giovedì 23 giugno 2011

Il Testimone dell'Agnello (3)

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CAPITOLO NONO
L'AMICO DELLO SPOSO
Nel capitolo precedente, abbiamo visto Giovanni Battista riconoscere in Gesù la venuta di Dio, venuta che era stata annunziata dai profeti e che egli aveva il compito di preparare. Parrebbe che da questo momento, tutto dovesse cambiare. Ci si aspettava di vedere Giovanni Battista sospendere la sua missione di preparazione e divenire discepolo di Gesù. Ma non è quanto accade. L'Evangelo di Giovanni, il solo che ci parli del periodo della vita del Battista immediatamente successivo alla teofania del Giordano, ce lo mostra invece nel pieno svolgimento del suo ministero, come se nulla fosse cambiato: «Giovanni pure stava a battezzare ad Enon, vicino a Salim, perché, essendo in quel luogo abbondanti le acque, molti andavano là e si facevano battezzare» (Giov. 3, 23). Non solo Giovanni non interrompe il suo ministero, ma si sposta da Betania ad Enon per trovarvi più acqua. 
Peraltro, a quel tempo Gesù ha iniziato il proprio ministero: «Dopo questo, Gesù con i suoi discepoli, andò nel paese della Giudea,
dove si trattenne insieme a loro, e battezzava » (3, 22). Il ministero di Giovanni e quello di Gesù si sovrappongono, dunque, e per di più nella stessa regione: le rive del Giordano. Questo fatto esprime una di quelle transizioni che talvolta incontriamo nella storia della salvezza. Così, gli Apostoli continueranno ad adorare nel Tempio di Gerusalemme quando già esiste il Tempio della Nuova Alleanza, la comunità cristiana. Nella storia della salvezza, l'età precedente si prolunga ancora quando già l'età seguente è iniziata. È comprensibile tuttavia che tale si1uazione abbia posto dei problemi. E noi lo constatiamo nel testo che segue, in cui i discepoli di Giovanni vengono dal maestro e gli dicono: «Maestro, colui che era con te lungo il Giordano, al quale tu rendesti testimonianza, ecco che egli battezza, e tutti vanno da lui» (3, 26).
La risposta di Giovanni, uno dei testi più belli della teologia del Battista, ci farà capire il profondo significato di questa nuova epoca della sua esistenza, in cui egli a poco a poco si ritira scomparendo nell'oscurità a misura che la luce di Gesù aumenta l'intensità del suo splendore. Innanzi,tutto dobbiamo soffermarci un istante ad un particolare che a prima vista può sembrare strano: Gesù ci viene presentato come colui che battezza. Qual è il significato di questo battesimo dato in questo momento da Gesù e qual è la sua relazione con il battesimo di Giovanni? Dopo
aver risposto a tale quesito esamineremo il comportamento di Giovanni nei riguardi dell'atteggiamento di Gesù.
Gli stati del Verbo incarnato.
Abbiamo visto che il battesimo di Giovanni era semplicemente un battesimo di penitenza - destinato cioè a preparare gli animi alla venuta dello Spirito - e che il battesimo cristiano comunicava invece la vita stessa dello Spirito. Qual è, allora, il significato del battesimo che dà Gesù? In Giovanni leggiamo: «Quando il Signore venne a sapere che ai Farisei era noto che egli attirava più seguaci e battezzava più di Giovanni, - quantunque Gesù di persona non battezzasse mai i suoi discepoli - lasciò la Giudea ed andò di nuovo in Galilea» (4, 1). Leggendo questo brano, si ha l'impressione che la questione dei battesimi dati da Gesù abbia creato dei problemi alla comunità cristiana primitiva; queste espressioni un po' imbarazzate lo dimostrano.
In realtà, è chiaro che questo battesimo non può essere il battesimo cristiano; il quale è una partecipazione alla vita del Cristo morto e risorto, mediante una comunicazione della vita dello Spirito; invece, come dice san Gio vanni, in quel momento «Lo Spirito Santo non era stato ancora dato» (7, 39). Il Cristo, durante la sua vita terrena, ha istituito i sacramenti, i quali tuttavia non hanno potuto essere effettivi che dopo la Pentecoste, poiché i sacramenti sono la partecipazione al dono dello Spirito diffuso alla Pentecoste. Problema questo, che aveva preoccupato i primi cristiani. Ben fermi sul concetto che per salvarsi bisogna essere battezzati, essi erano inquieti e si domandavano se la Santa Vergine e gli Apostoli fossero stati battezzati. Tertulliano, ad esempio, afferma che san Pietro è stato battezzato quando le acque del lago in tempesta si sono calmate... Ciò che è vero se il termine «battezzato» viene inteso nel suo senso materiale - cioè interamente immerso nell'acqua - ma è falso se ci si riferisce ad un battesimo sacramentale.
Ma se il battesimo dato da Gesù, ed ancor più dai suoi discepoli, non è il battesimo cristiano, che cosa è? Notiamo subito che nell'Evangelo vediamo Gesù battezzare soltanto in questo momento. Vi è un periodo della vita del Cristo che segue immediatamente il suo battesimo, e di cui Giovanni è l'unico, a parlarci, durante il quale Gesù continua a vivere in Giudea, in particolare nella regione del Giordano, prima di recarsi in Galilea. Durante questo periodo, Gesù sembra proseguire un ministero analogo a quello del Battista, un ministero di preparazione. Il battesimo dato da Gesù e dai suoi discepoli è ancora un battesimo di preparazione, destinato cioè a predisporre gli animi a ricevere l'avvenimento della manifestazione. Come ha scritto Dodd,
in questo caso, Gesù è il precursore di se stesso (1).
La vita di Gesù comprende delle tappe, ognuna delle quali ha un contenuto proprio e che rientrano nel disegno di Dio. Il Padre stesso ne dispone i tempi ed i mO'menti. E poiché il Cristo obbedisce al Padre, coincide can ognuno di questi tempi e ne rispetta le scadenze. Ecco perché risponde agli Apostoli impazienti di vederlo anticipare la sua manifestazione: « La mia ora non è giunta» (Giov. 2, 4). Vi è un'ora, un tempo opportuno per ogni cosa. Vi è stato il tempo della vita nascosta, vi sarà, dopo il battesimo, la vita pubblica che rappresenta un'età nuova. In quel tempo Gesù ha disposto in moda sovrano tutte le istituzioni e gli insegnamenti che diventeranno effettivi soltanto dopo la venuta dello. Spirito. Durante il periodo della sua vita pubblica, ha svolto la missione che doveva svolgere durante questo periodo. Non ne ha svolta un'altra; non ha confuso i tempi. Dopo aver disposto ogni cosa dirà al Padre nella sua preghiera sacerdotale: «La mia ora è giunta, ed ora, Padre, glorifica me nel tuo cospetto con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Giov. 17, 1-6). Ora è giunto il kairos, il kairos della passione e della risurrezione, l'avvenimento decisivo ed ultimo. Dopo il quale, l'umanità del Verbo, esaltata eternamente dalla gloria del Padre ed introdotta nelle profondità di Dia, diverrà la sorgente perenne della vita dello Spirito diffusa nella Chiesa.
Capire il contenuta proprio di ogni età è una delle grazie della contemplazione, poiché, come dice il Bérulle, ci fa vivere gli stati del Verbo incarnato. Egli è il Vérbo incarnato nel seno del Padre, il fanciullo di Betlemme ed il falegname di Nazareth. Egli ha vissuto lo stato della vita pubblica, lo stato della passione, quello della morte, - poiché anche la marte è uno stato - quella della discesa agli inferi. Ha vissuto lo stata della risurrezione, dei quaranta giorni in mezzo ai suoi discepoli. Ed ora siede alla destra del Padre, aspettando - ce lo dice la Lettera ai Corinti - dopo aver compiuto la sua opera nella Chiesa, il suo ritorno alla Parusia e la riconsegna al Padre di tutte le cose per entrare allora in un ultimo stato (cfr. 1 Cor. 15, 24-28).
Ogni anno la liturgia ci fa rivivere questa contemplazione del Verbo incarnato. Innanzi tutto durante l'Avvento, in cui essa ce la presenta mentre prepara la sua stessa venuta in seno al popolo dell'Antica Alleanza; nei misteri nascosti di Betlemme e di Nazareth, nella sua vita pubblica. La settimana santa ci fa vivere il suo stato di umiliazione nella passione, di annientamento nella morte. Infine,
lo vediamo nello stato della risurrezione e lo contempliamo, alla fine dell'anno liturgico, alla festa dei Santi, nel suo glorioso ritorno, nella piena manifestazione del suo regno eterno.
Di queste tappe, nulla ci è indifferente, nulla è senza valore in ciò che riguarda il Verbo. Qui, come dice Thomas Merton, anche le briciole sono nutrimento di contemplazione. Per questo è molto importante per noi il constatare che fra il momento in cui Gesù è stato riconosciuto da Giovanni - alla discesa dello Spirito - ed il momento in cui, qualche settimana più tardi, comincerà a manifestarsi in Galilea nella sua missione propria, corre questo periodo giudeano, giordaniano, che in certo senso è ancora una preparazione all'interno della realizzazione iniziata. In esso il battesimo di Gesù è in qualche modo la continuazione del battesimo di Giovanni, che .vuol predisporre i cuori non a riconoscere un altro, ma a riconoscere lui stesso. Quasi fosse una grazia prima della grazia.
Il Cristo continua ad agire così in mezzo a noi. Prima che un pagano riconosca il Cristo e di conseguenza sia riempito della vita dello Spirito, il VeI1bo stesso, operando in ogni uomo, realizza nel suo animo misteriose preparazioni. Per questo, quando ad un pagano parliamo del Cristo, noi non gli parliamo di qualche cosa che gli è estraneo, ma facciamo eco a ciò che già esiste in lui: quel Verbo di
Dio che nell'intimo dell'animo lo sollecita, lo dispone anche a ricevere la parola. Come ha mirabilmente intuito sant'Agostino, la buona volontà è già opera dello Spirito Santo. Quando si dice che il Verbo viene per gli uomini di buona volontà vuol dire che il Verbo viene per coloro nei quali è già venuto rendendo buona la loro volontà, rendendola cioè capace di aprirsi alla pienezza quando questa pienezza viene loro offerta.
L'annientamento di Giovanni davanti a Gesù.
