dio per i suoi benefici! Mi addolora più l'aver peccato contro Dio che il patire i dolori nel mio corpo e anche se non mi fosse dato il cielo, vorrei tuttavia servire ugualmente il mio Dio.

Rispose la Giustizia, dicendo: Poiché tu, diavolo, non puoi vedere l'anima per la chiarezza del suo splendore, né tu, angelo mio, puoi averla in mano per la sua impurità, perciò il giudizio è questo: e tu, diavolo, purificala e tu, angelo, confortala fino a che sia ammessa nella luce della gloria. E a te, o anima, è consentito di guardare all'angelo e averne consolazione. E sarai partecipe del Sangue di Cristo e delle preghiere della Madre sua e della Chiesa.

Udito ciò, il diavolo disse all'anima: Poiché sei arrivata nelle mie mani colma di cibi e di beni male acquisiti, io ora ti svuoterò col mio strettoio. E allora il diavolo pose il cervello del Re fra le sue ginocchia, come se fossero una pressa, e stringeva fortemente per lungo e per largo, finché tutta la midolla diventò fragile, come una foglia d'albero.

E il diavolo disse ancora all'anima: Giacché il posto della virtù è vuoto, lo riempirò io. E preso allora il tubo del soffiatoio lo mise in bocca al Re e vi soffiava fortemente, riempiendolo tutto di orribile vento, sicché ne scoppiavano le vene e i nervi. E disse ancora il diavolo all'anima del Re: Poiché fosti empio e crudele contro i tuoi sudditi, che avresti dovuto trattare come figli, le mie braccia, mordendoti, ti tormenteranno cosicché come tu opprimesti i tuoi sudditi, così le mie braccia, simili a serpenti, ti dilanieranno col massimo dolore e orrore.

Dopo queste tre pene, cioè del pressoio, del soffiatoio e dei serpenti, il diavolo le voleva ancora aggravare, ricominciando dalla prima. Allora vidi l'angelo di Dio stendere le sue mani sopra le mani del diavolo, perché non l'opprimesse tanto come la prima volta. E così ogni volta l'angelo mitigava quelle pene. L'anima poi, dopo ogni pena, alzava gli occhi suoi verso l'angelo, senza parlare, ma accennando col gesto che la consolasse e la salvasse al più presto.

Di nuovo parlò il Verbo dal pulpito e mi disse: Tutto questo che con tanta serietà ti è mostrato, in Dio è tutt'insieme, ma tu sei materiale e perciò ti è mostrato in similitudini. Sicché, sebbene quel Re sia stato bramoso degli onori del mondo e di quel che prese agli altri, poiché temette Dio e quindi lasciò di fare qualcosa di ciò che gli piaceva, questo timore lo attirò all'amore di Dio. Sappi perciò che molti, aggravati da molti crimini, ottengono, prima di morire, il massimo della contrizione. Ma quel Re non ottenne la carità che nell'ultimo momento della vita. Infatti mancandogli le forze e la costanza, ottenne, per mia grazia, una divina ispirazione, per la quale si addolorò più del disonore di Dio che del proprio danno. Questo suo dolore era indicato da quella luce, a causa della quale il diavolo, ottenebrato, non sapeva dove portare quell'anima. E non poteva dire d'essere ottenebrato, quasi non fosse stato uno spirito intelligente; ma affermava di vedere in quell'anima tanto splendore di luce e tanta impurità. L'angelo invece sapeva bene ove portare l'anima anche se non poteva toccarla, prima che fosse purificata, come sta scritto: Nessuno vedrà la faccia di Dio, prima d'essere purificato.

Di nuovo mi parlò il Verbo dal pulpito e disse: Vedesti poi l'angelo stendere le sue mani su quelle del diavolo, perché non aggravasse le pene: questo significa il potere che ha l'angelo sul diavolo, del quale frena la malizia. Infatti il demonio in nessun modo e in nessun campo potrebbe punire, se non per virtù di Dio, che glielo permette. Perciò Dio anche nell'inferno fa misericordia. Difatti, sebbene per i dannati con ci sia luogo a redenzione o a remissione e a consolazione, tuttavia sono puniti solamente secondo merito e giustizia; perciò grande è in questo la misericordia di Dio.

