sabato 23 luglio 2011

Brigida di Svezia: Le "Rivelazioni" (3)


Ciò che disse Cristo a santa Brigida. Le rivelazioni


Le Rivelazioni Celesti di Santa Brigida di Svezia - Libro Terzo

Parole di Ambrogio alla sposa circa la preghiera dei buoni per il popolo e come per i Governatori, per i Signori secolari e per la Chiesa nelle tempeste sia indicata la superbia e, nel Porto, il passaggio alla Verità. Parole anche circa la chiamata spirituale della sposa.

Capitolo Quinto

Sta scritto che gli amici di Dio un tempo, pregando Dio, imploravano di aprire il cielo e scendere a liberare il popolo suo Israele. Ugualmente, in questi tempi, gli amici di Dio pregavano dicendo: O benignissimo Dio, noi vediamo morire un popolo innumerevole in pericolose tempeste, perché i Governatori sono esosi, tesi come sono soltanto e sempre alle cose terrene, dalle quali credono di poter ricavare i vantaggi maggiori. Perciò portando se stessi e il popolo là dove è più forte la violenza delle onde e poiché il popolo non conosce il porto sicuro, ne segue che è in pericolo un popolo numeroso, essendo troppo pochi quelli che arrivano a buon porto. Perciò, o Re d'ogni gloria, ti preghiamo che tu ti degni illuminare il porto, sicché il popolo possa scampare i pericoli e non ascoltare gli iniqui Governanti, ma raggiungere col tuo lume benedetto il buon porto.

Per codesti Governanti intendo tutti quelli che hanno potere civile o spirituale nel mondo. Molti di loro difatti sono tanto amanti della propria volontà, che non si curano del bene delle anime e dei loro sudditi, volontariamente impigliandosi tra le furiose tempeste del mondo, quali la superbia, la cupidigia, la corruttela – in queste cose imitati dalla povera comunità che crede di seguire la retta via. E così periranno essi, assieme ai loro sudditi, andando dietro a ogni loro appetito.

Con il porto, invece, io intendo l'accesso alla verità, la quale ora è per molti così offuscata, che se uno dice che la via diretta al porto della patria celeste è il santissimo Vangelo di Cristo, essi affermano non essere vero, andando piuttosto dietro a quelli che commettono ogni peccato e non credendo a quelli che predicano l'evangelica verità. Per la luce poi, chiesta a Dio dai suoi amici, intendo una tal quale rivelazione da fare nel mondo, alla scopo di poter rinnovare la carità di Dio nei cuori degli uomini, per non dimenticare e trascurare la sua giustizia. Perciò piacque a Dio, per la sua misericordia e per le preghiere degli amici suoi, di chiamare te, nello Spirito Santo, a vedere, udire e capire spiritualmente, affinché quello che tu capisci nello spirito, lo riveli agli altri per volontà di Dio.



Discorsi della Madre alla figlia con i quali Ella spiega le parole di Cristo e paragona mirabilmente i suoi esempi a un tesoro, la Divinità a un castello, i peccati alle fiere, le virtù ai muri, la bellezza del mondo e la gioia dell'amicizia a due fossi e come si deve comportare il Vescovo nella cura delle anime.

Capitolo Tredicesimo

La Madre di Dio parla alla sposa del Figlio e dice: Quel Vescovo mi prega per la sua carità e deve perciò fare ciò che mi sta molto a cuore. Io conosco infatti un tesoro, il cui possessore non sarà mai povero. Chi lo vedrà, non proverà tribolazioni e morte. Chiunque lo desidera, avrà con gioia quel che vuole. Ma questo tesoro sta nascosto in un castello, guardato da quattro fiere, e questo castello ha delle mura alte, grosse e massicce; fuori le mura scorrono due fossati larghi e profondi. Perciò lo esorto a oltrepassarli con un sol passo. Salga sulle mura con un sol passo, elimini le fiere con un sol colpo e così presenti a me una cosa preziosissima.

Ora ti dirò che cosa significano queste cose. Da voi si chiama tesoro, quel che raramente è usato e di rado è rimosso. Questo tesoro sono le parole del Figlio mio e i suoi preziosissimi esempi, che dette prima e durante la passione, e le cose meravigliose che fece quando prese in me carne, e quel che fa ogni giorno sull'altare, quando per la parola di Dio il pane diventa carne. Il tesoro preziosissimo sono tutte queste cose, ora così trascurate e dimenticate, perché son pochissimi quelli che le ricordano e se ne servono a loro giovamento. Quel corpo glorioso del Figlio di Dio giace in un castello fortificato, cioè nella potenza della Divinità. Come infatti il castello difende dai nemici, così la potenza della Divinità del Figlio mio difende il corpo della sua umanità affinché nessun nemico gli nuoccia.

Le quattro fiere poi sono i quattro peccati, che allontanano molti dal comunicare alla bontà e potenza del corpo di Cristo. Il primo è la superbia e l'attaccamento agli onori del mondo. Il secondo è la cupidigia dei beni del mondo. Il terzo è la sporca voluttà dell'immoderato riempirsi di cibo, sporchissima nell'eliminarlo. Il quarto è l'ira, l'invidia e la negligenza circa la propria salvezza. Questi quattro peccati sono amati da molti e per la loro amicizia, troppo si allontanano da Dio. Vedono infatti e prendono il Corpo del Signore, ma la loro anima è lontana da Dio, come (quella dei) ladri che desiderano rubare, ma non possono per le forti fiere che ci sono.

E perciò ho detto che bisogna vincere le quattro fiere d'un colpo solo. Il colpo poi significa lo zelo delle anime, con cui lo stesso Vescovo deve vincere i peccatori per mezzo delle opere di giustizia, fatte per divina carità, sicché vinte le fiere dei vizi, il peccatore possa pervenire al prezioso tesoro. E sebbene non possa arrivare a colpire tutti i peccatori, faccia il suo dovere come può, specie verso i suoi, non risparmiando né piccoli né grandi, né vicini, né cognati, né nemici, né amici. Così fece quel S. Tommaso inglese, che patì molte tribolazioni per la giustizia e morì poi di dura morte, perché non s'astenne dal percuotere con giustizia i corpi degli ecclesiastici, affinché ne soffrisse meno l'anima. Lo imiti quel Vescovo, sicché udendolo capiscano che egli ha in odio il peccato in sé e negli altri; e allora con tal colpo del divino zelo sarà ascoltato al cospetto di Dio e degli Angeli, sopra tutti i cieli e molti si convertiranno e miglioreranno, dicendo: Non odia noi, ma i nostri peccati; convertiamoci dunque e saremo amici di Dio e suoi.

I tre muri, poi, che circondano il castello sono tre virtù. La prima è il distacco dai piaceri carnali, facendo la volontà di Dio. La seconda è voler piuttosto patire ingiurie e danni per la verità e la giustizia, che aver onori e beni al mondo, rinnegando la verità. La terza è quella di non risparmiare la vita, neppure dei buoni, per la salvezza di ogni cristiano.