Durante questo periodo giordaniano, Gesù inaugura il suo ministero. E contemporaneamente, Giovanni prosegue i'1 suo. Vi è un momento in cui Gesù e Giovanni sembrano in concorrenza, in cui i loro due .ministeri coesistono. Tuttavia, comincia a verificarsi, gradatamente, un rovesciamento a favore di Gesù. Questo periodo, come nota Dodd, porta il segno di un'autenticità storica particolarmente incontestabile. Si avverte una specie di conflitto latente fra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù, conflitto che l'Evangelista sembra voler dissimulare quanto più è possibile. Deve esservi dunque stata a questo momento una crisi estremamente penosa. I discepoli di Giovanni che erano a lui profondamente legati, dovevano essere disperati nel vedere il loro maestro abbandonato dalle folle che andavano verso un altro. Certamente essi sospettavano che Gesù tradisse Giovanni. Mentre questi si era mostrato così accogliente verso Gesù, ecco che ora Gesù attirava tutti a sé e Giovanni cadeva progressivamente nell'oblio
L'eco di questo conflitto si avverte nel testo di Matteo. I discepoli di Giovanni vanno da Gesù e gli chiedono: «Per quale motivo noi e i Farisei digiuniamo mentre i tuoi discepoli non digiunano?» (Mt. 9, 14). Non dimentichiamo che san Paolo verso la metà del primo secolo incontrerà ad Efeso alcune persone che gli diranno: «Noi conosciamo soltanto il battesimo di Giovanni». Vi è quindi tutta una storia dei rapporti fra la comunità giovannea e la comunità cristiana. Noi conosciamo una sola versione dei fatti, quella dei discepoli di Gesù; sfortunatamente, infatti, non possediamo alcun documento della comunità giovannea che avrebbe potuto darci l'altra versione, quella dei discepoli del Battista. Tuttavia, si comprende come in quel momento si sia verificata una situazione drammatica. Ed è in questa occasione che sentiamo la grandezza di Giovanni, nel suo accettare di essere spogliato, in questo mistero di annientamento che riempirà l'ultima parte della sua vita e lo porterà alle vette più alte.
Egli ha accettato di lasciarsi spogliare, di essere cioè soltanto e nulla di più che un precursore. Ha dimostrato quella abnegazione così rara nei precursori - che lo ha portato
a cancellarsi quando colui che egli era stato chiamato a preparare, è giunto; mentre nella maggior parte dei casi, i precursori vogliono sopravvivere alla loro missione. Nulla riesce più difficile ad un uomo che il sapersi ritirare nell'ombra quando la sua missione è terminata. Ho spesso citato la frase che Guardini ha scritto a proposito di Buddha: «È stato forse uno dei più grandi precursori, e sarà sicuramente l'ultimo nemico ». Il precursore, quando rifiuta di eclissarsi, diventa un nemico. Questo è anche il solo mistero del popolo ebreo, non ve ne sono altri. Il giudaismo è stato la verità, il giudaismo non è più la verità, non sul piano teorico ma su un piano cronologico. Il peccato degli Ebrei non è stato di credere in ciò che credevano - essi avevano ragione di credere perché il contenuto della loro fede era la Parola stessa di Dio il loro peccato è stato di voler trattenere il passato quando il futuro era già in atto. Non hanno accettato quella morte che, in realtà, era una risurrezione. Perché sempre, attraverso la morte, si va alla vita.
E questo, invece, avviene in Giovanni Battista. Egli rinascerà ad una vita più piena, nella misura in cui accetta, a quel momento, di lasciarsi spogliare dal Padre e di entrare in un periodo nuovo che sarà per lui, dopo il tempo della manifestazione, un tempo di oscurità. La sua evoluzione è inversa a quella del Cristo: Gesù è venuto dall'oscurità ed ora si
è manifestato, Giovanni ha iniziato nella manifestazione ma ora rientra nell'oscurità. E tutto questo avviene secondo quanto il Padre ha sovranamente disposto. L'accettazione di questo spogliamento permette a Giovanni di entrare in un'esperienza d'amore, in una scoperta del mistero del Cristo ed in una gioia mistica il cui accento non può ingannarci: « L'amico dello Sposo che gli sta vicino e lo ascolta, si riempie di gioia alla voce dello Sposo. Questo gaudio, dunque, che è il mio, si è compiuto» (Giov. 3, 29). In queste parole si ritrova tutto il Cantico dei Cantici. «Questo gaudio che è il mio », questo gaudio, la Chara, è la gioia divina, la gioia dell'anima toccata dalla vita divina e che esulta di una gioia che trascende ogni gioia della carne. Ecco il gaudio che fa esultare Giovanni. Quella stessa morte che i suoi discepoli, fermandosi alle apparenze esteriori, considerano semplicemente come un fallimento, Giovanni la vive dal di dentro, nelle profondità di Dio; e l'amore SI dilata allora tanto nel suo animo, da non potervi più essere un paragone con ciò che fino ad ora era stato. Quello che sul piano esteriore può apparire un annientamento, corrisponde, sul piano interiore, ad una straordinaria crescita nella vita dell'amore.
Bisogna rileggere l'intero testo: «Ora, nacque una disputa fra i discepoli di Giovanni i quali, presentatisi a lui, dissero: « Maestro, colui che era con te lungo il Giordano, al qua
le tu rendesti testimonianza, ecco, egli battezza e tutti vanno da lui ». Ecco la loro reazione istintiva. « Giovanni rispose: L'uomo non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo» (Giov. 3, 25-27). Tale è l'espressione mirabile della totale dipendenza verso l'azione del Padre. « Il Figlio non ha nulla da sé », di ce Gesù (5, 19). Ognuno di noi non ha null'altro se non quello che gli viene dato dal cielo. Giovanni, come Gesù, compie ciò che il cielo gli ha assegnato. Per Giovanni la cosa importante è di essere fedele al dono che gli è stato fatto, non di ambirne uno diverso. Ognuno possiede soltanto il dono datogli dal cielo, e questo dono è sempre meraviglioso. E ognuno deve essere fedele a questo dono, rispondendo alla vocazione spirituale che gli è propria, realizzando quanto gli è dato di realizzare e non altro. «Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma sono stato mandato davanti a lui ». Giovanni è sempre stato fedele a questa missione e vuole spiegare ai suoi discepoli che essi non devono stupirsi se si verifica quanto aveva sempre detto loro. Noi uomini abbiamo molta difficoltà a riconoscere le cose, anche quando ne siamo stati preavvertiti da tempo. Nell'Evangelo, il Cristo cerca di far capire ai suoi apostoli fino alla fine, che egli deve dare la sua vita per il mondo; ma fino alla fine, e ancora nel pieno dramma della passione, essi si ostineranno a non capire. Non volevano capire perché la realtà era contro i loro desideri. Allo stesso modo, i discepoli del Battista non avevano mai pienamente valutato che cosa significasse essere soltanto i discepoli di un precursore: quando la realtà viene, essi la rifiutano perché non l'avevano mai accettata.
La gioia spirituale.
« Colui che ha la Sposa è lo Sposo ». Ma Giovanni, nella sua intelligenza illuminata dallo Spirito Santo, penetra oltre le apparenze. Si ha l'impressione che, in questo momento, egli abbia una visione, come al tempo del battesimo. Per mezzo dello Spirito profetico che è l'intelligenza della storia sacra, dei mirabilia Dei, - contempla la meraviglia che si sta compiendo. E questa meraviglia è la presenza dello Sposo, il Verbo di Dio venuto a prendere la natura umana che aveva modellato fin dal principio e che, dopo il lungo fidanzamento dell'Antico Testamento, ora unisce a sé, facendosi carne, con un'unione ormai eterna. Inaugurata dall'Incarnazione, questa unione si prolungherà nella Chiesa, che l'autore dell'Apocalisse ci mostra «vestita come una promessa per il suo sposo ». Essa si realizza anche in ogni anima chiamata a vivere questo mistero nuziale e ad essere colmata dei doni dello Sposo. La prima ad essere introdotta in questo mistero nuziale è l'anima di Giovanni, per il quale, contemplare l'unione del Verbo con la natura umana, significa già essere introdotto in questa unione.
Così una stessa realtà - il fatto che coloro che lo seguivano seguono ora Gesù - riempie di tristezza i suoi discepoli perché non sanno vedere oltre le sue apparenze esteriori, e fa esultare di gioia l'animo di Giovanni, perché egli ne sa penetrare il contenuto spirituale. « Quanto all'amico dello Sposo, che è là in ascolto, è tutto rapito di gioia sentendo la voce dello Sposo». Giovanni guardando i suoi discepoli che lo abbandonano per seguire Gesù, contempla il compimento del mistero delle nozze. Essi vanno da Gesù perché sono l'umanità che va ad unirsi allo Sposo. E questo inebria l'animo di Giovanni di una gioia così grande, così divina, che egli non può nutrire il minimo risentimento e pensare che le anime che raggiungono Cristo sono i suoi discepoli che lo abbandonano. Che cosa può importare questo quando egli è rapito dalla meraviglia che si sta compiendo davanti ai suoi occhi? Egli gioisce sentendo la voce dello Sposo, la parola stessa del Cristo, che non solo tocca le sue orecchie, ma risuona nelle profondità del suo cuore. «E questa gioia che è la mia è nella sua pienezza ». Non dimentichiamo che nell'orazione della festa di san Giovanni Battista, domandiamo la grazia delle gioie spirituali. Giovanni è essenzialmente l'uomo della gioia divina proprio
in mezzo agli spogliamenti umani. Ed il fatto che tale gioia sia ora al suo colmo dimostra che l'episodio rappresenta una crescita nuova in ciò che può sembrare una diminuzione. A misura che egli si vuota di se stesso, Gesù lo riempie: « È necessario che egli cresca e che io diminuisca ».
Una cosa rimane tuttavia strana: Giovanni prosegue il suo ministero quando già è cominciato quello di Gesù. Ci si aspetterebbe che dal momento in cui riconosce in Gesù colui che doveva annunziare, Giovanni diventi il primo dei suoi discepoli. Invece, continua a svolgere come sempre il suo ministero. A questo proposito vi è un testo che può stupirei enormemente. Ci dice che i discepoli di Giovanni, e Giovanni stesso, continuavano a praticare il digiuno come gli Ebrei. Interrogato da alcuni discepoli di Giovanni per sapere come mai i suoi non facevano altrettanto, Gesù risponde loro: « Come è possibile che gli amici dello sposo siano afflitti mentre lo sposo è con loro? » (Mt. 9, 15). Sembra quasi un paradosso. Giovanni sa che lo Sposo è presente; esulta nel suo intimo perché ne ode la voce. E ciononostante, continua a digiunare come se lo Sposo non ci fosse.
Ma la risposta a tale domanda sta nelle parole pronunziate dallo stesso Giovanni: « L'uomo non può ricevere nulla se non gli è dato dal cielo ». Certo, sul piano della fede e della grazia, Giovanni vive già il mistero dello Sposo e della Sposa. Ma sul piano del ministero egli resta fedele alla propria vocazione che è di essere l'amico dello Sposo, che è di condurre la Sposa verso lo Sposo predisponendo i cuori a riceverlo. Il suo ministero appartiene sempre all'ordine delle preparazioni. La sua grandezza appare in questa stessa fedeltà" alla missione che gli è stata affidata, fedeltà che è la più alta espressione del suo amore.

[1] Cfr. Historical Tradition in the Fourth Gospel, Cambridge, 1963, pp. 292-293.