Inoltre quel Re ti sembrava un neonato; ciò significa che chi vuol rinascere dalle vanità del mondo alla celeste vita, dev'essere innocente e, con la grazia di Dio, crescere in virtù fino alla perfezione.

Infine il Re alzava gli occhi all'angelo: questo significa che per mezzo dell'angelo custode riceveva consolazione e dalla speranza il gaudio, poiché sperava d'arrivare alla vita eterna. Così dunque si comprendono le cose spirituali, per mezzo di quelle materiali. Difatti i diavoli o gli angeli non hanno tali membra, né fanno simili discorsi, perché sono spiriti, ma con quelle similitudini materiali si conosce la loro bontà o malizia.

Ancora parlava il Verbo dal pulpito, dicendomi: Il pulpito da te visto significava Dio stesso, cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; che poi tu non abbia potuto comprendere la lunghezza, la larghezza, la profondità e l'altezza del pulpito, è perché in Dio non c'è da cercar principio, né fine, perché Dio è sin da principio, ed era ed è senza fine. Circa il fatto poi che ognuno dei colori si vedeva nell'altro e tuttavia ognuno di essi era distinto dall'altro, significa che Dio Padre è eternamente nel Figlio e il Figlio nel Padre e nello Spirito Santo e lo Spirito Santo è in entrambi, veramente una sola natura, distinti nelle diverse Persone.

Il colore che si vedeva rosso di sangue significava il Figlio, che senza danno della Divinità prese l'umana natura nella sua Persona. Il color bianco significava lo Spirito Santo, per mezzo del quale sono lavati i peccati. Il colore aureo significava il Padre, che è il Principio e la Perfezione di tutte le cose. Non che nel Padre sia una maggiore perfezione del Figlio né che il Padre sia prima del Figlio; ma perché capisca che il Padre non è lo stesso che il Figlio, ma altra è la Persona del Padre, altra è la Persona dello Spirito Santo; tutti però in una sola natura. Perciò ti sono stati mostrati tre colori distinti e uniti: distinti per la distinzione delle Persone, ma uniti nell'unità della natura. E come in ogni colore vedevi gli altri colori, né potresti vedere l'uno senza l'altro, né vedesti uno prima e l'altro dopo, uno maggiore e l'altro minore, così nella Trinità niente è prima o dopo, maggiore o minore, diviso o confuso, ma una volontà, una eternità, una potestà e una gloria. E benché il Figlio sia dal Padre e lo Spirito Santo proceda da entrambi, mai tuttavia il Padre fu senza il Figlio né il Figlio e lo Spirito Santo senza il Padre.

E parimenti mi parlava il Figlio e diceva: Il libro che vedevi sul pulpito significava che in Dio è la Giustizia e la Sapienza eterna, cui nulla si può aggiungere o diminuire. E questo è il libro della vita, che non è scritto con la calligrafia, che è e non fu; la Scrittura di questo libro è di sempre. In Dio infatti tutto è eterno. Egli comprende ogni cosa, presente, passata e futura, senza transmutazione o vicissitudine, perché tutto vede. Il Verbo poi, come s'è detto, parla a se stesso, perché Dio è Parola eterna, dalla quale procedono tutte le altre parole e nella quale sono tutte vivificate e sussistono.

Lo stesso Verbo parlava in modo sensibile, quando si incarnò e abitò con gli uomini. Ecco, questa visione divina ti meritò la Madre di Dio. E questa è la misericordia promessa al Regno di Svezia, che cioè i suoi abitanti avrebbero udito le parole che escono dalla bocca di Dio. Che poi siano pochi ad accogliere le parole celesti a te affidate e a credere ad esse, questa non è colpa di Dio, ma degli uomini, che non vogliono lasciare il freddo della loro mente. Difatti anche le parole del Vangelo non si sono ancora adempiute con i primi Re di quel tempo; ma verranno ancora altri tempi, nei quali si adempiranno.



Capitolo Cinquantaseiesimo

...Dopo questo vidi che quelle tre cose, cioè la Virtù, la Verità, la Giustizia erano uguali al Giudice, che prima parlava e udii allora una voce come di un araldo, che diceva: O voi, cieli tutti, con tutti i pianeti, tacete e tutti voi, diavoli, che siete nelle tenebre, ascoltate; voi altri tutti, che siete all'oscuro, udite! Infatti il Sommo Imperatore vi fa udire i giudizi sopra i Principi della terra. E quello che subito vidi non era materiale ma spirituale e gli occhi miei e i miei orecchi spirituali s'aprivano a udire e a vedere.