Ma guarda ora che fa l'uomo. In effetti, gli pare che i predetti muri siano così alti, da non poter essere assolutamente oltrepassati. Perciò i cuori degli uomini non s'accostano con assiduità a quel gloriosissimo Corpo e le loro anime sono lontane da Dio. Perciò ho comandato al mio amico di oltrepassare i muri con un sol passo. Da voi si dice « passo » quando i piedi hanno la massima distanza fra loro, per trasferire celermente il corpo. Così è del passo spirituale. Se infatti il corpo è in terra e il cuore è in cielo, allora si passano i tre muri predetti; infatti l'uomo riesce a lasciare la propria volontà, a sopportare rifiuti e persecuzioni per la giustizia e anche a morire di buon grado per l'onore di Dio, solo se considera le cose celesti.

I due fossati, poi, fuori le mura, sono la bellezza del mondo e la presenza e l'amicizia degli amici del mondo. In questi fossi molti liberissimamente preferirebbero adagiarsi e mai si curerebbero di veder Dio in cielo. E perciò questi fossi son larghi e profondi: larghi, perché la volontà di tali uomini è da Dio lontana in lungo e in largo; e sono anche profondi, perché contengono molti nel profondo inferno. Perciò questi fossi bisogna oltrepassarli d'un salto. Cos'è infatti il salto spirituale, se non il distacco del cuore dalle vanità e l'ascesa dalle cose terrene al Regno dei cieli?

Ecco, adesso è chiaro come devono essere annientate le fiere e oltrepassati i muri. Ora ti mostrerò come codesto Vescovo dovrà offrire la cosa più preziosa, che mai sia stata. La Divinità fu ed è dall'eternità, senza principio, perché non può in essa trovarsi principio né fine. L'Umanità invece fu nel mio corpo e prese da me carne e sangue. Perciò è essa la cosa più preziosa che mai fu o sia. Quando dunque l'anima del giusto riceve nella carità il Corpo di Dio in sé ed il Corpo di Dio la riempie, allora vi è in lei la cosa più preziosa che mai sia stata. Difatti, sebbene la Divinità sia nelle tre Persone, senza principio e senza fine in se stessa, tuttavia quando il Padre mandò il Figlio suo con la Divinità e lo Spirito Santo a me, allora assunse da me il suo Corpo benedetto.

Ordunque mostrerò a codesto Vescovo come quella preziosissima cosa bisogna offrirla al Signore. Dovunque l'amico di Dio trovi un peccatore, nelle sue parole c'è un po' di amore a Dio, ma un grande amore per il mondo: l'anima è vuota di Dio. Perciò l'amico di Dio abbia carità, addolorato che un'anima redenta dal sangue del Creatore sia nemica di Dio. E compatisca quella povera anima, rivolgendole quasi due voci: con l'una prega Dio di aver pietà di quell'anima, con l'altra addita all'anima il suo pericolo. Se poi unisce in una queste due voci, allora presenta a Dio con le sue mani la cosa preziosissima. Infatti, grandissimo è il mio compiacimento quando il Corpo di Dio, che fu in me, e l'anima da Dio creata, s'uniscono in una sola amicizia, e non fa meraviglia. Io infatti ero presente quando quell'egregio soldato, il Figlio mio, uscì da Gerusalemme per andare a combattere quella guerra, così crudele e terribile che si tendevano tutti i suoi nervi. La sua schiena era livida e insanguinata. I piedi forati dai chiodi, gli occhi e le orecchie pieni di sangue. Inclinò il capo, quando emise lo spirito. Anche il cuore gli fu spezzato con la lancia aguzza; e così, col massimo dolore, salvò le anime.

Colui che siede ora sul trono di gloria, stende il suo braccio agli uomini; ma pochissimi sono coloro che gli presentano la sposa. Perciò l'amico di Dio non indulga alla vita e ai beni (terreni), bensì giovi agli altri e a se stesso, presentandoli al Figlio mio. Dite dunque a codesto Vescovo, che mi chiede come sua cara amica, ch'io voglio dargli la mia fede e legarlo a me in un sol vincolo. Infatti, il Corpo di Dio, che fu in me, riceverà in sé la sua anima, con grande carità, affinché, come il Padre fu in me col Figlio, il quale accolse in sé il mio corpo e la mia anima, e come anche lo Spirito Santo, che è nel Padre e nel Figlio, fu dovunque con me, così il mio servo sarà a me legato con lo stesso spirito. Quand'egli infatti ama la passione di Dio e ha in cuor suo carissimo il Corpo di Lui, allora ha la sua personale umanità unita interiormente alla Divinità: Dio è in lui e lui è in Dio, come Dio è in me ed io sono in Dio. Quando il mio servo ed io avremo così un solo Dio, allora avremo anche un solo vincolo di carità, nello Spirito Santo, che è col Padre e con il Figlio un Solo Dio. Aggiungi ancora, un solo Verbo.

Se codesto Vescovo tiene fede alla promessa fatta a me, io gli sarò di giovamento durante la vita. Alla fine poi della vita voglio servirlo ed essere presente per presentare l'anima sua a Dio, e dirò così: O mio Dio, costui ti ha servito e obbedito, perciò presento a te l'anima sua.

O figlia, che cosa pensa l'uomo che disprezza l'anima sua? Nella sua incomprensibile Divinità avrebbe mai Dio Padre mandato il Figlio suo innocente a patire sulla terra una così dura pena, se non fosse per quel trasporto di letizia e di amore, che ha verso le anime e per quell'eterna gloria che ha loro preparata?

NB.: Questa rivelazione riguarda il Vescovo di Linköping, che poi fu Arcivescovo. A lui si riferisce anche la rivelazione del libro VI, cap. 22, che comincia: Quel Prelato...

Aggiunta relativa allo stesso Vescovo: Il Vescovo, per il quale tu preghi, venne a un po' di Purgatorio; stai certa però, che pur avendo avuto in terra tanta gente contraria, sono tutti giudicati ed egli per la fede e purezza sua sarà con me nella gloria.



Invocazione a Cristo della sposa afflitta da diversi e futili pensieri, che non riesce a scacciare. Cristo risponde alla sposa che cio è permesso da Dio. Grande utilità dei sentimenti di dolore e di timore a confronto della corona e come il peccato veniale non debba essere disprezzato, perché non conduca a quello mortale.

Capitolo Diciannovesimo

Parla il Figlio alla sposa: Figlia, perché ti preoccupi e sei agitata? Ella risponde: Perché sono presa da vari e vani pensieri e non posso liberarmene e mi turba udire il tuo giudizio terribile.

Risponde il Figlio: Questa è vera giustizia. Come prima ti dilettavi degli affetti del mondo contro la mia volontà, così ora permetto ti vengano codesti pensieri contro il tuo volere. Temi però con misura e confida assai in me, tuo Dio, sapendo sicurissimamente che quando la mente non si compiace nei pensieri peccaminosi, ma vi resiste, detestandoli, essi sono purificazione e corona dell'anima. Se poi t'accorgi di compiacerti in qualche piccolo peccato, che sai essere peccato, e lo fai, trascurando d'astenerti e presumendo della grazia e non ne fai penitenza né altra emenda, sappi ch'esso può diventare mortale. Perciò se ti viene in mente qualche dilettazione di peccato, qualunque sia, rifletti subito dove va a finire e pentiti.