CAPITOLO DECIMO
LA PROVA DELL'AMORE
Nell'ultimo periodo della sua vita, Giovan ni Battista rientra progressivamente nell'oscurità e si cancella davanti al Cristo: «È lo Sposo chi ha la Sposa; ma l'amico dello Sposo che gli sta vicino e l'ascolta, si riempie di gioia alla voce dello Sposo... Bisogna che egli cresca ed io diminuisca ». A proposito di questo passo mirabile, abbiamo già detto che sentivamo l'eco di un'esperienza spirituale quasi mistica. Nell'istante in cui la sua influenza svanisce sul piano apparente, Giovanni Battista è misteriosamente ed intimamente introdotto in un'unione d'amore incomparabile con il Cristo. Ciò che tocca il suo animo, ciò che colma il suo cuore di gioia è il vedere compiuto quanto aveva avuto in missione di preparare: le nozze del Verbo e dell'umanità. «Chi ha lo Sposo è la Sposa ». Giovanni Battista non aspirava che a quello. Ed ora ne vede il compimento poiché gli uomini vanno verso Gesù. L'oblio del quale si sente circondato non è nulla se paragonato all'esultanza del suo animo che contempla il compimento del mistero.
Ma questo periodo della vita di Giovanni Battista è anche un: periodo di prova, nella quale la sua santità si approfondisce e si rafforza. L'amore, dice il Cantico dei Cantici « è forte come la morte, duro come l'inferno»ma si consolida perfettamente soltanto dopo aver subìto delle prove; soltanto allora esso mette radici profonde. La prova dell'amore di Giovanni Battista è riferita in un testo che appare stupefacente sotto ogni aspetto. È sconcertante per il suo contenuto, è enigmatico nella sua espressione. Esso allude ad un complesso di cose difficili da capire e delle quali noi avvertiamo un retroscena incontestabile. Ecco il testo:
«Or, Giovanni, mentre era in prigione, avendo inteso parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 'Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?'. E Gesù rispose loro: 'Andate e riferite a Giovanni quello che voi udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona novella, e beato è colui che non troverà in me occasione di scandalo '. Mentre quelli se ne andavano, prese a dire alla folla riguardo a Giovanni: 'Che cosa siete andati a vedere nel deserto? una canna agitata dal vento? Ma che siete andati a vedere, un uomo vestito di morbide vesti? Ecco, quelli che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re. A che scopo dunque siete andati? A vedere un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando innanzi a te il mio nunzio, perché prepari là tua via dinnanzi a te. In verità vi dico: fra tutti i nati di donna non è mai sorto nessuno più grande di Giovanni Battista! Tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni Battista fino ad oggi, il regno dei cieli si acquista colla forza e sono i violenti che se ne impadroniscono; perché tutti i profeti e la legge hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, è lui quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi da intendere intenda. Ma a chi paragonerò io questa generazione? È simile a quei ragazzi seduti sulle pubbliche piazze, e che, gridando ai loro compagni, dicono: 'Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, vi abbiamo cantato lamenti e non vi siete battuti il petto '. È venuto infatti Giovanni che non mangia, né beve, e dicono: ' Ha un demonio'. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e che beve, e dicono: 'Ecco un mangione ed un bevitore, amico dei pubblicani e dei peccatori'. Ma alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt. 11, 2-19).
Già abbiamo utilizzato degli elementi di questo brano ed in particolare il parallelismo che Gesù stabilisce fra sé e Giovanni; e quindi
non ne riparleremo. Ma d'altra parte, questo testo contiene tre cose che possono stupire. La prima è la domanda di Giovanni con la quale egli, dopo essere stato precursore e testimone, sembra voler rimettere tutto in questione: «Sei tu colui che deve venire? ». Ci troviamo di fronte ad uno di quei brani la cui autenticità storica appare incontestabile proprio perché a prima vista esso appare imbarazzante; sembra infatti far capire che Giovanni attraversi una crisi di dubbio nei riguardi di Gesù. Segue poi la testimonianza straordinaria che Gesù rende a Giovanni. Senza entrare in particolare nel parallelismo di cui già abbiamo parlato, dovremo mettere in luce il valore di questa testimonianza. Infine, vedremo la parte finale a proposito dei fanciulli che cantano e i cui compagni non danzano, che piangono ma i cui compagni non piangono, e che giustificano la Sapienza. Passaggio misterioso, che ci svela nuovamente aspetti importanti del significato di Giovanni Battista.
La notte della fede
Nella prima parte troviamo Giovanni al colmo della prova. La sua vita è l'opposto di una vita coronata, al suo tramonto, da onori, da decorazioni, da titoli accademici, da presidenze. La sua vita si conclude nell'umiliazione. Padre de Foucauld aveva notato che, come la vita del Signore, quella dei suoi discepoli terminava così. Giovanni, lungi dal ricevere ricompense umane di quanto ha fatto, cade in una totale povertà, in una totale miseria. Che cosa gli dà allora, Dio? Le prove interiori, che danno !'impressione che persino la sua fede sia scossa. Pensiamo a Teresa di Lisieux che ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita nelle prove di fede più tragiche, durante le quali essa aveva la consapevolezza di condividere tutte le sofferenze degli atei, pur senza acconsentire a tali tentazioni. Nuovamente, la vita di Giovanni ci appare come esemplare. In essa non troviamo soltanto una biografia del passato, ma determinati aspetti della vita del Signore, del suo modo di guidare i suoi e di introdurli profondamente nella realtà stessa della vita spirituale.
Giovanni manda i suoi discepoli da Gesù per dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro? ». Testo difficile da capire perché può essere interpretato erratamente in ognuno dei due sensi. Innanzitutto si può minimizzarlo. Alcuni esegeti hanno pensato che Giovanni Battista mandi i suoi discepoli a fare questa domanda a Gesù, pur essendo da parte sua perfettamente convinto della risposta; li avrebbe mandati per far loro apprendere dalla bocca dello stesso Gesù che egli era proprio colui che doveva venire. Questa interpretazione toglie alla questione ogni significato drammatico. La seconda interpretazione, invece, tende a farci credere che qui vi sia, da parte di Giovanni, un ripensamento su ciò di cui qualche tempo prima era stato convinto dalla teofania del Giordano: la divinità di Gesù, che gli era apparsa in evidenza splendente rendendolo testimone perenne. Pensare che, dopo qualche settimana o qualche mese, la fede di Giovanni sia totalmente scossa, ci riesce assai difficile.
In verità, sembra proprio - è il parere della Bibbia di Gerusalemme e di numerosi esegeti - che a questo momento vi sia per Giovanni una prova vera, non un ripensamento totale, ma la prova stessa della fede. La fede di Giovanni non è tanto scossa, quanto provata, con quello che sempre mette alla prova la fede: il modo in cui vanno le cose. La fede introduce sempre in vie sconcertanti, in relazione alle esperienze precedenti e di conseguenza al modo in cui si immaginavano le cose. Giovanni Battista si era immaginato le cose in un determinato modo che noi conosciamo molto bene perché lo esponeva nella sua predicazione, cioè che la conversione era urgente, perché Dio stava per manifestarsi
in potenza nel tuono e nel fuoco, per venire a giudicare il mondo, per condannare i peccatori e per salvare i giusti. Giovanni Battista attendeva dunque una manifestazione messianica nel senso in cui l'attendevano gli Ebrei più religiosi di quel tempo, come ad esempio i santi monaci delle sponde del mar Morto, non simile ad una clamorosa vittoria politica, come la immaginavano gli zeloti, ma come la gloriosa venuta di Dio nel deserto. « lo sono la voce di colui che grida: 'Preparate le vie del Signore' ».
Ma le cose non vanno assolutamente in questo modo. « Beato colui che non troverà in me occasione di scandalo» (Mt. 11, 6), dice Gesù. Gesù sa che per gran parte degli Ebrei sarà ragione di scandalo, che va preparando loro un trabocchetto nel vero senso della parola. Per Gesù che amava il suo popolo, questa è una cosa tragica. Gli Ebrei vi inciamperanno anziché riconoscerlo, perché essi saranno da lui totalmente delusi. Invece di quella manifestazione di potenza con la quale essi si aspettavano che Jahvé manifestasse la sua gloria splendente agli occhi delle genti e testimoniasse che il Dio d'Israele era il vero Dio, il Signore rivelerà le sue vie attraverso l'oscurità, l'umiltà, la pazienza. È comprensibile come anche Giovanni sia disorientato e venga a domandare a Gesù una conferma. Egli non perde la fede, ma si trova nella più completa oscurità. E questo è, in determinati momenti, la condizione stessa della fede. Per esserne convinti non c'è che leggere san Giovanni della Croce. Giovanni Battista testimonia qui quel momento della fede in cui chi crede è disorientato per il modo con il quale Dio conduce le cose; allora non gli resta altro ricorso che la fede allo stato
assolutamente puro, il ricorso a colui che è la sorgente stessa della fede. E questo fa Giovanni Battista; egli si rivolge a Gesù stesso; gli presenta le sue difficoltà, rimettendosi interamente nelle sue mani. 
Dobbiamo precisare ciò che disorienta Giovanni. La caratteristica che in Dio gli sembra primaria è la sua totale assenza di complicità con il peccato. E questo è veramente primario perché è ciò che fa sì che Dio sia Dio. Giovanni Battista, come Elia, è prima di tutto profeta della santità di Dio. Ora, in Gesù c0mincia a manifestarsi un altro volto. Esso ci appare nella risposta di Gesù a Giovanni: « Andate e riferite a Giovanni quello che voi udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona novella; ed è beato colui che non troverà in me occasione di scandalo ». Ecco lo scandalo. Sia per Giovanni che per questi Ebrei compenetrati dal senso della grandezza di Dio, lo scandalo è proprio l'eccesso di misericordia, è questa manifestazione nella quale Dio, invece di presentarsi come colui che condanna il peccato, appare come colui che viene a salvare il peccatore. Ed hanno ragione di essere disorientati perché, normalmente, al peccato dovrebbe rispondere la collera. La misericordia è assolutamente insperata, sconcertante, perché va al di sopra ed oltre la collera. Essa è più misteriosa della collera
perché questa risponde all'ordine naturale delle cose; ogni uomo che si trovi nel peccato deve essere colpito come peccatore, è l'esperienza stessa che vive l'uomo peccatore: esso si sente lontano e separato da Dio, condannato da Lui. Credere alla misericordia è molto più difficile, essa infatti ci assicura che quando noi siamo impuri, menti tori, orgogliosi, la potenza dello Spirito Santo è capace di superare tutto e di renderci nuovamente possibile !'ingresso vicino al Padre. 
Viene immediato l'accostamento di questo testo riguardante Giovanni Battista, con il brano del Primo Libro dei Re (19, 9-13) nel quale Jahvé converte Elia a quella medesima verità alla quale Gesù converte il Battista. ({ Là entrò in una grotta e vi passò la notte. Ed ecco la parola del Signore gli fu rivolta e disse: . Che cosa fai qui, Elia?'. Ed egli rispose: . Sono agitato di zelo per il Signore, Iddio delle Schiere, perché i figli d'Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno distrutto i tuoi altari e hanno trafitto di spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo e cercano di togliermi la vita. Allora il Signore gli disse: . Esci fuori e fermati sul monte davanti al Signore. Ed ecco passare il Signore preceduto da un forte vento che squarciava i monti e spezzava le pietre, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco; ma il Signore non era nel
fuoco. E dopo il fuoco un rumore d'aura lieve. Quando Elia lo udì, si coprì la faccia col mantello, e uscì fuori e si fermò sull'entrata della grotta ». Con questa quadruplice manifestazione, Jahvé vuol far capire ad Elia che egli non è soltanto nel fuoco, nel terremoto, nel vento, come era lo Jahvé del Sinai, ma è anche nel soffio leggero; ciò che lascia intuire un messaggio più interiore e misericordioso.
