sabato 18 giugno 2011

Commenti al Pater: Teresa d'Avila




 Dal "Cammino di Perfezione", di santa Teresa d'Avila, vergine e dottore della Chiesa
Sul "Padre Nostro"
CAPITOLO 27
Tratta del grande amore che il Signore ci ha dimostrato con le prime parole del Pater noster e di quanto importi non fare alcun conto della propria discendenza, se vogliamo essere vere figlie di Dio.
1. Padre nostro che sei nei cieli. Oh mio Signore, come si vede bene che siete Padre di un tal Figlio e che vostro Figlio è Figlio di un tal Padre! Siate benedetto per sempre nei secoli! Non bastava, Signore, che ci accordaste di chiamarvi nostro Padre alla fine della preghiera? Ma voi fin dal principio ci riempite le mani, concedendoci un tale dono, per il quale il nostro intelletto dovrebbe sentirsi così colmo di grazia e la nostra volontà così impegnata da renderci impossibile pronunciare parola. Oh, figlie mie, come verrebbe bene qui trattare della contemplazione perfetta! Oh, come sarebbe conveniente che l’anima si raccogliesse in sé per meglio elevarsi al di sopra di se stessa, affinché questo santo Figlio le spiegasse cosa sia il luogo dove dice abita suo Padre, che è nei cieli! Liberiamoci dalla terra, figlie mie, perché, dopo aver conosciuto l’eccellenza di un tale dono, non è giusto tenerlo in così poco conto da restare ancora in questo mondo.
2. Oh, Figlio di Dio e mio Signore, come potete darci, sin dalla prima parola, tanto bene? Dopo esservi umiliato a tal punto di unirvi a noi nelle nostre richieste e farvi fratello di creature così povere e miserabili, come ci date in nome di vostro Padre tutto ciò che si può dare, volendo che ci abbia per figli? E siccome la vostra parola non può venire meno, voi lo obbligate ad adempierla, il che non è cosa di poco peso, perché, essendo Padre, ci deve sopportare, per quanto gravi siano le nostre offese; perdonarci quando ritorniamo a lui, come il figliuol prodigo; consolarci nelle nostre sofferenze; procurarci di che vivere come si conviene a tal Padre, che è necessariamente migliore di tutti i padri del mondo, perché in lui non può esserci se non l’assoluta perfezione; e, infine, renderci partecipi e coeredi con voi.
3. O Signore, se voi, per l’amore che ci portate e per la vostra umiltà, non indietreggiate di fronte a nessun ostacolo…, quanto più, Signore, se, essendo disceso sulla terra ed essendovi rivestito della nostra carne, con l’assumere la nostra natura, sembra che in un certo qual modo siate obbligato a soccorrerci. È giusto, poi, che vi prendiate cura dell’onore di vostro Padre, che, come voi dite, abita nei cieli. Se voi vi siete votato a subire il disonore per amor nostro, lasciate libero vostro Padre: non lo obbligate a tanto per gente così miserabile come me, che gliene sarà ben poco riconoscente.
4. Oh, buon Gesù! Come avete chiaramente dimostrato che siete una cosa sola con lui e che la vostra volontà è la sua, e la sua è la vostra! Quale chiara testimonianza! Quanto è grande l’amore che nutrite per noi! Avete fatto ricorso a ogni raggiro per nascondere al demonio di essere Figlio di Dio e, animato come siete dall’immenso desiderio del nostro bene, non c’è ostacolo che non superiate per farci intendere una verità così grande. Chi poteva far questo se non voi, Signore? Io non so come, con questa parola, il demonio non abbia compreso chi eravate, senza il minimo dubbio. Almeno io vedo chiaramente, Gesù mio, che voi avete parlato, come Figlio prediletto, per voi e per noi e che avete la potenza di ottenere che si faccia in cielo quanto avete detto sulla terra. Siate benedetto per sempre, Signor mio, così amante di dare, che nessun ostacolo può esservi d’impedimento.