Dopo che, infatti, la natura umana s'è indebolita, da tale debolezza proviene spesso il peccato. Non c'è infatti uomo, che non pecchi venialmente. Ma Dio misericordioso ha dato all'uomo il rimedio, e cioè il pentimento d'ogni peccato anche di quelli già emendati, se per caso non se ne sia fatta adeguata emenda. Nulla infatti Dio odia di più che il sapere d'aver peccato e non curarsene o il presumere dei propri meriti, quasi Dio tollerasse qualche tuo peccato, perché non può essere onorato se non da te, o ti permettesse di compierne anche uno solo, dato che hai già fatto tanto altro bene. Anche se avessi pur fatto milioni di atti buoni, non basterebbero per redimere un solo peccato, data la bontà e la carità di Dio. Temi perciò in modo ragionevole e, se non riesci a scacciare questi pensieri, abbi almeno pazienza e sforzati con la volontà contraria. Infatti non ti dannerai perché essi ti vengono, ma se ne prendi diletto.

Anche se non acconsenti ai pensieri, temi di cadere in superbia. Chi sta in piedi, infatti, sta solo per forza di Dio. Perciò il timore è come un'introduzione al cielo; molti infatti caddero nel baratro della propria morte, perché avevano allontanato da sé il timore di Dio e si vergognarono di confessare davanti a Dio. Perciò mi rifiuterò di sollevare dal peccato chi trascura di chiedere perdono. Aumentando i peccati con la pratica, quello che era perdonabile per il pentimento essendo veniale, diventa, per negligenza e disprezzo, assai grave, come potrai comprendere in quest'anima già giudicata. Dopo che commise infatti il peccato veniale e perdonabile, l'aumentò per l'abitudine, confidando in alcuni suoi meriti e in alcune opere da poco, non pensando al mio giudizio. E così, l'anima adescata dall'abitudine alla disordinata affezione, non si emendò né frenò la volontà di peccato, fino a che non venne l'ultimo momento e fu pronto il giudizio. Mentre si avvicinava la fine, ancor più s'avviluppava miserabilmente la sua coscienza, si addolorava di dover presto morire costretta a separarsi da quel piccolo bene terreno che amava.

Dio infatti sopporta l'uomo fino all'ultimo e aspetta, semmai il peccatore voglia rimuovere totalmente la sua libera volontà, dall'affetto al peccato. Ma quando la volontà non si corregge, l'anima è avvinta quasi invincibilmente, perché il Diavolo sa che ognuno sarà giudicato secondo la coscienza e la volontà e fa ogni sforzo in quel punto, affinché l'anima prenda la cosa alla leggera e s'allontani dalla retta intenzione. E Dio lo permette, perché l'anima, quando doveva, non volle vigilare.

Non voler poi considerare e presumere troppo, se chiamo qualcuno amico e servo, come prima ho chiamato costui, perché anche Giuda fu chiamato amico e Nabuccodonosor servo. Ma come dissi direttamente: « Voi siete miei amici, se farete quel che vi comando », così dico ora: sono amici quando mi imitano, nemici quando, disprezzando i miei comandamenti, mi perseguitano. Forse che David non peccò di omicidio dopo che l'ebbi detto uomo secondo il mio cuore? E Salomone non decadde dalla sua bontà, pur avendo ricevuto tanti doni ammirabili e tante promesse? La promessa non s'adempì in lui, a causa della sua ingratitudine, ma in me, Figlio di Dio. Perciò come nei tuoi contratti si mette la clausola con la finale, così io nel mio parlare appongo questa clausola con la finale, così io nel mio parlare appongo questa clausola finale: se qualcuno farà la mia volontà e lascerà la sua eredità, avrà la vita eterna. Chi invece ascolterà, ma non persevererà nelle opere, sarà come il servo inutile e ingrato. Ma neppure devi diffidare, se chiamo qualcun altro nemico, perché appena il nemico volge la volontà verso il bene, subito è amico di Dio. Non era Giuda uno dei Dodici, quando dissi: Voi siete miei amici, perché mi avete seguito e sederete sopra i dodici seggi? Allora Giuda mi seguiva, ma non sederà con i Dodici. Come s'adempiono allora le parole di Dio?

Ti rispondo: Dio, che vede i cuori e le volontà degli uomini, secondo questa li giudica e li rimunera per quel che vede. L'uomo, invece, giudica per quel che vede in faccia. Perciò, affinché non insuperbisse il buono, né diffidasse il cattivo, Dio chiama all'apostolato sia i buoni che i cattivi e ogni giorno chiama agli onori i buoni e i cattivi, affinché chiunque in vita esercita un ufficio si glori nella vita eterna. Chi poi ha dignità senza il peso (dei doveri) se ne glori nel tempo, essendo destinato alla morte eterna. Poiché dunque Giuda non mi seguiva con cuore perfetto, non valeva per lui quel « mi avete seguito », perché non perseverò sino al premio; bensì valeva per quelli che avrebbero perseverato, sia allora che poi. Giacché il Signore, alla cui presenza io sto, parla a volte al presente di cose che riguardano il futuro e di quelle da fare come se fossero già fatte; talvolta unisce anche passato e futuro e usa il passato per il futuro, perché nessuno ardisca porre in discussione gli imperscrutabili consigli della Trinità.

Ascolta ancora una parola: Molti sono i chiamati, pochi invece gli eletti. Così costui è stato chiamato all'episcopato, ma non è eletto, perché è ingrato alla grazia di Dio. Perciò, vescovo di nome ma decaduto dal merito, sarà trattato come quelli che scendono e non salgono.

Aggiunta.

Il Figlio di Dio parla e dice: Ti meravigli, o figlia, che un vescovo fece una bellissima fine e un altro una fine orrenda, perché gli cadde una parete addosso e poco sopravvisse, e quel poco in gran dolore. Ti dico quel che dice la Scrittura, anzi io stesso, che il giusto di qualunque morte muoia è giusto presso Dio, mentre gli uomini del mondo reputano giusto quello che fa una bella fine senza dolori e vergogna. Dio invece ritiene giusto colui che è provato da lunga astinenza o che ha sofferto per la giustizia, perché gli amici di Dio sono tribolati in questo mondo e avranno minor pena in futuro o maggior gloria in cielo. Pietro e Paolo infatti son morti per la giustizia, ma Pietro morì più amaramente di Paolo, perché amò la carne più di Paolo e perché, avendo ricevuto il primato nella mia Chiesa, dovette a me assomigliare con una morte più crudele. Paolo invece, che amò di più la castità e faticò di più, ebbe la spada come egregio soldato, perché io dispongo le cose secondo i meriti e secondo misura. Perciò nel giudizio di Dio, non sono corona o condanna la fine o la morte spregevole, ma l'intenzione e la volontà degli uomini e la loro causa.

Così e di questi due Vescovi: Uno infatti soffrì di buona volontà più amarezze ed ebbe una morte più spregevole; l'altro morì con minori pene, ma non per la gloria, perché non soffriva di buona volontà; e perciò l'altro conseguì una fine gloriosa. Questo avvenne secondo la mia segreta giustizia, ma non per il premio eterno, perché non corresse la sua volontà durante la vita.