Giovanni ottiene dunque una riposta alla sua domanda. Riconosce ohe Gesù è proprio colui che doveva giungere a questa rivelazione della misericordia. Ma in questo mondo della misericordia egli non ha ancora diritto di entrare. Deve rimanere alle soglie, deve continuare a svolgere il suo compito, che è quello della condanna, quando già Gesù comincia il suo che è quello del perdono. Giovanni, tuttavia, non è affatto schiavo del suo atteggiamento, è soltanto fedele alla sua missione. La rivelazione del tempo della misericordia è per lui un'esperienza spirituale incomparabile che
lo inizia alla contemplazione di questo momento nuovo e supremo della storia della salvezza: quello in cui il Piglio dell'uomo offre la sua vita per il mondo peccatore. Egli già l'aveva capito allorché aveva designato Gesù come l'agnello che prende su di sé il peccato del mondo. È ciò che aveva avuto in missione di preparare; e di ciò è il testimone ammirato, pur non avendo il diritto, proprio per fedeltà, di interferire nella missione di un altro. Giovanni non fa quello che soltanto Gesù può e deve fare.
Ogni cosa ha il suo tempo
Gesù esprime tale relazione che lo unisce al suo precursore, nella seconda parte del nostro testo, nella quale gli rende testimonianza. Ne citeremo queste poche righe: « Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli si acquista con la forza, e sono i violenti che se ne impadroniscono, perché tutti i Profeti e la Legge hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, è lui quell'Elia che deve venire, chi ha orecchi per intendere mi intenda ». (Mt. 11, 12-15). Poco prima, Gesù aveva detto che se Giovanni Battista è n più grande fra i figli di donna, è n più piccolo fra i figli del Regno dei cieli, perché egli appartiene all'età precedente. Ora è iniziata una nuova età, nella quale n Regno di Dio è oggetto di violenza. Numerose sono le interpretazioni date a questo passaggio, ed in buona parte contraddittorie. Alcuni lo intendono in un senso peggiorativo: il Regno dei cieli è perseguitato, assoggettato alla violenza. Sarebbe questa un'allusione alle opposizioni incontrate dal Cristo e l'espressione della contraddizione contro la quale viene ad urtare il Regno dei cieli. Schrenk (1) sostiene questa interpretazione. Tuttavia essa non sembra accettabile. Vi è poi un'interpretazione ascetica che si trova già in Clemente d'Alessandria: entreranno nel Regno dei cieli coloro che faranno violenza a se stessi. L'interpretazione è devota, sostanzialmente vera, ma letteralmente non esatta. Non vi è alcuna allusione all'ascesi in queste parole. È il tipico accomodamento omiletico, vero in ciò che esso dice, ma che dà un'interpretazione falsata del testo di cui parla.
Qual è allora il significato reale? Dopo Giovanni Battista ha inizio qualche cosa di nuovo: la porta del Regno dei cieli comincia ad essere sfondata. Mentre per n passato n Regno dei cieli era assolutamente impenetrabile, da questo momento è possibile entrarvi. Per rappresentarci questo avvenimento, lo si può immaginare nel modo seguente: l'umanità attendeva dal tempo di Adamo davanti a questa porta: premeva su di essa ma questa non voleva cedere. Bruscamente, la porta cede e !'immensa marea umana comincia ad entrare. Ecco l'avvenimento che si sta compiendo. Gesù aveva detto che il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di Giovanni Battista. Dirà in seguito che quanto avevano annunziato tutti i profeti è ormai giunto. In questo contesto, la nostra frase ha un senso ben preciso: significa che l'età di Giovanni non è ancora quella in cui la porta è aperta: Giovanni è l'ultimo di coloro che premevano su
di essa. Ma «dai giorni di Giovanni» ora avviene una cosa nuova e straordinaria: la porta ha ceduto - o più precisamente ha cominciato a cedere. Perché si comincerà ad entrare soltanto alla Risurrezione. La porta scricchiola, è esattamente la situazione alla quale corrisponde il ministero di Gesù prima della Risurrezione.
Notiamo d'altra parte la strana affermazione che Gesù fa su Giovanni: «È lui l'Elia che deve venire ». Ricorderemo che in Luca 1, 17 l'angelo che appare a Zaccaria nel tempio, dice già ancor prima della nascita di Giovanni Battista, che questi verrà in spiritu Eliae, nello spirito di Elia. E pure ricorderemo che in Giovanni 1, 21 i messaggeri dei Farisei domandano a Giovanni Battista: «Sei tu Elia, sei tu il profeta? ». E soprattutto in Matteo 17, 10-13, leggiamo questo: «I discepoli lo interrogarono dicendo: Perché dunque gli scribi dicono che deve venire prima Elia? Egli rispose loro: È vero, Elia ha da venire e ristabilirà tutte le cose. Ma vi assicuro che Elia è già venuto e non l'hanno voluto riconoscere, ma gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire da parte loro. Allora i discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni Battista ».
Questa relazione di Giovanni ed Elia esige un chiarimento. Elia è, insieme con Enoch, uno dei due santi dell'Antico Testamento dei
quali si dice siano stati trasportati in cielo da vivi. Gli Ebrei pensavano che Elia sarebbe ritornato e che il suo ritorno avrebbe immediatamente preceduto gli ultimi avvenimenti. Ora Gesù ci spiega che non è Elia in carne ed ossa a dover venire - Erode a proposito di Gesù si è domandato se non fosse Elia redivivus (Lc. 9, 8) - ma che il nuovo ed ultimo Elia è proprio Giovanni. Profeta simile ad Elia ma di lui più grande, è inviato, come un nuovo Elia, per essere l'ultimo di tutti i profeti. Da questo punto di vista, Maometto non è un profeta e ciò per una ragione non psicologica, ma teologica. La profezia fa parte non della psicologia, ma della storia della salvezza. Maometto è una grande personalità religiosa, ma non può essere un profeta. La funzione del profeta è di preparare l'avvenimento ultimo. Dopo Giovanni Battista. ciò non può più accadere perché l'avvenimento decisivo si è compiuto: la porta del Regno dei cieli è aperta.
Ma se Gesù sottolinea l'abisso che lo separa da Giovanni, è da ammirare il modo con il quale rende testimonianza a Giovanni, allo stesso modo che Giovanni ha reso a Lui testimonianza. È l'opposto di una concorrenza. Vi è stata concorrenza a livello di discepoli:
ciò che gli uni guadagnavano, gli altri perdevano. Ma a livello di Giovanni Battista e di Gesù, la situazione è diversa. Giovanni rende omaggio a Gesù e riconosce in lui colui che egli aveva in missione di preparare. Gesù rende omaggio a Giovanni Battista riconoscendo in lui il più grande dei figli di danna, vale a dire quanta vi è di più grande al di fuori del Regna di Dio vero e proprio. Vi è una scambio di riconoscimenti, un reciproco rispetta fra il precursore e colui che viene dopo di lui. La gloria di Gesù è maggiore della gloria di Giovanni, ma ciò non impedisce a quest'ultimaa di essere ugualmente autentica. San Paola dirà più tardi, a proposito di Mosè, che la gloria che risplende sul volto di Gesù oscura la gloria d'Israele, non perché quest'ultima non sia una gloria, ma perché le succede una gloria ancor più grande (2 Cor. 3, 7-11). È possibile affermare una superiorità senza implicare alcun concetto di svalutazione. Dire che qualche cosa è più grande non significa che quanto gli sta al di sotto non sia grande. Dire che il cristianesimo è l'abbagliante manifestazione di Dio non significa che il giudaismo a le altre religioni pagane non abbiano ognuna la loro gloria. Noi non contrapporremo mai il cristianesimo alle altre religioni in termini di bene e di male. Diremo che nel cristianesimo brilla una gloria così abbagliante della Trinità che la luminosità di tutta quanto non è esso medesimo ne viene oscurata; alla stesso modo, il sole al sua levarsi, fa svanire il brillio delle stelle, non perché la luce delle stelle cessi di brillare ma perché noi, avvolti come siamo da questa luce suprema, non riusciamo più a percepire le altre.
È questo che gli Ebrei non capiscono. Gesù lo rimprovera loro ispirandosi all'Ecclesiaste dove sta scritta: «Vi è un tempo per piangere ed un tempo per danzare» (3, 4). Essi vivono male interpretando i tempi. Vi sono momenti, sembra dire Gesù, in cui vi si invita a piangere e voi vi mettete a danzare; altri in cui vi si invita a danzare e vai vi mettete a piangere. Decidetevi a seguire la musica: «non impedite che si canti» (Eccl. 32, 3). Quando Giovanni Battista è venuta, era tempo di piangere; ma allora non avete fatto penitenza. Luca 7, 30, testo parallela al nostro ci dice che « i Farisei ed i dottori della legge non si fecero battezzare da lui ». Ora il Figlio dell'uomo è venuto ed è il tempo della gioia; voi non siete capaci di gioia più che di penitenza. Voi siete sempre in ritardo. E qui ritroviamo il leitmotiv di questo studio su Giovanni Battista: il rispetto dei tempi, la fedeltà nel coincidere con ciò che costituisce il momento presente della storia della Salvezza. Il testo continua a contrapporre Giovanni che in penitenza si privava del cibo e delle bevande a Gesù che mangia e beve. Qui, il vino è il simbolo della gioia messianica, come ancora recentemente ha dimostrata la tesi di P. Lebeau. Il digiuno di Giovanni corrispondeva al tempo dell'attesa, ma ora noi siamo ammessi al convita regale.
La vera intelligenza è di saper discernere i tempi. Perché «la Sapienza è stata giustificata da tutti i suoi figli» (Lc. 7, 35) (2). Questo testo è l'unico del Vangelo nel quale si parli della Sapienza di Dio, della Sophia. Questa Sapienza, che dispone ogni cosa con ordine e soavità è la stessa di cui ci parlano i libri sapienziali. Essa è l'espressione della misericordia e dell'intelligenza con la quale Dio compie i suoi disegni. Alla fine, gli avvenimenti renderanno giustizia a questa Sapienza. E quelli tra i suoi figli che avranno saputo entrare nel disegno di Dio, le renderanno testimonianza. È vero che agli occhi della nostra ragione questa Sapienza non appare subito evidente. È vero che il mondo appare privo di sapienza e governato soltanto dal caso; e non manifesta l'opera di un Dio intelligente e misericordioso. Questa è l'obiezione più comune che incontriamo, è la stessa che si pone Giovanni Battista, sconcertato come lo siamo tutti, come dobbiamo esserlo tutti dal modo con il quale avvengono le cose. Ma ciò fino al momento in cui, penetrando maggiormente nella realtà, e confidando éome Giovanni nella parola di Gesù, scopriamo che, attraverso queste apparenti tortuosità, si compie un disegno la cui sapienza supera infinitamente la nostra, disegno nel quale siamo in
diritto di avere totale fiducia. E ciò sarà attestato dai figli della Sapienza, che riconosceranno di aver avuto ragione, un giorno, di confidare in questo disegno di Dio, di averne rispettato le scadenze, di essersi lasciati condurre da questa Sapienza anche quando erano disorientati dalle vie che essa seguiva.