5. Ebbene, figlie mie, non vi sembra un buon Maestro chi, per impegnarci a ad apprendere ciò che c’insegna, comincia col farci un così gran dono? Vi sembra ora, dunque, che sia giusto, pronunciando con le labbra questa parola, non tralasciare di applicarvi anche la mente, tanto che il nostro cuore [non] si spezzi nel vedere un tale amore? Qual è, infatti, in questo mondo il figlio che non cerchi di conoscere suo padre, quando sa che è buono, pieno di tanta maestà e di potenza? Se non fosse così, non mi stupirei che non volessimo riconoscerci per figli suoi, perché il mondo è tale che, se il padre si trova in uno stato inferiore a quello del figlio, a lui sembra un disonore riconoscerlo per padre.
6. Questo no succede qui. Dio voglia che nella nostra casa non ci siano mai simili sentimenti: sarebbe un inferno. Al contrario, quella che è di più nobile famiglia abbia meno di ogni altra il nome di suo padre sulla bocca, perché tutte qui devono essere uguali.
Oh, collegio di Cristo, in cui, per volontà del Signore, aveva più autorità san Pietro, pur essendo un pescatore, che san Bartolomeo, che era figlio di re; Sua Maestà sapeva ciò che doveva accadere nel mondo, dove non si fa altro che discutere chi sia di miglior pasta, e se servirà per far mattoni o muri. Dio mio, quanto ci diamo da fare! Dio vi liberi, sorelle, da discussioni di tal genere, anche se fatte per scherzo; io spero che Sua Maestà vi concederà questa grazia. Se qualcosa di simile si notasse in qualcuna di voi, vi si ponga subito rimedio, ed ella tema di essere come Giuda fra gli Apostoli; le vengano imposte penitenze fino a che capisca che non meritava d’essere tra voi neppure come la terra più vile.
Avete un buon Padre, che vi è dato dal buon Gesù; non riconoscetene altro qui con il quale intrattenervi; procurate, piuttosto, figlie mie, di essere tali da meritare di godere di lui e di gettarvi nelle sue braccia. Ormai sapete che non vi allontanerà da sé se sarete buone figlie. Chi, dunque, non farà di tutto per non perdere un tal Padre?
7. Oh, mio Dio, quanti motivi di consolazione ci sarebbero qui da esporre! Ma per non dilungarmi troppo, voglio lasciare tali pensieri alla vostra intuizione. Per quanto bizzarra possa essere la vostra immaginazione, fra un tal Figlio e un tal Padre dev’esserci sempre lo Spirito santo. Che egli intervenga e infiammi i vostri cuori e li incateni col suo ardentissimo amore, se non basta a tal fine la considerazione di un così grande interesse!

CAPITOLO 28
Spiega cosa sia l’orazione di raccoglimento e indica alcuni mezzi per abituarsi a praticarla.
1. Ora considerate ciò che il vostro Maestro dice: Che stai nei cieli. Pensate che importi poco sapere che cosa sia il cielo e dove si debba cercare vostro Padre, infinitamente santo? Ebbene, io vi dico che, per anime distratte importa molto non solo credere questo ma procurare di capirlo per esperienza diretta, perché è una delle cose che più giovano a tenere a freno l’intelletto e a far raccogliere l’anima.
2. Voi già sapete che Dio è in ogni luogo. Ora, è chiaro che dove sta il re, come si dice, lì sta la sua corte; pertanto, dov’è Dio, lì è il cielo. Senza ombra di dubbio potete credere che dov’è Sua Maestà, là è anche tutta la gloria. Considerate, inoltre, quello che dice sant’Agostino, che lo cercava in molti luoghi e lo trovò finalmente in se stesso. Pensate che importi poco, per un’anima proiettata al di fuori, comprendere questa verità e sapere che non ha bisogno, per parlare con il suo eterno Padre e godere della sua compagnia, di salire al cielo, né ha bisogno di alzare la voce? Per quanto possa farlo sommessamente, egli le è così vicino che l’udrà. E non ha bisogno di ali per andare a cercarlo, ma solo di ritirarsi in solitudine, sentirlo dentro di sé e non meravigliarsi di ricevere un tale Ospite. Con grande umiltà l’anima gli parli come a un padre, gli esponga le proprie pene e gliene chieda il rimedio, consapevole, peraltro, di non meritare d’essere sua figlia.