Parole della Madre alla figlia, riguardanti, con alcuni esempi, la magnificenza e la perfezione della vita di S. Benedetto. Com'è indicata in un legno sterile l'anima non fruttuosa, nella pietra la superbia della mente, e nel cristallo l'anima fredda; tre scintille da osservare nel cristallo, nato da pietra e legno.

Capitolo Ventunesimo

Parla la Madre di Dio: Ti ho detto già che il corpo di S. Benedetto era come un sacco, che veniva disciplinato e si reggeva, ma non reggeva. Inoltre l'anima sua era quasi un Angelo, che emanò da sé grande calore e fiamma, come voglio mostrarti con un esempio. Come se fossero tre fuochi: il primo da mirra, per cui emanò odore soave; il secondo, acceso all'asciutto, da cui provennero carboni ardenti e fulgenti di splendore; il terzo, acceso dall'olivo, che diede fiamma, luce e calore. In questi tre fuochi intendo tre persone e in esse i tre stati nel mondo.

Il primo stato era di quelli che, considerando la carità di Dio, misero la propria volontà nelle mani degli altri, assunsero la povertà e l'abbiezione al posto della vanità e della superbia del mondo, amarono la castità e la purezza al posto dell'incontinenza. Questi tali ebbero fuoco, proveniente da mirra, perché come la mirra è amara e scaccia tuttavia i Demoni e toglie la sete, così l'astinenza da quelle cose era amara al corpo, distruggeva il seme della concupiscenza disordinata e svuotava d'ogni potere il Diavolo. Il secondo stato era di quelli che pensavano così: A che pro ameremo gli onori del mondo, non trattandosi d'altro che d'aria che arriva agli orecchi? E a che pro ameremo l'oro, se non è altro che terra rossa? E che fine è poi quella della carne, se non putredine e fuoco? A che ci giova desiderare le cose terrene, quando tutto è vanità? Perciò vogliamo soltanto vivere e lavorare perché Dio sia onorato in noi e negli altri e che con le nostre parole e con i nostri esempi siano infiammati per Iddio. Questi tali ebbero il fuoco proveniente dall'asciutto, perché era morto in loro l'amore del mondo e ognuno di loro produceva carboni ardenti di giustizia e fulgore di divina predicazione.

Il terzo stato era di quelli che, accesi dall'amore della passione di Cristo, con tutto il cuore desideravano morire per Cristo. Questi ebbero il loro fuoco acceso all'olivo. Come infatti l'olivo è in sé grasso e produce più calore quand'è acceso, così questi tali furono tutti impregnati della divina grazia, da cui trassero, per darlo, il lume della scienza divina, l'ardore della più ardente carità, la forza d'una edificantissima conversazione.

Questi tre fuochi si diffusero ovunque. S'attaccò per primo quello degli Eremiti e dei Cenobiti, come scrive Girolamo. Il secondo fu quello dei Confessori e dei Dottori. Il terzo quello dei Martiri, che spregiarono la propria carne, per Dio, e altro ancora avrebbero osato, con l'aiuto di Dio. Ad alcuni di questi tre stati e fuochi fu mandato S. Benedetto, il quale fuse in uno solo questi tre fuochi, per cui erano illuminati gli insipienti, infiammati i freddi e quelli che erano già ferventi si infervoravano ancora più. E con questi tre fuochi ebbe inizio l'Ordine di Benedetto, che dirigeva ognuno, secondo la propria disposizione e capacità, nella via della salvezza e dell'eterna felicità. Orbene come dal corpo di S. Benedetto spirava la dolcezza dello Spirito Santo, per cui si fondavano molti Monasteri, così dal corpo di molti suoi fratelli lo Spirito Santo uscì, cosicché il fuoco è diventato cenere, ormai sono spente le fiamme e non danno più calore, né luce, ma fumo di impurità e di cupidigia.

Ma a sollievo comune, Dio mi diede tre scintille, con le quali intendo più cose. La prima scintilla è tratta dal cristallo col calore e con la luce del sole, che se si concentra sul secco, ne viene fuori una gran fiamma. La seconda è estratta dalla dura pietra. La terza dal legno selvatico, che crebbe con le sue radici e con le sue foglie.

Col cristallo, ch'è appunto una pietra fredda e fragile, s'intende quell'anima, la quale sebbene sia fredda nell'amor di Dio, tuttavia si sforza con la volontà e l'affetto di tendere verso la perfezione e prega Dio che l'aiuti. Perciò questa volontà la porta a Dio e merita che crescano le sue aspirazioni, per le quali si raffredda la tentazione cattiva, finché Dio irraggiandole il cuore, si fissa tanto in quell'anima da svuotarla d'ogni vano diletto, cosicché ella non vuole più vivere se non per l'onore di Dio. Nella pietra è indicata la superbia. Che c'è infatti più duro della superbia di quella mente, che desidera tutti gli elogi e tuttavia ama farsi stimare umile e sembrare anima pia? Chi più abominevole di quell'anima che, nei suoi pensieri, si preferisce a tutti e da nessuno sopporta d'essere rimproverata o istruita? Eppure molti, a questo modo superbi, chiedono umilmente a Dio che dai loro cuori siano tolte la superbia e l'ambizione. Per questo, Iddio con l'aiuto della buona volontà rimuoverà dal loro cuore gli ostacoli e le mollezze, in modo da essere ritratti dalle cose mondane e incitati a quelle celesti.

Nel legno secco poi è indicata l'anima che, nutrita nella superbia, fa frutti per il mondo e desidera avere il mondo e ogni suo onore. Ma siccome teme la morte eterna, sradica molti rami di peccato, che altrimenti commetterebbe se non avesse quel timore. Per cui Dio, per quel timore, s'accosta all'anima e le ispira la grazia sua, affinché il legno secco diventi fruttifero.

Con queste scintille si deve rinnovare l'Ordine di S. Benedetto, oggi tanto desolato e abbattuto.



Risposta di Gesù Cristo alle preghiere della sposa per gli infedeli. Come Dio ricavi onore dalla malizia dei cattivi, anche se non per la loro virtù e la loro volontà. Lo prova con un esempio, nel quale sono indicati la Chiesa o l'anima in una vergine, i nove Cori degli Angeli nei nove fratelli della vergine. Cristo nel Re, i tre stati degli uomini nei tre figli del Re.

Capitolo Ventiquattresimo

Signor mio Gesù Cristo, ti prego che la tua fede si diffonda fra tutti gli infedeli, che i buoni s'accendano ancora più del tuo amore, che i cattivi migliorino.

Rispose il Figlio: Tu ti turbi come se Dio abbia meno onore. Perciò ti porto un esempio, col quale potrai capire che Dio è onorato anche dalla malizia dei cattivi, anche se non per loro virtù e volontà.

C'era infatti una certe vergine saggia e devota, ricca e morigerata e aveva nove fratelli, i quali amavano ognuno la propria sorella come il proprio cuore, come se questo cuor loro fosse in lei. Nel regno poi, dove era quella vergine, era stabilito che chiunque avesse dato, ricevesse onore; chi rubasse, fosse derubato; chi poi violentasse, fosse decapitato. Il Re di questo regno aveva tre figli. Il primo di loro amava la vergine e le offrì calzari d'oro, una cintura d'oro, l'anello al dito e una corona in capo. Il secondo desiderò i suoi beni e la depredò. Il terzo desiderò la verginità della vergine, tentando di violarla.