[1] « Theol. Wört. N. T. », p. 160.
[2] Matteo dice: «La Sapienza è stata giustificata dalle sue opere ».


CAPITOLO UNDICESIMO
LA MORTE
Abbiamo detto che Giovanni Battista era stato precursore e poi testimone di Cristo. Un'ultima gloria gli appartiene: quella del martirio. L'anno liturgico, per uno speciale privilegio, lo ricorda due volte. Celebra la sua natività il 24 giugno ed il suo martirio il 29 agosto. È nominato nella liturgia della messa, al momento del Nobis quoque peccatoribus, in testa alla lista dei martiri, prima di Stefano e di Ignazio, prima di Cecilia ed Agnese. L'inno di Lodi del 24 giugno gli attribuisce la triplice corona di profeta, di vergine, di martire. La sua morte viene così a suggellare, con un supremo atto d'amore, la testimonianza dell'intera sua vita. In questo è, essa stessa, la suprema testimonianza, il martyrion.
Erode Antipa
Dobbiamo innanzitutto descriverne le circostanze. La morte è uno degli episodi della vita di Giovanni Battista la cui ricostruzione storica è più avvincente. Ne possediamo due racconti, l'uno appartiene al Nuovo Testamento e lo prendiamo da Marco, l'altro ci è tramandato dal grande storico ebreo della corte degli Erodi, Giuseppe Flavio. Marco ci racconta innanzitutto l'arresto di Giovanni: « Infatti, Erode stesso aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo teneva incatenato in carcere a causa di Erodiade, moglie di Filippo, suo fratello, poiché egli se l'era presa per moglie. Giovanni, infatti, diceva ad Erode : Non ti è permesso d'avere la moglie di tuo fratello. Ma Erode ce l'aveva contro di lui e voleva farlo uccidere; tuttavia non poteva, perché Erode sentiva rispetto per Giovanni, sapendo che era uomo giusto e santo, anzi lo difendeva e, udendolo, ne restava molto perplesso, pure l'ascoltava volentieri» (6, 17-20).
Le prime righe di questo testo ci danno il punto di partenza del dramma. Per capirle, bisogna sapere chi sono e che cosa rappresentano Erode ed Erodiade. Ci troviamo nel mondo dei piccoli regni mediterranei sui quali si estendeva il protettorato romano. Gli Erodi non erano ebrei ma transgiordani di Idumea. Quattro di essi sano menzionati nel Nuova Testamento. Quando nacque Gesù Erode il Grande regnava su tutta la Palestina. Si deve a lui il massacro dei Santi Innocenti. Erode Antipa, suo figlio, era tetrarca di Galilea, poiché alla morte di Erode il regno era stato suddiviso fra quattro dei suoi figli. Ero
de Agrippa I, nipote di Erode Antipa, restaurò a suo favore il regno di Palestina. Per ordine suo, fu decapitato l'apostolo san Giacomo (Att. 12, 2). Infine, Agrippa II, figlio del precedente e fratello di Berenice, amante di Tito, è colui che giudicò Paolo a Cesarea (Att. 25, 13).
Quello che ora ci interessa è Erode Antipa. Al pari di suo padre, Erode il Grande, egli appare un personaggio suscettibile. Il potere che detiene è fragile. Egli si trova alla mercé del buon volere dei Romani, da un lato, degli intrighi familiari dall'altro. Qualsiasi fermento popolare lo allarma. A questo punto, ci interessa il racconto di Giuseppe perché è proprio in questa prospettiva che egli spiega l'arresto e l'esecuzione di Giovanni. «Giovanni - scrive Giuseppe - era uomo buono che predicava agli Ebrei di praticare le virtù, di essere giusti verso il prossimo, devoti verso Dio, e di farsi battezzare; poiché, se questo rito del battesimo gli sembrava utile, non era affatto per cancellare i peccati ma soltanto per garantire la purezza dei corpi, essendo l'animo già precedentemente purificato dalla giustizia. La folla si radunava intorno a lui e tutti erano conquistati dai suoi discorsi; Erode temette dunque che si valesse di tanto ascendente per trascinare il popolo a qualche rivolta» (Ant. Jud. VIII, 5, 2, 117).
È di grande interesse questo ritratto di Giovanni fatto da un Ebreo quasi contemporaneo. Giuseppe conferma la testimonianza degli Evangelisti sul fatto che il popolo era favorevole a Giovanni e che questi attirava le folle al suo seguito. Ma si vede soprattutto che l'autore, il quale s'interessa principalmente alla politica, attribuisce l'ostilità di Erode al timore che il successo di Giovanni gli faceva nutrire per le sue ambizioni politiche. Egli è certo che Erode ambiva restaurare a suo favore la sovranità di suo padre sopra l'intera Palestina. Sappiamo che più tardi andrà a
Roma per reclamare da Claudio questa sovranità e che tale imprudenza gli procureràl'esilio nella Gallia. Gesù mette in guardia i suoi discepoli contro il «lievito di Erode », cioè contro il messianismo terrestre (Mc. 8, 15).
Tuttavia, considerare Antipa soltanto un politico ambizioso e suscettibile, come fa Giuseppe nel suo racconto, è ridurre il conflitto che lo pone di fronte a Giovanni ad un puro conflitto politico, - tendenza questa comune agli storici di ogni epoca -, significa disconoscerne il senso religioso. Ed anche disconoscere un altro aspetto del carattere di Antipa. Infatti costui sembra essere un uomo attratto ed insieme turbato dalle personalità religiose, come dimostrano i suoi rapporti con Gesù. Quando i Farisei tentano di far credere a Gesù che Erode vuole ucciderlo, certamente per le stesse ragioni per le quali Giuseppe ci dice che egli aveva fatto uccidere Giovanni Battista, Gesù risponde loro queste strane parole: « Andate a dire a quella volpe: ecco io caccio i demoni, opero delle guarigioni, oggi e domani; e il terzo giorno avrò terminato. Ma oggi, domani e domani l'altro bisogna che io sia in cammino» (Lc. 13, 32-33).
Gesù sottolinea bene, con le sue parole, di sapere che Erode poteva essere bensì turbato per la sua influenza, ma altrettanto era impressionato per il potere soprannaturale che si manifestava in lui. Ciò che apparirà pienamente quando Pilato gli proporrà di vedere Gesù arrestato a Gerusalemme: dice Luca (23, 8): « Erode, quando vide Gesù, ne fu
molto contento perché da lungo tempo desiderava vederlo per tutto quello che aveva sentito dire di lui e sperava che lo avrebbe veduto compiere qualche miracolo ». Questa attrazione che sentiva per Gesù, Erode l'aveva precedentemente sentita per Giovanni. Sembra persino che fosse rimasto colpito più da Giovanni che da Gesù. Quando per la prima volta sente parlare di Gesù, la sua prima reazione è di dire: « Giovanni il Battista è risuscitato dai morti, è per questo che le potenze dei miracoli operano in lui» (Mc. 6, 14). Quando Gesù tace davanti a lui, al momento della Passione, si sente quasi rassicurato: lo disprezza.
Noi troviamo infatti questo atteggiamento inquieto nel testo che stiamo studiando: « perché Erode sentiva rispetto per Giovanni, sapendo che era uomo giusto e santo; anzi lo
difendeva e, udendolo, ne restava molto perplesso, pure l'ascoltava volentieri» (Mc. 6, 20). Possiamo vedere da queste parole la complessità del carattere di Erode. Da un lato, diffida di Giovanni che gli sembra pericoloso per le sue ambizioni; dall'altro, non può fare a meno di riconoscere in lui una presenza divina che lo turba. In questa situazione si prova difficoltà a capire come ragioni puramente politiche, che non erano poi così evidenti, in un momento in cui !'influenza di Giovanni declinava, avrebbero potuto decidere Erode ad U'cciderlo. Bisogna che sia intervenuto un altro fattore e questo nuovo fattore è Erodiade.
Giovanni ed Erodiade
Nella strana famiglia degli Erodi, gli intrighi d'amore avevano tanta importanza quanto le rivalità di ambizioni. Erode Antipa aveva parecchi fratelli. Uno di questi si chiamava Aristobulo, un terzo Giulio Erode. Fra questi tre fratelli figli di Erode il Grande, si svolge il destino di Erodiade. Essa è figlia di uno di essi, Aristobulo, sorella così di Erode Agrippa e zia di Berenice. È moglie dell'altro, Giulio Erode, suo zio. Ma lo ha abbandonato per sposare il terzo, Erode Antipa, pure suo zio. Quest'ultimo che era sposato ed aveva una figlia Salomè, aveva dovuto ripudiare sua moglie, una principessa araba che era ritornata presso la sua famiglia. La chiave di questa vicenda è l'ambizione di Erodiade. Essa aveva legato il suo destino a Giulio Erode, che era un personaggio insignificante. Antipa, invece, vedeva aumentare la sua potenza. Stava per partire per Roma dove avrebbe chiesto la corona di re di Palestina; in tal modo Erodiade sarebbe diventata regina.
A questo momento interviene Giovanni Battista. La condotta di Erode contravviene alla legge di Jahvé: « Non scoprire la nudità della moglie di tuo fratello» (Lv. 18, 16). Erede dei Profeti dell'Antico Testamento, la cui missione è quella di richiamare la Legge dell' Alleanza a quanti la violano, viene a dire a Erode:« Non ti è permesso di avere per moglie la moglie di tuo fratello» (Me. 6, 18). Erodiade sa che Erode «ascoltava Giovanni volentieri» (6, 20). Fin che Giovanni è presente, essa può temere che Erode si ravveda e che tutti i suoi progetti personali cadano nel nulla. L'unica soluzione è di trovare il modo di sopprimere Giovanni (6, 19). Ma l'influenza di lui sopra Erode è tale che essa non può nulla. Così pare fosse la situazione. Si comprende come Giuseppe, molto legato a Berenice, nipote di Erodiade, si sia limitato a darci notizie generiche.
Giovanni appare qui sotto un nuovo aspetto, quale erede del profetismo dell'Antico Testamento - l'ultimo dei profeti. Perché è proprio dei profeti l'essere inviati da Dio per denunziare le violazioni della Legge, della carta dell'Alleanza. Essi non fanno eccezione per alcuno. Anzi, sono inviati prima di tutto presso i principi di questa terra, la cui responsabilità è più grave. In tal modo essi testimoniano che nessuna grandezza terrena può sottrarsi al giudizio di Dio. Si espongono così a sfidare !'ira dei potenti, dei quali contraddicono i progetti; e per questo sono sempre perseguitati. Stefano vedrà nella persecuzione di Giovanni Battista da parte di Erode, la continuazione delle persecuzioni dei profeti da parte dei re d'Israele: «Quali dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero coloro che predicavano la venuta del Cristo, di cui voi in questi giorni siete stati traditori e omicidi » (Att. 7, 52).