3. Lasciate perdere certe timidezze che hanno alcune persone pensando che si tratti d’umiltà. L’umiltà non consiste certo nel rifiutare un dono che il re vi fa, ma nell’accettarlo, riconoscendo quanto ne siete immeritevoli, e gioirne. Bella umiltà sarebbe quella che io ospiti l’Imperatore del cielo e della terra in casa mia, dove egli viene per colmarmi delle sue grazie, per compiacersi con me, e per umiltà non voglia rispondergli né restare con lui, né accettare quello che mi dà e lo lasci solo, e quando mi esorta e mi prega di rivolgergli le mie suppliche, per umiltà voglia rimanere nella mia indigenza e perfino lo lasci andar via, dal momento che egli vede che io non riesco ad accettare le sue offerte!
Guardatevi, figlie mie, da queste forme di umiltà, e trattate invece con lui come con un padre, con un fratello, con un maestro, con uno sposo, a volte in un modo, a volte in un altro, perché egli v’insegnerà che cosa dobbiate fare per contentarlo. Smettete di essere sciocche! Chiedetegli di mantenere la sua parola; poiché è vostro Sposo, che vi tratti come tale.
4. Questo modo di pregare, sia pur fatto vocalmente, raccoglie lo spirito assai più rapidamente d’ogni altro e apporta molti vantaggi. Si chiama orazione di raccoglimento, perché l’anima raccoglie tutte le potenze e si ritira in se stessa con il suo Dio. Lì il suo Maestro divino viene e riesce più presto che in qualunque altro modo a istruirla e a concederle l’orazione di quiete. Raccolta, infatti, in se stessa, può meditare sulla passione, rappresentarsi il Figlio di Dio e offrirlo al Padre, senza stancare la mente alla ricerca di lui sul Calvario o nell’Orto degli ulivi o flagellato alla colonna.
5. Le persone che sapranno rinchiudersi in questo piccolo cielo della loro anima, dove abita colui che l’ha creata e che pure creò la terra, e abituarsi a non volgere lo sguardo né a soffermarsi su ciò che può distrarre i loro sensi esteriori, seguono, credano pure, un cammino sicuro: non mancheranno di giungere a bere l’acqua della fonte e faranno molta strada in poco tempo. È come chi, andando per nave, con un po’ di buon vento, giunge al termine del viaggio in pochi giorni, mentre quelli che vanno per terra impiegano molto di più.
6. Queste anime sono già, come suol dirsi, in mare aperto, e benché non abbiano lasciato del tutto la terra, durante l’orazione fanno quello che possono per liberarsi da essa, raccogliendo i loro sensi in se stesse. Se il raccoglimento è vero, lo si vede chiaramente per un certo effetto che produce. Io non so come farlo capire; chi l’avrà provato mi comprenderà: sembra che l’anima, nella consapevolezza che le cose del mondo sono un gioco, si alzi nel momento migliore e se ne vada come chi, per non dover temere gli attacchi del nemico, si rifugia in una fortezza. È un ritirarsi dei sensi dalle cose esteriori, un disprezzarle a tal punto che gli occhi si chiudono spontaneamente per non vederle, mentre lo sguardo dell’anima si acuisce sempre di più. Ecco perché chi va per questo cammino tiene quasi sempre gli occhi chiusi, ed è un’abitudine degna di ammirazione per molte ragioni, benché occorra farsi forza per non guardare le cose di quaggiù, ma questo solo al principio, in quanto poi non è più necessario; anzi, costerebbe di più in quel momento tenerli aperti. Sembra che l’anima comprenda di fortificarsi e di acquistar vigore a spese del corpo, lasciandolo solo e indebolito, e ricuperando nell’orazione nuove forze per combatterlo.
7. E quantunque all’inizio non ci si renda conto di tali effetti, non essendo ancora il raccoglimento tanto perfetto – perché ci sono diversi gradi –, se l’anima si abitua ad esso (pur con la fatica che costa l’inizio, reclamando il corpo i suoi diritti, senza capire che da sé si procura la sua rovina nel non darsi per vinto), se prosegue in tal modo per alcuni giorni e fa seri sforzi, ne vedrà chiaramente il vantaggio. Difatti, appena comincerà a pregare, i suoi sensi si raccoglieranno come quando le api, tornate all’alveare, vi entrano per fare il miele. E questo senza alcuno sforzo da parte sua, perché il Signore ha voluto che, per il tempo in cui ha atteso a ciò, l’anima abbia meritato un tale dominio sulla volontà che non appena fa capire di volersi raccogliere, i sensi le obbediscano e si raccolgano in essa. E, anche se dopo tornano a uscirne, è una gran cosa che si siano ormai assoggettati, perché ne vengono fuori come sudditi e schiavi e non fanno più il male di prima. Se la volontà li richiama, ritornano subito, finché, dopo molti di questi ritorni, il Signore si compiacerà di sospenderli ormai del tutto nella contemplazione perfetta.