Ora questi tre figli del Re furono catturati dai nove fratelli della vergine e presentati al Re. Dissero i fratelli: I tuoi figli hanno desiderato nostra sorella; il primo l'ha onorata e amata con tutto il cuor suo; il secondo l'ha depredata; il terzo avrebbe dato volentieri la vita, se avesse potuto violarla. Li abbiamo catturati quando la loro volontà era pronta a far queste cose. Ciò udito, il Re rispose: Son tutti e tre figli miei e li amo tutti egualmente. Ma non posso né voglio agire contro giustizia, e intendo giudicare dei figli e dei servi. Perciò tu, figlio mio, che hai onorato la vergine, vieni, ricevi l'onore e la corona col Padre tuo. Tu poi, figlio mio, che ne desiderasti i beni e li rubasti, andrai sì in carcere finché non restituisci il mal tolto fino all'ultimo quadrante, giacché, come mi è stato testimoniato, te ne sei pentito e volevi riparare, ma non potesti farlo perché sorpreso dai fatti e improvvisamente tratto in giudizio. Tu poi, figlio mio, che facesti ogni sforzo per violare la vergine e non te ne sei pentito, sia aggravato il tuo castigo in tanti modi quanti usasti per disonorarla.

Tutti i fratelli della vergine risposero: Lode a te, o giudice, per la tua giustizia. Se non ci fosse stata virtù in te ed equità nella tua giustizia e carità nella tua equità, mai si sarebbe così giudicato. Questa vergine è la santa Chiesa, ben adorna per la fede, bella dei sette Sacramenti, pregevole nei costumi per le virtù, amabile nel tratto, perché addita la vera via all'eternità. Questa santa Chiesa ha come tre figli, nei quali sono indicati molti. Il primo, rappresenta quelli che amano Dio con tutto il cuore. Il secondo, quelli che desiderano le cose temporali a proprio onore. Il terzo, quelli che preferiscono la propria volontà a Dio. La verginità poi della Chiesa rappresenta le anime create dalla sola potenza di Dio.

Il primo figlio dunque regala i calzari d'oro, quando s'affligge per le negligenze e i peccati commessi. Presenta poi le vesti, quando osserva i comandamenti, osserva i consigli evangelici per quanto può. Dà poi la cintura, quando propone fermamente di perseverare nella continenza e nella castità. Le mette l'anello al dito, quando crede fermamente quel che comanda la santa Chiesa Cattolica, cioè il giudizio futuro e la vita eterna. Pietra dell'anello è la speranza, sperando costantemente di aver con la penitenza il perdono di ogni peccato, per quanto abominevole sia. Le mette poi la corona in testa, quando ha la vera carità: 1) Come infatti nella corona ci sono diverse pietre, così diverse virtù sono nella carità. 2) La testa poi dell'anima, ossia della Chiesa, è il corpo mio: chiunque lo ama e onora, è detto giustamente figlio di Dio. Chiunque perciò in tal modo ama se stesso e la santa Chiesa, ha nove fratelli e cioè i nove Cori degli Angeli, perché è con loro partecipe e compagno nella vita eterna. Gli Angeli infatti abbracciano tutti con amore totale e la santa Chiesa, come se stesse nel loro cuore. La santa Chiesa infatti non sono le pietre e le pareti, ma le anime dei giusti e perciò del loro onore e progresso gioiscono gli Angeli, come per se stessi.

Il secondo fratello, o figlio, indica quelli che, disprezzando la Costituzione della santa Chiesa, vivono ad onore del mondo e per amore della carne. Essi – offuscando la bellezza delle virtù – vivono secondo la propria volontà; ma poi verso la fine si pentono e detestano il mal fatto. A questi occorre la purificazione, fino a che con le opere e le orazioni si riconcilino con la Chiesa e con Dio. Il terzo figlio indica coloro che, avendo scandalizzato un'anima, non si curano di perire eternamente, pur di portare a compimento i loro piaceri. Sopra costoro, i nove Cori degli Angeli chiedono giustizia, perché non vollero convertirsi a penitenza.

Perciò quando Dio fa giustizia, lo lodano gli Angeli per la sua inflessibile equità. Adempiendosi poi l'onore dovuto a Dio, godono della sua potenza, per la quale si serve per il suo onore della stessa malizia dei cattivi. Perciò quando vedi i cattivi, compatiscili, ma godi dell'eterno onore di Dio. Dio infatti non vuol niente di male, perché Creatore di tutte le cose e Lui solo è buono; ma, come giustissimo giudice, permette molte cose per le quali in terra come in cielo Egli è onorato per la sua equità e segreta bontà.



La moltitudine innumerevole dei Martiri cristiani sepolti a Roma e i tre gradi di perfezione dei Cristiani. Una certa visione della stessa sposa e come Cristo, apparsole, gliene abbia data la spiegazione e interpretazione.

Capitolo Ventisettesimo

O Maria, anche se indegna, chieggo il tuo soccorso. Io ti chiedo di pregare per la nobilissima e santissima città di Roma. Vedo infatti che alcune delle chiese, ove riposano le Ossa dei Santi, sono desolate. Alcune no, ma i cuori e i costumi di quelli che le reggono sono da Dio lontani. Ottieni loro la carità, perché ho appreso da scritti che a Roma ogni giorno dell'anno contiene 7000 Martiri. E anche se le anime non hanno minore onore in cielo, benché le loro ossa siano contenute in terra, tuttavia ti prego che ai tuoi Santi e alle loro Reliquie sia reso più grande onore in terra e sia risvegliata la devozione del popolo.

Rispose la Madre: Se tu misurassi un pezzo di terra di 100 piedi in lunghezza, e altrettanti in larghezza, e lo seminassi di puro grano di frumento, così fittamente che non ci fosse spazio se non d'un sol dito tra grano e grano, a Roma vi sarebbero ancora più Martiri e Confessori, da quando vi arrivò umilmente Pietro, fino a che Celestino abdicò dal trono della superbia e tornò al suo eremo. Parlo di quei Martiri e Confessori che predicavano la vera fede e l'umiltà contro la superbia e che morirono per la fede o erano nella volontà pronti a farlo. In fatti Pietro e molti altri erano così accesi e ferventi nell'annunzio della parola di Dio, che se avessero potuto dar la vita per ciascun uomo, l'avrebbero data volentieri. E tuttavia temettero per la presenza di coloro che da loro favoriti con le parole di consolazione e della predicazione, non li rapissero, perché desideravano più la loro salvezza, che la propria vita e il proprio onore. Ce ne furono anche tanti che agirono per la conquista e la salvezza di molte anime, e perciò si visse segretamente durante la persecuzione. Tra i due perciò, cioè tra Pietro e Celestino, non tutti furono buoni, come neppure tutti furono cattivi. Ecco, ipotizziamo tre gradi, come da te composti oggi: positivo, comparativo, superlativo, cioè buoni, migliori, ottimi.