Giovanni ci appare qui fedele a se stesso, intransigente; ciò che lo differenzia S01tto questo aspetto da Gesù. Giovanni è profeta del!'ira di Dio, C01me dimostra la sua prima predicazione. Egli annunzia agli uomini la necessità di convertirsi, poiché l'ira di Dio è vicina; penetrato dal concetto della santità di Dio, egli denunzia implacabilmente le infedeltà, i peccati, i tradimenti. Di fronte alla lussuria ed ai piaceri dell'ambiente di Erode, Giovanni rappresenta il testimone di Dio che rifiuta ogni concessione allo spirito mondano. L'esigenza, l'intransigenza, saranno sempre uno degli aspetti del messaggio. Noi rivolgiamo alla Chiesa rimproveri contraddittori. Le rimproveriamo talvolta di non condannare con sufficiente violenza determinate cose, le rimproveriamo, in altri momenti, di non essere abbastanza indulgente verso altre. Generalmente, le rimproveriamo di non essere sufficientemente severa con ciò che anche noi condanniamo, e le rimproveriamo di non essere sufficientemente indulgente con ciò che noi troppo facilmente assolviamo. Ad esempio, accusiamo violentemente la Chiesa di non condannare la bomba atomica, ma troviamo poi che è troppo severa in ciò che riguarda la morale coniugale. Ora, la Chiesa deve comprendere in sé tutti e due gli estremi: essere indulgente ed esigente. Deve essere colei che non ammette mai la complicità con il peccato, ma anche colei che accoglie misericordiosamente i peccatori.
Giovanni appare logico nella sua intransigenza. Benché con Gesù la misericordia sia già presente, egli continua a svolgere la sua missione di severità. E Gesù darà riconoscimento a Giovanni, pur chiarendo d'essere venuto a portare dell'altro. Ciò che è ammirevole è la fedeltà di Giovanni, non tanto a se stesso, quanto alla sua vocazione: denunziare il peccato. La vocazione di Gesù sarà di perdonare, ma essa ha significato soltanto perché segue la vocazione di Giovanni. Perché, se il peccato non viene denunziato, non ha bisogno di essere perdonato. La misericordia non ha senso se non là dove esiste la consapevolezza del peccato. Diversamente, non si tratta di misericordia ma di complicità, che
della misericordia è la caricatura più terribile. La misericordia autentica comprende in sé il giudizio e la collera, ma li sa superare grazie all'amore. Il compito di Giovanni è dunque necessario. Nella pedagogia di ogni uomo, questo momento giovanneo - la denunzia del male in tutte le sue espressioni - è un momento che precede sempre quello della misericordia. Giovanni incarna così una missione che continua nel tempo. Essa appare nel dramma del suo arresto, durante il quale la sua intransigenza gli procura la prigione proprio per la sua fedeltà nel rifiutare ogni complicità con il male.
Anche qui, Giovanni appare procedere nello spirito di Elia. Non c'è da stupirsi che gli Ebrei si siano chiesti sé non fosse- proprio Elia tornato fra loro. Infatti, Elia era andato da Achab, dopo che questi aveva fatto trucidare Nabot per impossessarsi dei suoi beni. Dio così gli aveva detto: «Parti e va incontro ad Achab, re d'Israele, che si trova in Samaria. Ecco, è nella vigna di Nabot, dove è sceso per prenderne possesso. Gli parlerai dicendo: 'Così dice il Signore: Hai ucciso e per giunta tu usurpi!'. Poi gli parlerai dicendo: 'Così dice il Signore: in quel luogo stesso in cui i cani hanno leccato il sangue di Nabot, leccheranno anche il tuo! '. Achab disse ad Elia: 'Tu mi hai colto in fallo, o mio nemico! ' » (l Re 21, 18-20). Presso Achab sta Gezabele; presso Erode, Erodiade. Si ri
pete la medesima storia. L'ultimo gesto di Giovanni Battista è quello che più rivela l'uomo dell'Antico Testamento. Tutto ciò sarebbe potuto avvenire quindici secoli prima.
Ma mai questo conflitto fra lo spirito del mondo e la legge di Dio è forse esploso con tanta forza quanto nel drammatico confronto fra Giovanni ed Erodiade. Costei incarna la pura volontà di potenza. Decisa a portare a termine il suo disegno ambizioso, ell è pronta a spezzare qualsiasi ostacolo. .È l'espressione stessa dello spirito della città terrestre, come la definiva sant'Agostino: l'amore di sé fino al disprezzo di Dio. Ella è pronta a calpestare le leggi più sante, se queste sono di ostacolo ai suoi piani. Ciò che le importa è soltanto la riuscita della sua esistenza.
Di fronte a lei, Giovanni è il testimone delle vie del Signore. Aggrappato dal fondo del suo animo alla legge divina, non sopporta che questa sia violata ed è pronto a sfidare ogni collera per difenderla. Egli sa che deve esserne il testimone, qualsiasi possano essere per lui le conseguenze. Egli incarna la città di Dio fondata sull'amore di Dio fino al disprezzo di sé. Egli stesso non ha vissuto che in funzione di 'questa legge. Essa l'ha fatto vivere ed ha dato alla sua vita il vero significato. E non è soltanto esternamente che egli rende di essa testimonianza, ma tutto il suo essere ne vive. Fra Erodiade e lui il conflitto è totale.
Erode invece, è il vero esempio dell'uomo diviso; incarna quello che gli Ebrei di quel tempo chiamavano dipsuchia , la duplicità dell'intenzione. Condivide le ambizioni di Erodiade: geloso del suo potere desidera estenderlo sempre più. Ma potrebbe realizzare le sue ambizioni anche senza Erodiade e questo essa lo avverte molto bene. Per questo Giovanni è per lei più temibile di quanto non lo sia per Erode. Inoltre, Erode è attratto da Giovanni, gli piace ascoltarlo. Il Vangelo ci lascia capire che, persino dopo averlo fatto incatenare in carcere, egli viene ad intrattenersi con lui. Il potere soprannaturale che emana il Battista, lo affascina e lo inquieta insieme. Certamente, egli teme che, legandosi maggiormente a lui, gli capiti qualche sventura. Strana cosa ! Giuseppe ci dirà che quando Erode fu mandato in esilio da Tiberio « molti Ebrei pensavano che l'esercito di Erode fosse stato colpito da Dio e che lui stesso fosse stato molto giustamente punito di quanto aveva fatto a Giovanni, detto il Battista» (Ant. Jud. XVII, 5, 2, 119).

Il martirio
Nel conflitto fra Giovanni ed Erodiade, vince Erodiade. Il Nuovo Testamento ci permette di stabilire l'ordine degli avvenimenti. Dopo il battesimo di Gesù, Giovanni prosegue il suo ministero per qualche mese. Battezza ad Enon, nei pressi del lago di Genezareth. È in questo periodo che i suoi discepoli si inquietano per i progressi di Gesù. Il Vangelo di Giovanni precisa che a quel tempo « non era stato ancora messo in carcere» (3, 24). Attorno a quest'epoca, dovette andare a Tiberiade, residenza abituale di Antipa, nei pressi di Enon, per rimproverargli il suo adulterio. Erode, influenzato da Erodiade, l'arresta e 10 incatena in carcere (Me. 6, 17). Questa permanenza in carcere dovette durare alcuni mesi, durante i quali Erode poté intrattenersi con Giovanni, cosa che si può spiegare soltanto con la presenza di Giovanni presso Erode. Non ci si immagina Erode che va a trovare Giovanni sulle rive del Giordano.
Erodiade intanto aspettava l'occasione di strappare ad Erode la testa di Giovanni. A tal fine, ordisce una trama che ci viene raccontata da Marea e da Matteo. Erode, per festeggiare il suo compleanno, doveva offrire un banchetto « ai suoi grandi, ai suoi tribuni ed ai principali della Galilea» (Mc. 6, 21). Queste ultime parole sembrerebbero indicare che l'episodio si svolga a Tiberiade. Tuttavia, Giuseppe afferma che Giovanni fu decapitato nella fortezza di Macheronte, sulla costa nord-est del mar Morto, di fronte a Qumran. Questa notizia non va dimenticata. Erode soggiornava dunque a Macheronte al momento delle celebrazioni del suo compleanno. Questa residenza era di sua proprietà. Proprio
là la sua prima moglie, Cipros, si era ritirata, qualche mese prima, dopo che era stata ripudiata; e di là era fuggita per raggiungere i suoi genitori a Petra.
Erodiade aveva fatto entrare nel suo gioco la figlia Salomè. Marco non la nomina, ma noi sappiamo il suo nome da Giuseppe: «e la figlia della stessa Ero di ade entrò e ballò e piacque ad Erode ed ai convitati. Allora il re disse alla fanciulla: 'Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò'. E le giurò: tutto quello che vuoi domandarmi, te lo darò, fosse pure la metà del mio regno! Essa, uscita, domandò a sua madre: 'Che cosa devo chiedere?'. Quella rispose: 'La testa di Giovanni Battista'. Il re divenne triste, tuttavia a motivo del giuramento e per riguardo ai convitati, non volle contrariarla con un rifiuto. E, mandato subito un servo, gli diede ordine di portare la testa di Giovanni» (Mc. 6, 22-27). Sono indicative le ultime parole che rivelano molto bene che questa morte era stata voluta da Erodiade.
Come era stato nella vita, così anche nella morte, Giovanni Battista appare l'ultimo dei profeti ed il maggiore di essi. Infatti riepiloga, nel momento in cui essa si compie, la drammatica storia dei profeti mandati incessantemente da lahvé e respinti dal popolo. Gesù stesso ritraccia questa storia quando dice rivolto agli Ebrei del suo tempo: «Guai a voi, scribi e 'Farisei ipocriti! che fabbricate
sepolcri ai profeti ed ornate le tombe ai giusti, e dice: 'Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti!'. Così, voi attestate contro voi stessi di essere figli di coloro che uccisero i profeti. E voi colmate la misura dei vostri Padri» (Mt. 23, 29-32). E Gesù ricorda loro: « Il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino a quello di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il Tempio e l'Altare» (23, 35). Stefano diceva la stessa cosa: « Quali dei profeti non perseguitarono i vostri padri?» (Att. 7, 52).
La morte di Giovanni Battista appare, in questo senso, l'espressione suprema del peccato. Essa svela il peccato del mondo. L'aver ottenuto Erodiade la testa di Giovanni Battista, esprime la volontà dell'uomo di bastare a sé stesso, di autodefinirsi prescindendo da Dio. È il trionfo degli abitanti della terra i quali, come dice l'Apocalisse, si rallegrano della morte dei profeti « perché erano diventati il tormento degli abitanti della terra»(Ap. 11, lO). È l'espressione di un mondo che grida vittoria dopo essersi liberato da Dio. Nulla viene ormai più a disturbare la sua pretesa di darsi da solo la propria legge. In ciò, la morte di Giovanni è esemplare perché riassume, in un momento storico decisivo, l'universo del peccato.