8. Cercate di comprendere bene quanto vi ho detto: anche se sembra oscuro; lo capirete facilmente se lo metterete in pratica. Visto che tali anime vanno per mare con il vento in poppa e che è molto importante per noi evitare ogni lentezza, diciamo una parola su come possiamo abituarci a un così proficuo modo di procedere: seguendo questa strada si è più al sicuro da un gran numero di occasioni pericolose e il fuoco dell’amore divino si accende più facilmente; stando infatti proprio vicino al fuoco, basta un minimo soffio dell’intelletto perché tutto, alla minima scintilla, s’incendi. Non essendoci alcun impedimento esteriore e trovandosi l’anima sola con il suo Dio, c’è una straordinaria disposizione a prender fuoco.
9. Immaginiamo, dunque, che dentro di noi ci sia un palazzo di una enorme ricchezza, un edificio tutto d’oro e di pietre preziose, quale, infine, si conviene a un tale Signore; pensate che voi contribuite, com’è vero, al suo splendore, non essendoci alcun palazzo di tanta bellezza che regga il confronto con un’anima pura e piena di virtù. Più queste sono elevate, più le pietre preziose risplendono; pensate, inoltre, che in questo palazzo abita il gran Re che si è compiaciuto di essere vostro Padre e che siede su un trono di grande valore: il vostro cuore.
10. Dapprima ciò potrà sembrarvi fuor di luogo – cioè che io mi serva di tale immagine per farvi intendere quel che dico –, ma può darsi che sia molto proficuo, specialmente per voi, perché, essendo noi donne sprovviste di istruzione, tutto questo è necessario per capire bene come dentro di noi ci sia qualcosa d’incomparabilmente più prezioso di quello che vediamo al di fuori: non crediamoci vuote dentro. E piaccia a Dio che siano soltanto le donne ad essere così sprovvedute! Ritengo infatti impossibile che, se procurassimo di ricordare di avere un tale Ospite dentro di noi, potremmo dedicarci molto di più alle cose del mondo, perché vedremmo quanto sono spregevoli in confronto a quelle che possediamo in noi. E che cosa ci distingue da un animale, il quale, vedendo ciò che gli soddisfa la vista, sazia la sua fame con quella preda? Eppure, dovrebbe esserci una differenza tra gli animali e noi.
11. Forse si potrà ridere di me, dicendo che tutto ciò è ben chiaro, e a ragione, benché per me sia stato oscuro per qualche tempo. Sapevo benissimo di avere un’anima, ma quale fosse il suo valore e chi stesse dentro di essa non lo capivo perché avevo gli occhi bendati dalle vanità della vita per poterlo vedere. Infatti, se avessi capito, come ora, che in questo minuscolo palazzo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto spesso solo; qualche volta, almeno, sarei stata con lui e soprattutto avrei procurato di non esser così piena di macchie. Ma che cosa c’è di più meraviglioso che vedere colui il quale può riempire della sua grandezza mille e mille mondi, rinchiudersi in una casa così piccola? In verità, essendo egli il Signore di tutto, può fare ciò che vuole, e siccome ci ama, si adatta alla nostra misura.
12. Quando un’anima comincia a seguire questa via, perché non abbia turbarsi di vedersi tanto piccola, destinata a racchiudere in sé un essere tanto grande, il Signore non le si rivela finché essa non ingrandisce a poco a poco la sua capacità, proporzionatamente ai doni che vuole accordarle. Per questo dico che può fare ciò che vuole, perché ha il potere d’ingrandire il palazzo dell’anima. Tutto sta nel fargliene dono con piena decisione e di sgombrarlo, affinché egli possa mettere o levare quel che vuole, disponendone come di cosa propria. E Sua Maestà ha ragione, non neghiamoci a lui. Egli non vuol forzare la nostra volontà, prende ciò che gli diamo, ma non si dà interamente a noi finché noi non ci diamo interamente a lui. Questo è fuor di dubbio, ed essendo di grande importanza, ve lo ricordo continuamente: il Signore non agisce nell’anima se non quando, del tutto sgombra da ostacoli, è sua; diversamente, non so come potrebbe agire, amante com’è dell’ordine. Se infatti riempiamo il palazzo di gente da poco e di cose inutili, come può trovarvi posto il Signore con la sua corte? È già molto se si trattiene un momento fra tanti impicci.