Nel primo grado vi furono quelli che pensavano così: Noi crediamo tutto ciò che comanda la santa Chiesa. Non vogliamo defraudare alcuno, ma anzi vogliamo restituire e servire a Dio con tutto il cuore. Tali persone vi furono anche al tempo di Romolo, fondatore di Roma. Secondo la loro fede, essi pensavano così: Noi comprendiamo e sappiamo che Dio è il Creatore di tutti; Lui dunque vogliamo amare più di tutti. Molti altri la pensavano così: Noi abbiamo saputo dagli Ebrei che il vero Dio si manifestò loro con chiari prodigi, sicché se noi sapessimo su che cosa fondarci di più, volentieri lo faremmo. Costoro appartennero quasi tutti al primo grado. Quando a Dio piacque, venne a Roma Pietro, che elevò altri al primo grado positivo, altri al comparativo, altri al grado superlativo. Quelli infatti che accolsero la vera fede e furono coniugati o in altro stato onorevole, furono nel grado positivo. Quelli invece che lasciarono le cose proprie, per la divina carità, quelli che dettero buon esempio agli altri, con le parole e gli esempi e le opere, e quelli che niente anteposero a Cristo, furono nel grado comparativo. Quelli poi che offrirono la vita per l'amore di Dio, furono nel grado superlativo.

Ma domandiamoci, in quale di questi gradi suddetti si trova più fervente carità di Dio. Vediamo quale grado si trova nei soldati, nei dottori; fra i religiosi e in quelli che son dediti al disprezzo del mondo, che sembrerebbe debbano appartenere al grado comparativo o al superlativo; e sicuramente ne troveremo ben pochi. Non c'è infatti vita più austera di quella militare, se è inquadrata nella sua istituzione. Se infatti è comandato al monaco di portare la cocolla, al soldato è comandato qualcosa di più pesante, la corazza.

Se è grande per il monaco combattere contro i piaceri della carne, di più è per il soldato andare incontro al nemico armato. Se poi è concesso al monaco un duro giaciglio, più duro è per il soldato l'essere in armi. E se il monaco è afflitto e turbato dall'astinenza, più duro è per il soldato il continui timore per la vita. Non s'è assunta infatti la milizia della Cristianità per l'acquisto del mondo e per la cupidigia, ma a sostegno della verità e a diffusione della vera fede. Perciò il grado militare e quello dei religiosi dovrebbe appartenere al grado superlativo o, almeno, a quello comparativo. Ma tutti i gradi decaddero dalla loro lodevole disposizione, perché l'amore di Dio s'è cambiato in desiderio del mondo. Se infatti fosse dato un sol fiorino di tre, molti tacerebbero la verità piuttosto che perderlo.

Ora parla la sposa e dice: Vidi ancora molti giardini sulla terra e nei giardini rose e gigli. Poi in un luogo spazioso della terra, vidi un appezzamento di 100 piedi di lunghezza e altrettanti di larghezza. A ogni piede vi erano seminati sette grani di frumento, che ogni giorno producevano il centuplo. Dopo queste tre cose udii una voce che diceva: O Roma, Roma, le tue mura sono crollate! Perciò le tue porte non hanno sentinelle, i tuoi altari son profanati, il sacrificio vivo e l'incenso mattutino sono bruciati nell'atrio, e non vien fuori santo odore soavissimo dal Sancta Sanctorum.

E subito, apparendole, il Figlio di Dio disse alla sposa: Ti spiego quello che hai visto. La terra vista significa ogni luogo, dov'è la fede cristiana. I giardini invece son quei luoghi dove i Santi di Dio ricevettero le loro corone. Tuttavia nel Paganesimo, e cioè in Gerusalemme e in altri luoghi, furono molti fra gli eletti di Dio, dei quali per ora non ti sono stati mostrati i luoghi. Il campo poi dei 100 piedi di lunghezza e 100 di larghezza indica Roma. Se infatti tutti i giardini del mondo fossero uniti a Roma, certamente Roma sarebbe ugualmente grande di Martiri (dico nella carne), perché quel luogo fu scelto per l'amore di Dio. Il grano poi, che vedesti fra piede e piede, indica quelli che, per la macerazione della carne, il pentimento e l'innocenza di vita, entrarono in cielo. Le poche rose poi sono i Martiri, arrossati dal proprio sangue versato in diversi luoghi. I gigli poi sono i Confessori, che predicarono e confermarono la fede con le parole e con le opere.

Ora poi posso parlare di Roma, come il Profeta parlava di Gerusalemme. Una volta abitò in essa la giustizia e i suoi Principi erano i Principi della pace. Ora s'è tramutata in rifiuto, e i suoi Principi in omicidi. Oh sapessi i tuoi giorni, o Roma, piangeresti di certo e non saresti allegra. Perché Roma antica era come una tela dipinta d'ogni più bel colore e tessuta di nobilissimo filo. La sua stessa terra era colorata di rosso, cioè del sangue dei Martiri e intessuta delle Ossa dei Santi. Ma ora le sue porte sono abbandonate, perché i difensori e le sentinelle sono dediti alla cupidigia. Le sue mura sono abbattute e senza sentinelle, perché non pensano al danno delle anime, ma il clero e il popolo, muri di Dio, si spartiscono gli utili materiali. I vasi sacri sono spregevolmente venduti, perché i Sacramenti di Dio son distribuiti per soldi e favori del mondo. Gli altari sono diroccati, perché chi celebra con i vasi, ha le mani vuote di carità e gli occhi alle offerte e, sebbene abbiano il vero Dio fra le mani, tuttavia il loro cuore è vuoto di Dio ed è pieno di vanità mondane.

Il santo dei Santi, ove si consumava un tempo il Supremo Sacrificio, significa il desiderio della visione e fruizione di Dio, dal quale dovrebbe salire la carità verso Dio e il prossimo e anche tutto l'ardore della continenza e della virtù. Ma adesso si offre il Sacrificio nell'atrio, cioè nel mondo, poiché tutta la divina Carità s'è degradata in corruttela e vanità mondana. Questa da te vista è la Roma materiale: difatti molti altari son desolati, le cose offerte sono scialacquate nelle cantine. E gli oblatori (i sacerdoti) attendono piuttosto al mondo che a Dio.

Sappi però che dal tempo dell'umile Pietro fino a che salì sul trono della superbia Bonifacio, innumerevoli Anime andarono al cielo. Tuttavia Roma è ancora vuota d'Amici di Dio, i quali se fossero aiutati, griderebbero a Dio ed Egli avrebbe pietà di loro.



Lode della sposa alla Vergine, con la similitudine del Tempio di Salomone e come sia inspiegabile il Mistero dell'Unità di Dio con l'umanità e come le Chiese dei Sacerdoti siano dipinte con vanità.

Capitolo Ventinovesimo

Benedetta sei tu, o Maria, Madre di Dio, tempio di Salomone, le pareti del quale furono dorate, il cui tetto era fulgidissimo, il cui pavimento era fatto di pietre preziosissime, la cui costruzione era tutta splendore, il cui interno era tutto profumato e ammirevole.