Vidi allora venire Abramo con tutti i Santi, nati dalla sua discendenza. E vennero tutti i Patriarchi e i Profeti. Poi vidi i quattro Evangelisti, simili nella forma a quattro animali, come son dipinti sulle pareti del mondo; ma sembravano viventi, non morti. Dopo vidi dodici troni e su di essi i dodici Apostoli, in attesa della potestà futura. Poi venivano Adamo ed Eva, con i Martiri e i Confessori e tutti gli altri Santi da loro discendenti. Non si vedeva ancora l'Umanità di Cristo, né il Corpo della Benedetta sua Madre, ma tutti aspettavano che venissero. Anche la terra e le acque sembravano sollevarsi fino ai cieli e tutto quello che era in essi si abbassava e inchinava con riverenza alla Potestà. Dopo di ciò vidi un altare sul seggio della Maestà e un calice con il vino, l'acqua e il pane a somiglianza di un'ostia offerta sull'altare.

E allora vidi che, in una chiesa del mondo, un sacerdote dava inizio alla Messa, vestito delle vesti sacerdotali. Fatto tutto quello che concerne la Messa e giunto alle parole della benedizione del pane, mi sembrava di vedere il sole e la luna e le stelle con tutti i pianeti e i cieli tutti con i loro stati e i loro moti, alternantisi a voci che risuonavano d'una dolcissima nota. E s'udiva ogni canto e armonia. Si vedevano innumerevoli specie di musici, dei quali era impossibile comprendere con i sensi il suono dolcissimo. Quelli poi che erano nella luce, guardavano il sacerdote e si chinavano alla Potestà con riverenza e onore. Quelli invece che erano nelle tenebre inorridivano ed erano atterriti.

Dette poi dal sacerdote le parole divine sopra il pane, mi sembrò che quel pane nella sede della Maestà fosse in tre figure, rimanendo però nelle mani del sacerdote. E lo stesso pane diventava un agnello vivente, nell'agnello appariva una faccia d'uomo e dentro si vedeva una fiamma ardente e fuori l'agnello e la faccia. E fissando io attentamente lo sguardo nella faccia, vedevo in essa l'agnello; guardando poi l'agnello vedevo in esso la faccia stessa; e la Vergine sedeva assieme all'Agnello incoronato e a loro servivano tutti gli Angeli. Essi erano una tale moltitudine come gli atomi nel sole; promanava dall'Agnello uno splendore ammirabile.

Era poi tanta la moltitudine delle Anime sante, quanta la mia vista non poteva abbracciare in lunghezza, larghezza, altezza e profondità; vidi anche alcuni posti vuoti, ancora da essere riempiti ad onore di Dio. Udii allora salire dalla terra la voce d'un numero infinito di persone che gridavano e dicevano:

O Signore, Dio e Giudice giusto, giudica sopra i Re e i Principi nostri e pensa al sangue da noi versato e ai dolori, alle lagrime delle mogli e dei figli nostri. Guarda la nostra fame e la vergogna nostra, le piaghe, le nostre prigionie, le case incendiate, la violenza e l'onta delle giovanette e delle donne. Guarda all'ingiuria delle chiese e di tutto il clero e vedi le false promesse dei Principi e dei Re e i tradimenti, le esazioni che estorcono con arroganza e violenza, perché non importa loro che muoiano a migliaia, basta che essi possano allargare la loro superbia. Poi gridavano dall'inferno genti quasi infinite e dicevano: Sappiamo, o Giudice, che sei il Creatore di tutti. Giudica i nostri Padroni, che abbiamo servito in terra, perché furono loro a sprofondarci più giù nell'inferno. E anche se non abbiamo nulla contro di te, tuttavia la giustizia ci costringe a lagnarci e a dire la verità. Difatti questi nostri Signori della terra ci amarono senza carità, perché si curarono delle nostre anime non più dei cani. A questi nostri Signori fu indifferente che noi amassimo te, Dio, Creatore di tutti. Essi piuttosto desiderarono d'essere amati e serviti da noi. Per questo, essi non sono degni del cielo, ma dell'inferno, se non li aiuti la tua grazia, perché ci hanno perduti. Perciò noi vorremmo patire anche più di quel che patiamo, perché la loro pena non finisca mai.