13. Credete, forse, figlie mie, che egli venga solo? Non vedete che suo Figlio dice: Che sei nei cieli? È mai possibile che i cortigiani di un tal re osino lasciarlo solo? No, essi stanno sempre con il re, ed essendo pieni di carità, lo pregano continuamente in nostro favore. Non pensate che avvenga come quaggiù, che se un signore o un prelato favorisce qualcuno per motivi determinati o perché così vuole, subito nascono invidie e quel poveretto è visto di mal occhio senza aver fatto nulla a nessuno.
CAPITOLO 30
Dice quanto importi capire ciò che si chiede nell’orazione. Tratta di queste parole del Pater noster: Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, che si applica all’orazione di quiete, di cui comincia a parlare.  
1. Chi è colui, per quanto sconsiderato sia, che dovendo chiedere una grazia a una persona autorevole, non pensi anzitutto come chiedergliela, per riuscirle accetto e non sembrare scortese? Non deve forse sapere cosa chiedere e comprendere il bisogno che ne ha, specialmente se chiede una cosa importante, come quella che c’insegna a chiedere il nostro buon Gesù? Ma ecco quel che mi sembra degno di nota. Non potevate, Signor mio, concludere con una parola e dire: Dateci, Padre, quello che a noi conviene? Per chi conosce tutto così bene, mi sembra che non ci fosse bisogno d’altro.
2. Oh, eterna Sapienza, per voi e per vostro Padre ciò poteva bastare! Così, infatti, voi vi siete espresso nell’orazione dell’Orto degli ulivi; avete manifestato il vostro desiderio e il vostro timore e, poi, vi siete rimesso alla sua volontà. Ma, mio Signore, voi ci conoscete e, sapendo che non siamo così sottomessi alla vostra volontà come lo eravate voi a quella di vostro Padre, avete ritenuto necessario precisare bene le domande per farci considerare se ciò che gli chiediamo ci conviene e, in caso contrario, indurci a non chiederglielo. Siamo così fatti, in realtà, che se non ci viene dato quello che chiediamo, con questo libero arbitrio di cui disponiamo non accetteremo ciò che il Signore voglia darci. D’altronde, anche se è il meglio, non crediamo mai di essere ricchi se non quando abbiamo il denaro tra le mani.
3. Oh, mio Dio, com’è debole la nostra fede! Tanto debole che non riusciamo a capire né quanto sia certo il castigo né quanto lo sia il premio che avremo! Per questo è bene, figlie mie, che sappiate ciò che chiedete nel Pater noster affinché, se il Padre eterno ve lo concederà, non abbiate a rifiutarglielo; considerate assai attentamente se vi conviene; altrimenti non chiedeteglielo, ma pregate Sua Maestà di illuminarvi, perché siamo ciechi e proviamo ripugnanza per i cibi che devono darci la vita, mentre ricerchiamo quelli che ci condurranno alla morte. E che morte spaventosa ed eterna!
4. Il buon Gesù, dunque, ci invita a dire le seguenti parole con le quali chiediamo che venga in noi un tale regno divino: Sia santificato il tuo nome, venga a noi il tuo regno. Ma considerate, figlie mie, l’infinita sapienza del nostro Maestro. Considerate qui, con me, perché è bene rendersene conto, che cosa chiediamo con questo regno. Sua Maestà ha visto che non potevamo santificare, lodare, esaltare né glorificare degnamente questo santo nome dell’eterno Padre con le nostre scarse possibilità, se non provvedeva a darci quaggiù il suo regno, e per questo il buon Gesù pose queste due richieste l’una accanto all’altra. Voglio dirvi qui quello che ne penso, affinché possiamo comprendere non solo ciò che gli chiediamo, ma quanto importi insistere per ottenerlo e fare di tutto per piacere a colui che ci può esaudire. Nel caso che non vi soddisfi questa mia spiegazione, trovate voi altre considerazioni. Il nostro Maestro vi autorizzerà, purché vi sottomettiate in tutto a ciò che insegna la Chiesa, come faccio anch’io in questo stesso momento.