In realtà in tutto e per tutto tu rassomigli al tempio di Salomone, nel quale il vero Salomone stava a suo agio e fu intronizzato, nel quale fece entrare l'Arca gloriosa e il candelabro rilucente. Così tu, Vergine benedetta, sei il tempio di quel Salomone, che riappacificò Dio e l'uomo, riconciliò i colpevoli, detta la vita ai morti e liberò i poveri debitori da ogni esazione. Il tuo corpo e l'anima tua son diventati tempio della Divinità; in esso v'è il tetto della divina carità, sotto il quale il Figlio di Dio, uscito dal Padre, gioiosamente con te abitò; il pavimento poi del tempio è composto dalla tua vita nell'esercizio assiduo della virtù. Nessuna bellezza ti mancò, perché tutto fu in te stabile, tutto umile, tutto devoto, tutto perfetto.

Le pareti del tempio son quadrate, perché non fosti sconvolta da insulto, ma esaltata d'onori; non turbata dall'impazienza, soltanto tesa all'onore e all'amore di Dio. Le pitture del tuo tempio furono l'incessante fuoco dello Spirito Santo, col quale s'innalzava l'anima tua, tanto che non c'è nessuna virtù, che non fosse in te più alta e più perfetta di ogni altra creatura. Perciò in codesto tempio Dio si trovò a suo agio, allorquando infuse nelle tue membra la sua venuta dolcissima. Vi si riposò, quando unì la Divinità all'Umanità.

Benedetta dunque sei tu, santissima Vergine, nella quale il grande Dio s'è fatto piccolo figlio, l'eterno Dio e invisibile Creatore s'è fatto creatura visibile. Perciò ti prego di volgermi il tuo viso e aver pietà di me, tu che sei piissima e potentissima Signora. Sei infatti la Madre di Salomone, non di quello che fu figlio di David, ma di colui ch'è il padre di David e il Signore di Salomone, che costruì quel tempio meraviglioso, ch'era la tua figura. Il Figlio esaudirà la Madre, tale e tanta Madre.

Ottienimi dunque che il piccolo Salomone, che dormì dentro di te, sia con me sveglio, affinché nessun diletto peccaminoso mi punga, ma sia perseverante il mio pentimento per i peccati commessi, e sia per me morto l'amore del mondo, costante la pazienza, fruttuosa la penitenza.

Io non ho infatti di mio nulla di virtuoso, se non una parola sola e cioè: Pietà, Maria, perché il mio tempio è tutto il contrario del tuo. È infatti tenebroso di vizi, sporco di lussuria, corrotto dai vermi della cupidigia, instabile per la superbia, labile per la vanità delle cose mondane.

Rispose la Madre: Sia lode a Dio, che ispirò al tuo cuore di rivolgermi questo saluto, perché capisca quanta bontà e dolcezza è in Dio. Ma perché mi paragoni a Salomone e al suo tempio, mentre son la Madre del Figlio, la cui generazione non ha principio né fine; di Colui, del quale si legge che non ha padre né madre, cioè Melchisedech? Questi infatti è detto Sacerdote, ed appartiene ai Sacerdoti il tempio di Dio, per cui io son la Madre del Sommo Sacerdote e Vergine. Ti dico davvero che sono tutt'e due, la Madre cioè di Salomone e la Madre del Sacerdote, che riconcilia. Difatti il Figlio di Dio, che è Figlio mio, è tutt'e due, Sacerdote e Re dei Re. Infine nel mio tempio Egli rivestì spiritualmente le vesti sacerdotali, con le quali offrì il Sacrificio per il mondo. Nella Città regale poi era incoronato della Corona regale, anche se dura. Di fuori, come un fortissimo pugile, teneva il campo e la lotta.

Ora posso lamentarmi che è dimenticato e trascurato questo stesso Figlio mio dai Sacerdoti e dai Re. I Re si vantano dei loro palazzi, dell'esercito, del progresso, del prestigio. I Sacerdoti insuperbiscono dei beni e dei possedimenti temporali delle anime. Come dicesti tu: Il tempio è dorato; così i templi dei Sacerdoti sono dipinti di vanità e di curiosità mondane; alla testa regna infatti la simonia. È stata eliminata l'Arca del testamento, spenta la lampada delle virtù, deserta la mensa della devozione. Esclama la sposa: O Madre della Misericordia, abbi pietà di loro, te ne prego.

E ad essa la Madre risponde: Fin da principio Dio amò tanto i suoi, in modo che non solo siano esauditi nelle preghiere per se stessi, ma anche gli altri sentano gli effetti delle loro preghiere. Perciò, affinché siano esaudite le loro preghiere per gli altri, due cose sono necessarie e cioè la volontà di lasciare il peccato e la volontà di progredire nel bene. Chiunque avrà queste due cose, gli gioveranno le mie preghiere.



Parole di S. Agnese alla sposa, con il paragone del fiore, sul modo di amare la Vergine, e come la Vergine, gloriosa parlando dichiari l'immensa ed eterna pietà di Dio verso la nostra empietà e ingratitudine e come gli amici di Dio non debbano turbarsi nelle tribolazioni.

Capitolo Trentesimo

S. Agnese parla alla sposa e dice: Figlia, ama la Madre della Misericordia. Ella infatti è come un fiore somigliante ad una spada. Ora questo fiore ha due estremità molto aguzze e la cima fragile. Per altezza e lunghezza però sopravanza gli altri fiori. Così Maria è il fiore dei fiori, fiore che crebbe nella valle e arrivò sopra tutti i monti, fiore – ti dico – che s'alimentò a Nazareth e si diffuse nel Libano. Questo fiore fu il più alto, perché la benedetta Regina del Cielo sopravanzò in dignità e autorità ogni creatura. Anche Maria ebbe due punte, cioè le estremità molto aguzze, ossia il ricordo in cuore della Passione del Figlio e la resistenza assidua agli assalti del Diavolo, perché mai consentì al peccato. Ben profetò quel vecchio che diceva: La tua anima sarà trafitta da una spada. Tanti infatti furono i colpi di spada ch'Ella sostenne spiritualmente, quante furono le piaghe del Figlio suo. E quelle piaghe Ella presagiva e vedeva.

Ebbe poi Maria una larghezza sovrabbondante, cioè la misericordia. Infatti è così pia e misericordiosa e disposta a soffrire qualsiasi tribolazione, piuttosto che si perdano le anime. Unita ora al Figlio suo non si dimentica della sua bontà ed estende a tutti la sua misericordia, anche ai pessimi, affinché come sono illuminati dal sole e ammirati delle cose del cielo e della terra, così non vi sia alcuno che, chiedendolo per mezzo di Lei, non ne sperimenti la pietà, per la dolcezza di Maria. Maria ebbe anche la fragile cuspide dell'umiltà. Per essa piacque all'Angelo, dicendo d'essere serva, Lei che veniva eletta Signora. Per essa concepì il Figlio di Dio, perché non volle compiacersi come i superbi. Per essa salì al sommo trono, perché altro non amò che Dio stesso.

Fatti dunque avanti personalmente e saluta la Madre della Misericordia, che viene. Allora comparve Maria e disse: Hai detto, o Agnese, il sostantivo, ma aggiungi l'aggettivo. E Agnese: Dirò che « bellissima » e « virtuosissima » di nessun altro può dirsi se non di te, che sei la Madre della Salvezza di tutti.