Poi quelli che erano in Purgatorio, parlando in similitudini, dicevano: O Giudice, noi fummo destinati al Purgatorio, per la contrizione e buona volontà avuta alla fine della vita. Perciò ci lamentiamo contro i Signori, che ancora vivono in terra; essi infatti ci avrebbero dovuto guidare e ammonire con le parole e le correzioni e istruirci con i buoni consigli e gli esempi. Essi invece ci incoraggiavano e incitavano piuttosto ad opere cattive e a peccati e perciò, per loro causa, la nostra pena è ora più grave e il tempo della pena più lungo, e la vergogna e la tribolazione sono maggiori. Poi Abramo con tutti i Patriarchi parlò, dicendo: O Signore, fra tutte le cose desiderabili, noi desiderammo che nascesse dalla nostra progenie il Figlio tuo, ora dai Principi della terra disprezzato. Perciò chiediamo che siano giudicati, perché non si curarono della tua misericordia, né temettero il tuo giudizio.

Parlarono allora i Profeti e dissero: Noi profetammo circa la venuta del Figlio di Dio e dicemmo ch'era necessario, per liberare il popolo, ch'egli nascesse dalla Vergine, fosse tradito, catturato, flagellato, coronato di spine e infine morisse in croce, per aprire il cielo e distruggere il peccato. Ordunque, giacché tutto ciò che abbiamo predetto s'è adempiuto, chiediamo perciò il giudizio sopra i Principi della terra, che disprezzano il Figlio tuo, ch'è morto per amor loro.

Anche gli Evangelisti dicevano: Noi siamo stati testimoni che il Figlio tuo adempì in se stesso tutte le cose predette. Gli Apostoli pure dicevano: Noi siamo i giudici e tocca a noi giudicare secondo verità. Perciò essi, che disprezzano il Corpo di Dio e i suoi precetti, li condanniamo alla perdizione.

Dopo questo, disse la Vergine che sedeva con l'Agnello: O Dolcissimo Signore, abbi pietà di loro. E a lei il Giudice disse: Non è giusto negarti qualcosa. Pertanto, se desistono dal peccare e fanno proporzionata penitenza, troveranno misericordia e stornerò dal loro capo il giudizio.

Dopo queste cose, vidi che quella faccia, che si vedeva nell'Agnello, parlava al Re dicendo: Io ti ho fatto una grande grazia; ti mostrai infatti la mia volontà, come ti dovevi comportare nel tuo regime e come dovessi farlo onestamente e prudentemente. Ti ho anche attratto come una madre con dolci parole d'amore e come un buon padre ti ho atterrito con le ammonizioni. Ma tu, obbedendo al diavolo, mi allontanasti da te, come una madre che getta via un aborto, che non osa toccare, né porgli il seno alle labbra. E perciò ogni bene a te promesso, ti sarà tolto e sarà aggiunto a qualche tuo discendente.

Dopo, io vidi la Vergine, che sedeva con l'Agnello, la quale mi diceva: Io voglio spiegarti com'è che ti è stato dato di comprendere le visioni spirituali. In modi diversi, difatti, i Santi di Dio ricevettero lo Spirito Santo. Alcuni, come i Profeti, sapevano già prima il tempo, in cui sarebbe avvenuto quello che era loro mostrato; altri Santi sapevano in spirito le cose da riferire alle persone, quando sarebbero stati interrogati; altri poi sapevano se erano viventi o morti, quelli che erano da loro lontani. Alcuni sapevano anche qual fine potesse avere l'esito di qualche battaglia, prima che fosse ingaggiata. Ma a te non è consentito saper altro che udire e vedere le cose spirituali e quello che vedi scriverlo e comunicarlo alle persone cui ti sarà comandato. E non ti è concesso di sapere se son morti o vivi, quelli per i quali ti si comanda di scrivere o se obbediranno o no al consiglio di ciò che scrivi o alla visione spirituale, concessati da Dio per loro. Ma, se questo Re avrà disprezzato le mie parole, ne verrà un altro che le accoglierà con riverenza e onore e se ne servirà per la sua salvezza.