La morte di Giovanni Battista è inoltre
l'espressione della suprema condanna del mondo. Il suo sangue «ricadrà su questa generazione» (Mt. 23, 36) con tutto il sangue innocentemente versato. Completa così la sua condanna; è il giudizio del mondo, attira sul mondo la coppa della collera di cui parla l'Apocalisse. Manifesta il mistero d'iniquità, rivela apertamente che l'umanità è prigioniera del peccato. Come Giovanni Battista segna la tappa suprema della preparazione alla Parusia nella linea del profetismo, la sua morte segna la tappa suprema della preparazione della Parusia nell'ordine del mistero del peccato. Sembra allora che !'incompatibilità fra il Dio Santo ed Israele peccatore sia irrevocabile, che la suprema possibilità d'Israele gli venga tolta, che resti fino alla fine quel popolo « duro di cervice, incirconciso di cuore e di orecchi, sempre resistente allo Spirito Santo» (Att. 7, 51).
Ma la morte di Giovanni segna anche il termine di questa storia della condanna. Perché, dopo il sangue di Giovanni, un altro sangue sarà versato. Esso non ricadrà come una condanna sopra coloro che l'avranno versato, ma sarà sparso per la redenzione di molti. La morte di Giovanni è la prefigurazione della morte di Gesù. E questo vuol dire innanzitutto che la morte di Gesù assomiglierà
alla sua: « Ma vi assicuro che Elia è già venuto, e non l'hanno voluto riconoscere ma gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto. Così, il Figlio dell'uomo dovrà soffrire da parte loro. Allora i discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni Battista (Mt. 17, 12-13). Il rifiuto e la morte del Battista prefigurano il rifiuto e la morte di Gesù, e questa morte rappresenterà veramente il massimo dell'iniquità. Sarà Gesù a realizzare pienamente la figura del Servo di Jahvé respinto dal mondo peccatore.
Ma Giovanni è soltanto una prefigurazione di Gesù, perché con Gesù il sangue versato acquista un significato nuovo. Esso è versato non più in segno di condanna,' ma di redenzione. Il conflitto senza soluzione fra profeti e peccatori si risolve con il profeta che prende su di sé il peccato del mondo. Giovanni aveva designato Gesù come l'agnello, egli sapeva di appartenere ancora al mondo in cui doveva denunziare il peccato, non liberare da esso. Lo Spirito era dato ai profeti, il sangue era versato dai peccatori. Lo Spirito era effuso in benedizione, ma il sangue era versato in maledizione. Il sangue di Giovanni è l'ultimo che appartenga a questo ordine. D'ora in poi, il sangue che sgorgherà dal corpo di Gesù, sarà Spirito e vita.
Per Erodiade, come per tutti «gli uomini della terra », la morte è un'assurdità, totalmente spoglia di significato e rende insignificante un'ambizione che viene ad infrangersi alla fine su di essa. Ma per Giovanni, la morte è il vertice della sua vita, il momento che
ne consacra il significato. Egli ha fondato la sua vita sulla parola che gli è stata rivolta, e su questa parola fonda anche la sua morte. Nulla gli è tolto che non abbia già donato. La morte non è che quel dono supremo in cambio del quale egli sa di ricevere tutto. L'amore trasforma l'atto della morte nel compimento supremo di tutta la sua vita. La morte suggella, anziché smentire, tutto ciò per il quale egli ha vissuto. Ed essa completa il processo in cui si è precisata la sua posizione, d'un significato unico, fra i profeti dei quali egli è il compimento ed il Cristo nelle cui mani egli. rimette tutte le cose.

CAPITOLO DODICESIMO
PRESENZA DI GIOVANNI BATTISTA
Studierò in quest'ultimo capitolo la vita postuma di Giovanni Battista, cioè la presenza costante del precursore nella vita spirituale dell'umanità. Affronterò tre tipi di argomenti. Prima, la persistenza del messaggio di Giovanni Battista fuori dal Cristianesimo. Poi, la presenza della sua persona, poiché, per noi cristiani, per i quali l'esistenza non si esaurisce con l'esistenza terrestre, Giovanni continua ad essere presente nel mistero della Chiesa. La Chiesa d'Oriente, in particolare, gli dà un posto eccezionale; sopra tutte le iconostasi, la vergine Maria e Giovanni Battista sono i due personaggi principali. Infine, mostreremo come la missione di Giovanni si prolunghi nel tempo preparando le vie del Signore, al momento delle sue diverse venute.
Il ricordo
Giovanni Battista ha fondato un movimento. Qui possiamo porci una prima domanda: sono diventati tutti cristiani i suoi discepoli? Hanno riconosciuto il Cristo? San Paolo incontra ad Efeso dei discepoli del Battista che non avevano mai sentito parlare del battesimo cristiano (Att. 19, 2). Il movimento nato da Giovanni ha dunque persistito nel tempo. Fra i suoi seguaci, alcuni hanno riconosciuto il Cristo e si sono uniti a Lui - in particolare è il caso degli apostoli Giovanni e Pietro - altri sono rimasti discepoli del Battista. Non è possibile, tuttavia, seguire per molto tempo la storia di questo movimento. Attualmente non si può dire se qualche cosa di esso sia rimasto. Le sue ultime derivazioni si sono alla fine innestate nel cristianesimo, o nello islamismo, o nel giudaismo.
Qual è la posizione degli Ebrei nei riguardi dì Giovanni Battista? Lo incontriamo nella loro tradizione e vi è nei suoi riguardi un atteggiamento positivo? Qui la testimonianza
di Giuseppe è molto interessante; per lui Giovanni Battista è un profeta ed un giusto che si è urtato con Erode perché questi vedeva in lui l'espressione di una corrente messianica ohe gli pareva sospetta. Per Giuseppe, Giovanni Battista è una grande figura religiosa del giudaismo del suo tempo. Al contrario, non fa che una brevissima allusione al Cristo e non dimostra verso di Lui lo stesso atteggiamento positivo. Giovanni Battista è dunque, per i suoi contemporanei Ebrei, un grande profeta. D'altra parte, nel Vangelo leggiamo che molti Farisei e sadducei, vengono a farsi battezzare da lui.
Ma egli fu poi quasi completamente cancellato dalla tradizione ebrea posteriore, a causa delle sue relazioni con il Cristo. A partire dal secondo secolo, vi è stata una reazione anticristiana estremamente violenta. Nelle tradizioni talmudiche, Gesù viene presentato come il figlio di un soldato e di una cortigiana. Questa reazione è caduta dì rimbalzo sulla figura di Giovanni Battista che la tradizione talmudica ha completamente ignorato. Il giudaismo moderno, invece, vuole integrare tutte le ricchezze della propria tradizione - e questo soprattutto dopo la ricostituzione dello Stato d'Israele. In questa prospettiva, Giovanni Battista appare una grande figura ebrea e le moderne Vite di Gesù sono caratterizzate da un atteggiamento favorevole nei suoi riguardi. Ci troviamo qui di fronte ad una pagina della storia ebraica che il giudaismo ha voluto ignorare per diciotto secoli e che sta ora riscoprendo (1).
A mio parere questo confronto che i giovani Israeliani d'oggi, fanno con !'intero passato della Palestina, costituisce un problema appassionante. Considerata la distensione che esiste fra cristiani ed ebrei, considerato lo sforzo, nella Chiesa, di eliminare tutto quanto sussisteva di antisemitico, considerato che anche lo Stato d'Israele libera gli Ebrei da un complesso di dispersione e permette loro di affrontare i problemi con maggiore serenità, la questione dell'atteggiamento di fronte agli avvenimenti narrati dal Vangelo, è modificata. Per gli studenti di teologia rabbinica di Gerusalemme, l'insegnamento del Vangelo fa parte di. una cultura universitaria completa, essendo i Vangeli molto importanti per la conoscenza di tutto un periodo della storia della Palestina.
Il posto che Giovanni Battista occupa nel Corano è importante. Gli sono consacrate numerose sure e l'islamismo lo venera profondamente e riconosce in lui un grandissimo profeta. È questo un aspetto di quanto noi scordiamo troppo spesso e cioè la presenza, nell'islamismo, di elementi che provengono dal cristianesimo e la preoccupazione che ha avuto Maometto di collocarsi nella linea di un profetismo in cui Abramo, Giovanni Battista e Gesù rappresentano 'le pietre miliari. In questo senso, l'islamismo si colloca nella prospettiva della religione giudeo-cristiana, ma riduce il messaggio biblico ad una testimonianza profetica resa al monoteismo.
Il Corano parla soltanto della nascita miracolosa di Giovanni Battista, che chiama Yahya. La tradizione musulmana posteriore lo rappresenta come un asceta. Egli si nutre di erbe e di foglie d'alberi; è soprattutto caratterizzato dal dono delle lacrime. Questo
carisma è legata in lui al costante pensiero. del Paradiso. e dell'Inferno. L'iconografia musulmana lo rappresenta con la testa reclina e piangente, mentre Gesù appare sorridente grazie alla sua fiducia in Dio. Giovanni ha inoltre il dono della profezia e chiama gli uomini all'adorazione di Allah. Così, ciò che l'islamismo ha conservato di Giovanni, è soprattutto il suo straordinario ascetismo e la sua eccezionale santità. È considerato un uomo che non ha mai peccato. Il racconto della sua morte è ancora circondato da circostanze meravigliose (2). La Moschea degli Omàyyadi a Damasco, ritiene di possedere la tomba di Giovanni Battista.
C'è un casa assai curiosa che bisogna ricordare: quello di una religione che ancora esiste, della quale Giovanni Battista è il grande profeta. Religione molta misteriosa che oggi è rappresentata soltanto da qualche gruppo. nell'Iraq. Essa è stata oggetto di studi approfonditi da cinquant'anni a questa parte, perché pone ogni genere di problemi riguardanti le origini cristiane. Si tratta del mandeismo. I mandei sono tribù battiste. Il loro rito principale è il battesimo e la loro iniziale residenza sono state le sponde del Giordana. Nel mandeismo abbiamo dunque certamente la prosecuzione di un battesimo giordaniano, cioè
l'eredità di tribù arabe transgiordane, il cui rito principale era il battesimo nel Giordana. E questo in un tempo precedente a Giovanni Battista ed a Gesù. I riti battesimali di queste tribù consistevano in bagni con immersione completa in un fiume o in un corso d'acqua. Il Giordano rappresentava per loro una specie di fiume sacro. Abbiamo i libri sacri dei Mandei, specialmente il Ginza. In essi, si trovano delle tradizioni antiche che risalgano certamente ad un battesimo. anteriore al Nuovo Testamento, ma ulteriormente arricchite da influenze cristiane e musulmane.
Il problema che interessa è se Giovanni Battista abbia avuto una funzione nelle origini di questa religione, che lo considera il grande profeta. In realtà, gli specialisti odierni, in particolare Kurt Rudalf nel suo notevole volume intitolato Die Mandäer, pensano che Giovanni Battista non abbia niente a che vedere con la fondazione di questa setta, ma che i Mandei ne abbiano fatto il loro profeta fondatore a causa del rito essenziale che egli compiva: il battesimo nel Giordano. Non sembra si possa affermare che essi siano un ramo di discepoli del Battista durato fino ad oggi. Tuttavia, la cosa molto interessante è che vi sono nel mandeismo delle tradizioni sul Battista provenienti dal Nuovo Testamento e testimonianti che il ricordo di Giovanni era rimasto straordinariamente vivo sulle sponde del Giordana.