E la Madre di Dio rispose alla beata Agnese: Ben dici tu, perché ho più potere di tutti e perciò aggiungerò l'aggettivo e il sostantivo del canale, cioè dello Spirito Santo. Ma vieni e ascoltami. Tu ti addolori che sia diventato fra gli uomini un proverbio questo modo di dire: Viviamo come più ci piace, ché Dio facilmente si placa. Diamoci al mondo e ai suoi onori finché possiamo, poiché per gli uomini è stato fatto il mondo. Davvero, figlia mia, questo parlare non proviene da carità di Dio, né tende o attira alla carità di Dio. Tuttavia Iddio non si dimentica mai della carità sua, ma mostra ognora la sua pietà verso gli uomini ingrati. Egli infatti è uguale a un fabbro, che fa un gran lavoro e ora riscalda il ferro al fuoco, ora lo raffredda. Così Dio, ottimo fabbro, che fece il mondo dal nulla, mostrò la carità sua ad Adamo e ai suoi discendenti. Ma gli uomini si raffreddarono tanto, che commisero ogni eccesso, quasi niente stimando Dio. Perciò, mostrata prima la misericordia con l'avvertimento, Dio mostrò la sua giustizia col diluvio. Dopo il diluvio fece il suo patto con Abramo e gli mostrò i segni dell'amore suo e ne liberò i discendenti con segni e prodigi grandissimi. Di sua bocca dette i Comandamenti con miracoli chiarissimi.

Ma raffreddatosi il popolo, col passar del tempo, venuto in tanta pazzia da adorare anche gli idoli, il buon Dio volendo di nuovo infiammarli, perché freddi, mandò al mondo il proprio Figlio, che insegnò la vera via del Cielo e indicò la vera umiltà da imitare. Ma ora è da tanti troppo avversato e dimenticato, e tuttavia dimostra ancora e fa udire le parole della sua misericordia. E tutto accade ora non diversamente da allora. Prima del diluvio infatti, prima li ammonì e il popolo fu atteso a penitenza. Così dunque Israele, prima che entrasse nella terra promessa, fu provato e fu prorogato il tempo della promessa. Certamente Dio avrebbe ben potuto far uscire il popolo in quaranta giorni e non protrarli a quarant'anni. Ma la giustizia divina esigeva che fosse palese l'ingratitudine del popolo e si manifestasse la misericordia di Dio e il popolo futuro tanto più si umiliasse.

Ora poi, se alcuno volesse domandare perché mai Dio affligga il suo popolo o come mai debba essere eterna una pena, mentre eterna non può essere la vita di chi pecca, sarebbe sommamente audace. Come è audace colui che col pensiero e il ragionamento si sforza di capire e di comprendere in che modo Dio è eterno. Infatti Dio è eterno e incomprensibile e in Lui eterne sono la giustizia e la retribuzione, ineffabile è la misericordia. Se Dio non l'avesse dapprima mostrato agli Angeli, non si sarebbe conosciuta la sua giustizia, che giudica tutto con equità. E se ancora non avesse usato la sua misericordia verso l'uomo, creandolo e liberandolo con infiniti prodigi, come si sarebbe saputa tanta sua bontà e carità così immensa e perfetta? Poiché dunque Dio è eterno, eterna è in Lui la giustizia, senza aggiungere e senza togliere. Come nell'uomo, che progetta il modo e la data dell'opera da fare, così in Dio, quando opera, la sua giustizia ovvero la sua misericordia. Si manifestano compiendola, perché presente, passato e futuro son fin dall'eternità presso di Lui.

Perciò gli Amici di Dio devono pazientare nell'amore di Dio e non inquietarsi, anche se vedono prosperare quelli del mondo. Perché Dio è come un'ottima lavandaia, la quale espone un panno sporco all'acqua più violenta, perché ne esca più netto e pulito e sta attenta che non sia trascinato dalla violenza delle onde. Così pure Dio espone nel presente gli Amici suoi alle procelle della povertà e della tribolazione, perché ne siano purificati per la vita eterna, proteggendoli diligentemente perché non siano travolti dalla troppa tristezza e dalla tribolazione insopportabile.


Libro 5 ”Libro delle Domande”

Ecco come viene introdotta la trattazione: Capitò una volta che Brigida andava a cavallo a Vad­stena essendo accompagnata da parecchi dei suoi ami­ci, che erano anch'essi a cavallo. E mentre cavalcava elevò lo spirito a Dio e subitamente fu rapita e come alienata dai sensi in maniera singolare, sospesa nella contemplazione. Vide allora come una scala fissata a terra, la cui sommità toccava il cielo; e nell'alto del cie­lo vedeva Nostro Signor Gesù Cristo seduto su un tro­no solenne e ammirevole, come un giudice giudican­te; ai suoi piedi era seduta la Vergine Maria e intorno al trono vi era una innumerevole compagnia di ange­li e una grande assemblea di santi.

A metà della scala vedeva un religioso che cono­sceva e che viveva ancora, conoscitore della teologia, fine e ingannatore, pieno di diabolica malizia, che dal­l'espressione del volto e dai modi mostrava di essere impaziente, più diavolo che religioso. Ella vedeva i pensieri e i sentimenti interiori del cuore di quel re­ligioso e come si esprimeva nei confronti di Gesù Cri­sto... E vedeva e udiva come Gesù Cristo giudice ri­spondeva dolcemente e onestamente a queste do­mande con brevità e saggezza e come ogni tanto No­stra Signora dicesse qualche parola a Brigida.

Il Libro delle Domande contiene sedici interroga­zioni, ognuna delle quali è suddivisa in quattro, cin­que o sei domande, a ognuna delle quali Gesù ri­sponde dettagliatamente.

Per dare subito un'idea precisa della struttura e del contenuto del libro, riportiamo per intero la prima in­terrogazione che contiene cinque domande legate al­la nostra fisicità.

Libro 5 - Prima Interrogazione

1. O giudice, io ti interrogo. Tu mi hai donato la boc­ca: non debbo forse parlare di cose piacevoli?

2. Tu mi hai donato gli occhi: non devo vedere gli og­getti che mi dilettano?

3. Tu mi hai donato le orecchie: perché non dovrei ascoltare i suoni e le armonie che mi piacciono?

4. Tu mi hai donato le mani: perché non dovrei far­ne ciò che mi piace?

5. Tu mi hai donato i piedi: perché non dovrei anda­re dove mi conducono i miei desideri?

Risposte di Gesù Cristo

1. Il giudice, seduto su un trono sublime, con gesti molto dolci e molto onesti rispose: Amico mio, ti ho dato la bocca per parlare ragionevolmente del­le cose utili all'anima e al corpo, e delle cose che sono in mio onore.

2. Ti ho dato gli occhi affinché tu veda il male e lo eviti e affinché tu veda il bene e ad esso ti ispiri.

3. Ti ho dato le orecchie per ascoltare la verità e per udire ciò che è onesto.

4. Ti ho dato le mani affinché con esse tu faccia ciò che è necessario al corpo e che non nuoce all'anima.

5. Ti ho dati i piedi perché tu ti allontani dall'amore del mondo e ti avvicini al riposo eterno, all'amore della tua anima e a me, tuo Creatore.