La gloria
In un secondo punto, studieremo la vita postuma di Giovanni Battista, non più nelle sue sopravvivenze storiche, ma nella sua realtà presente. In effetti, per noi, la vita - tanto quella del Cristo che quella dei santi - non è limitata all'esistenza terrestre, ma continua oltre la morte. Giovanni Battista interessa quindi anche nella sua realtà attuale. Qui, noi passiamo dai dati storici alla riflessione teologica. La chiesa cristiana nella quale Giovanni Battista ha maggior importanza mistica, è l'ortodossa. Lo studio del posto che Giovanni Battista occupa nella Chiesa orientale, e principalmente nell'ortodossia, sarebbe assai interessante.
Ciò è vero innanzi tutto per l'iconografia. Si ritrova Giovanni Battista fra i personaggi dell'iconostasi. La dignità del precursore trova una conferma diretta nel posto che questi occupa nella gerarchia illustrata nelle iconostasi. Al centro sta il Salvatore. Ai lati, la Madre divina, ed il precursore. Dunque, il precursore è sullo stesso piano di Maria. Poi vengono gli angeli e quindi, i santi. Questa composizione rispecchia una visione teologica fondamentale. Non si tratta di una concezione particolare, ma di una rappresentazione comune poiché essa è espressa nell'iconostasi stessa, cioè nella liturgia ufficiale. In, tale liturgia, che è come la rappresentazione del
cielo, l'icona è qualche cosa di completamente diverso dalle nostre statue: per noi le statue o i quadri sono ornamenti, mentre !'icona orientale è una specie di sacramento e fa parte della celebrazione liturgica. Ecco perché si venerano le icone. L'icona è quasi una presenza ed aiuta a passare dal mondo sensibile a quello invisibile: rende presente il Cielo nella liturgia. Vi si trova una visione contemplativa mirabile, che è uno dei motivi del fascino delle liturgie orientali, nelle quali tutti i segni introducono nel mondo del mistero.
Il medesimo posto che Giovanni Battista occupa nell'iconologia orientale, lo occupa anche nella liturgia orientale. Da questo punto di vista, il maggior libro su Giovanni Battista è opera di Sergej Bulgakov, s'intitola L'amico dello Sposo e fa parte di una trilogia mirabile, non ancora tradotta in francese né in italiano: La Scala di Giacobbe (angelologia), Il Roveto ardente (mariologia), L'amico dello Sposo (joannologia) (3). Bulgakov avvicina, come fa l'iconologia, le tre sfere del vertice della gerarchia. È sicuramente la riflèssione teologica più spinta che vi sia su Giovanni Battista. Il primo di questi temi è quello della santificazione di Giovanni Battista fin dal seno di sua madre, ciò che Bulgakov accosta all'Immacolata Concezione. Eg1i ritiene che il Battista appartenga ad un ordine di grazia assolutamente differente da quello dell'umanità comune. E poiché, d'altra parte, gli ortodossi non credono all'Immacolata Concezione, nel senso che noi le attribuiamo, ma pensano soltanto che la Vergine sia stata preservata dal commettere peccato alcuno e che Ella è Santissima, non vi è dunque, per la teologia orientale, differenza di natura fra il privilegio di Maria ed il privilegio di Giovanni. Questo spiega come, nell'iconologia, si possa porli sullo stesso piano. In effetti, essi presentano, l'uno e l'altro, la caratteristica di essere stati santificati fin dalla loro origine e di non essere mai stati sfiorati dal peccato Ma questo, per gli Orientali, non ha lo stesso significato di ciò che la teologia occidentale ha chiamato esenzione dal peccato originale.
Una seconda caratteristica ci introduce in misteri0se speculazioni. Si tratta della relazione fra Giovanni Battista ed il mondo degli angeli. Il Vangelo applica a Giovanni la frase di Malachia: «È di lui che è stato detto: io invierò il mio anghelos prima di me » (3, 23). Questo termine greco può significare angelo o messaggero. Molto presto, nella tradizione patristica, è esistita !'idea di una certa relazione fra Giovanni ed il mondo degli angeli. Origene si chiedeva se Giovanni Battista non fosse un angelo e se non vi fosse stata una
incarnazione di Giovanni Battista parallela all'incarnazione del Verbo; se cioè Giovanni Battista non fosse un angelo incarnato che precedeva il Verbo incarnato. Nei Padri vi sono lunghissime discussioni sull'argomento. Bulgakov conserva qualche cosa di questa misteriosa relazione di Giovanni Battista con il mondo degli angeli.
Ecco che cosa dice Zander: «Nell'iconologia orientale la caratteristica più diffusa del precursore sono le ali. Questa figurazione alata indica innanzi tutto il modo angelico con il quale visse e grazie al quale gli inni della Chiesa lo chiamano angelo. Tuttavia si lodano anche i venerabili asceti, per aver vissuto una vita simile a quella degli angeli, ma non per questo vengono rappresentati con le ali. Perciò, in Giovanni vi è qualche cosa di più. Al pari degli angeli egli sta davanti alla luce eterna, come una luce riflessa. È in lui e attraverso di lui che la natura angelica è, per così dire, inclusa nell'opera di Incarnazione. L'apostolo Paolo lo conferma: il Cristo, partecipando nella sua incarnazione al sangue ed alla carne, ha sposato la causa non degli angeli ma della discendenza di Abramo. Ma, nel precursore, la natura angelica e la natura umana si trovano congiunte in virtù della incarnazione di Dio: questa infatti, una volta realizzata in tutta la sua pienezza, accoglie in sé tutto ciò che è creato, in particolare il mondo degli angeli.
Tale è il nuovo aspetto della partecipazione del precursore alla Incarnazione divina e non
soltanto come battista ma anche come angelo, a causa dell'unione che vi è in lui della natura umana e del mondo angelico» (4). Questo non è interamente convincente ma certo vi è, nella teologia orientale, una linea di riflessione che sarebbe interessante approfondire. Che l'intero universo ed il cosmo della spirito, in particolare, sia integrato nel mistero di Cristo, mi pare infatti certo, perché il mistero di Cristo è un mistero cosmico, non soltanto umano. Per mezzo dell'Incarnazione, il Verbo di Dio riprende tutte le cose per riportarle al Padre. Ma qual è il compito di Giovanni? In quale misura si può dire che per mezzo suo il mondo degli angeli venga integrato nel mistero della salvezza? Forse ciò avviene perché Giovanni riunisce al Cristo tutto ciò che non è visibilmente incorporato nella Chiesa; egli viene, per così dire, a raccogliere ciò che è marginale.
Il ministero
Vi è una persistenza di Giovanni Battista dal punta di vista del suo carisma storico. Abbiamo visto or ora, d'altra parte, il posto che Giovanni Battista occupa nella gerarchia della liturgia celeste. Da ultima, dobbiamo precisare la persistenza della sua funzione nell'edificazione del corpo mistico. Infatti, una legge dell'ordine della grazia, è che i ministeri sono permanenti. Ed è quanto costituisce, vicino alla cristologia, quella che si può chiamare mariologia, joannologia, josefologia, petrologia. Quella che Maria, Giuseppe, Pietro sono stati nel Nuovo Testamento, deve proseguire in un modo o nell'altro, nella Chiesa. Questa legge è molto importante. Vi è dunque continuità nel ministero di Giovanni, questa ministero della preparazione (5). Tre sono le grandi preparazioni.
Prima di tutto Giovanni precede Gesù nella sua vita terrena e nel sua ministero pubblico. Questa l'abbiamo vista. Seconda, Giovanni precede Gesù agli inferi. Discende prima di lui nel mondo dei morti, il mondo nel quale Adamo, Enoch, Abramo, David, questa immenso mondo dell'Avvento, attendevano la liberazione. Giovanni Battista discende nel mondo dei morti poiché il Paradiso non è ancora aperto; ma discende da precursore, ed annunzia ai santi dell'Antico Testamento che l'ora della liberazione è imminente. Lo sguardo contemplativo scopre degli abissi là dove i nostri sguardi limitati si fermano alla superficie. L'universo delle anime è di una ricchezza della quale noi non sospettiamo quasi nulla, perché
in questo ordine la nostra cecità è quasi totale. Certo, non bisogna cedere ai trasporti dell'immaginazione, ma tuttavia bisogna ammettere delle dimensioni dell'essere diverse da quell'universo miseramente angusto che finisce con il costruire certo positivismo moderno. Bisogna dare al cosmo le sue profondità spirituali. Se Giovanni ha avuto una missione in quell'universo dei morti, in quell'universo di anime che è sommamente reale nel Corpo di Cristo, non vi è da stupirsene (6).
Giovanni è anche colui che prepara negli
animi le vie del Signore. Questo è il suo aspetto missionario, il suo aspetto d'Avvento. Invero, l'incontro con il Cristo deve essere preparato. Bisogna che ogni collina venga abbassata, ogni avvallamento colmato, che i vuoti di speranza siano colmati e le punte di orgoglio abbassate. Disperazione ed orgoglio sono infatti i due ostacoli fondamentali alla fede; vi sono persone troppo piene di sé, e questo chiude loro l'ingresso del Cristo, ve ne sono altre che non hanno sufficiente speranza e questo impedisce loro di raggiungere il Cristo. È necessario dunque abbassare le montagne, ed esaltare le valli, chiudere i vuoti e demolire i muri. È quanto fa Giovanni Battista.
Giovanni prepara inoltre la Parusia. Qui ci si confonde un po' fra Giovanni Battista ed Elia. Gli Ebrei chiedevano se Giovanni Battista era ritornato - Gesù stesso aveva detto che Giovanni Battista era Elia -. Fra Giovanni Battista ed Elia vi sono continue analogie. Tutta una spiritualità del deserto parte da Elia, passa attraverso Giovanni Battista, va in Egitto e prosegue nel Carmelo. Il precursore dell'ultima Parusia è dunque Elia o Giovanni Battista? Non lo si può dire con certezza. Saranno forse l'uno e l'altro insieme, ma è certo che quest'ultima venuta è preparata anche da Giovanni Battista. È qui che noi scorgiamo la persistenza di un ministero misterioso di Giovanni Battista attraverso la storia della Chiesa; in tal modo noi non ci limitiamo ad un ritorno nel passato, ma ci troviamo in contatto con un'influenza viva.

[1] Vedi D. FLUSSER, Johannes der Täufer, Leyde, 1964. D. Flusser è docente di esegesi del Nuovo Testamento all'Università ebraica di Gerusalemme.
[2] Vedi i testi raccolti da MICHEL HAYEK, Le Christ et l'Islam, Le Seuil, Paris, 1959, pp. 49-61.
[3] Quest'ultima opera è riassunta in un articolo di LÉON ZANDER, Le Précurseur selon le P. Boulgakof in « Dieu vivant », 7 (1946), pp. 89-117.
[4] L. ZANDER, art. ci t., pp. 113-114.
[5] Vedi ORIGENE, Com. Joh., 11, 37; IPPOLlTO, De Antichristo, 43-46.
[6] Vedi per es. SIRARPIE DER NERSESSIAN, A Homily on the Raising of Lazarus and the Harrowing of Hell, in « Biblical and Patristic Studies in Memary af Rabert Pierce Casey», Berlin, 1963 pp. 224-227.