5. Ora, il gran bene che a me sembra vi sia nel regno dei cieli, insieme con molti altri, è non tenere più in alcun conto le cose della terra, ma sentire in sé un gran riposo e una piena felicità, gioire della gioia di tutti, godere di una pace continua e provare una profonda soddisfazione interiore nel vedere che tutti santificano e lodano il Signore, ne benedicono il nome e nessuno l’offende. Tutti lo amano e l’anima stessa non attende ad altro, se non ad amarlo, perché lo conosce. E così l’ameremmo quaggiù, conoscendolo, anche se non con questa perfezione e continuità, ma sempre molto diversamente da come lo amiamo.
6. A quanto dico, sembrerebbe che dobbiamo essere angeli per rivolgergli questa richiesta e pregare bene vocalmente. Ben lo desidererebbe il nostro divino Maestro, visto che ci prescrive di rivolgergli una richiesta così sublime, e si può essere certi che egli non ci suggerisce di chiedere cose impossibili. Sarebbe possibile pertanto, con l’aiuto di Dio, che un’anima vivente ancora in quest’esilio l’ottenesse, anche se non con la perfezione di quelle che son libere da questo carcere, perché dopo tutto si è ancora tra i flutti del mare e in viaggio. Ma vi sono momenti in cui il Signore, vedendoci stanchi del cammino, ci procura un riposo delle potenze e una serenità dell’anima tali da far chiaramente capire, per segni manifesti, quale sia il sapore di ciò che viene dato a coloro che egli introduce nel suo regno; e a quelli di cui esaudisce quaggiù la richiesta dà pegni capaci di alimentare la grande speranza di andare a godere eternamente ciò che qui ci viene dato a sorsi.
7. Se non doveste accusarmi di parlare di contemplazione, verrebbe a proposito, in questa richiesta del Pater, dire qualcosa sull’inizio della pura contemplazione, chiamata, da coloro che ne sono favoriti, orazione di quiete. Ma – ripeto – io tratto di orazione vocale, e a chi non ne abbia esperienza sembra che una cosa non vada bene con l’altra, mentre io so che si conciliano perfettamente. Perdonatemi se ve ne voglio parlare, perché conosco molte persone le quali, mentre pregano vocalmente – com’è stato detto – sono elevate da Dio, senza che esse sappiano come, a un alto grado di contemplazione. Ne conosco una, ad esempio, che non poté mai praticare se non l’orazione vocale e, attaccata ad essa, realizzava tutto. Se, invece, non pregava così, l’intelletto si smarriva talmente che diventava un supplizio. Magari avessimo tutte un’orazione mentale così perfetta com’era la sua vocale! In certi Pater noster che recitava in onore delle varie volte in cui il Signore sparse il suo sangue – e in poche altre preghiere – impiegava alcune ore. Una volta venne da me piena d’angoscia perché non sapeva elevarsi alla contemplazione, ma solo pregare vocalmente. Le chiesi cosa recitasse: vidi allora che, fedele al Pater noster, arrivava alla pura contemplazione e il Signore la elevava anche fino all’orazione di unione. Del resto, appariva chiaro dalle sue opere che doveva ricevere grazie assai sublimi, perché spendeva santamente la sua vita. Io ne lodai il Signore e invidiai la sua orazione vocale. Se questo è vero – com’è in realtà – non pensate, voi che siete nemici dei contemplativi, di non poter diventarlo anche voi, se recitate le orazioni vocali come devono essere recitate, con una coscienza pura.
CAPITOLO 32
Tratta di queste parole del Pater noster: Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra, e dice quanto merito abbia chi le reciti con piena determinazione e quale splendida ricompensa ne riceva dal Signore.
1. Ora che il nostro buon Maestro ha chiesto per noi e ci ha insegnato a chiedere un bene di tale valore che racchiude in sé tutto ciò che noi quaggiù possiamo desiderare, e ci ha elargito una grazia così incomparabile qual è quella di farci suoi fratelli, vediamo cosa vuole che diamo a suo Padre, cosa gli offre in nome nostro e cosa esige da noi, perché è giusto che gli rendiamo qualche servigio in contraccambio di così grandi benefici. Oh, buon Gesù, com’è poco quello che gli offrite da parte nostra, in confronto a quello che chiedete per noi! Eppure, lasciando da parte che è in sé un puro niente di fronte al molto che dobbiamo, e a un così gran sovrano, è certo però che voi, Signore, non ci lasciate più nulla, perché diamo tutto ciò che possiamo, se ci atteniamo a quanto le parole promettono.
2. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Avete fatto bene, o nostro buon Maestro, a rivolgere al Padre la richiesta precedente per metterci in condizione di adempiere quello che gli offrite da parte nostra; altrimenti, mi sembra, ci sarebbe impossibile farlo. Ma, siccome vostro Padre esaudirà la vostra richiesta di darci quaggiù il suo regno, io so che comproveremo la verità della vostra promessa se offrite quel che offrite da parte nostra. Quando la terra della mia anima sarà cambiata in cielo, sarà più facile che si compia in me la vostra volontà. Senza questa trasformazione, però, e per giunta se si tratta di una terra così vile e sterile come la mia, io non so, Signore, come ciò sarebbe possibile. È gran cosa ciò che offrite da parte nostra.
3. Quando penso a questo, rido di certe persone che non osano chiedere sofferenze al Signore, temendo di essere subito esaudite. Non parlo di quelle che tralasciano di farlo per umiltà, non sembrando loro d’essere forti per sopportarle, anche se sono convinta che chi ispira in esse un tale desiderio da testimoniargli il proprio amore con i patimenti, gliene darà anche la forza per sopportarli. Ma vorrei domandare a quelli che non li chiedono nel timore d’essere subito esauditi, cosa intendono dire quando supplicano il Signore di adempiere in essi la sua volontà, ovvero se lo dicano per dire quel che dicono tutti, e non nell’intento di mettere in pratica le loro parole. Questo, sorelle, non sarebbe ben fatto. Considerate che qui il buon Gesù appare nostro ambasciatore, avendo voluto far da intermediario tra noi e suo Padre, e non gli è costato poco: non sarebbe quindi giusto che tralasciassimo di realizzare ciò che egli offre in nostro nome, oppure non dovremmo dirlo.
4. Ora voglio far ricorso a un altro motivo per convincervi. Considerate, figlie mie, che, volenti o nolenti, ciò accadrà, perché la sua volontà deve compiersi così in cielo come in terra; credetemi, ascoltate il mio consiglio e fate di necessità virtù. Oh, mio Signore, che gran favore è stato per me non lasciare alla mercé di una volontà così dappoco come la mia l’adempimento della vostra! Sia glorificato il vostro nome in eterno! Povera me, Signore, se fosse dipeso da me l’adempimento della vostra volontà! Ora io vi do liberamente la mia, anche se non esente da interesse, perché so di certo, e per lunga esperienza, il grande bene che si ricava nel rimettere liberamente la propria volontà nelle vostre mani. Oh, amiche mie, quale gran guadagno! E che gran perdita, se non adempiamo quanto diciamo al Signore nel Pater noster con l’offerta che gli facciamo!
5. Prima di esporvi quello che si guadagna, voglio spiegarvi l’importanza della vostra offerta, affinché non dobbiate addurre il pretesto di un errore dicendo che non l’avevate capito. Che non vi avvenga come ad alcune religiose, le quali non fanno altro se non promettere, e poiché non mantengono le promesse, trovano una scusa nel dire che non avevano capito quello che promettevano. E può anche essere, perché dire di rimettere la propria volontà in quella altrui sembra molto facile, fino a che, alla prova dei fatti, ci si rende conto che è la cosa più difficile da farsi, se si adempie come dev’essere adempiuta, tanto che i superiori, conoscendo la nostra debolezza, non sempre usano con noi il dovuto rigore e a volte trattano allo stesso modo i forti e i deboli. Qui non è così, perché il Signore conosce le possibilità di ognuno e quando vede che un’anima è forte non si trattiene dal compiere in essa la sua volontà.
6. Voglio ora chiarirvi e ricordarvi quale sia la sua volontà. Non abbiate paura che consista nel volervi donare ricchezze, piaceri, onori, né tutti gli altri beni di quaggiù. Vi ama troppo e stima molto ciò che gli offrite, per non volervelo pagare bene, visto che vi dà il suo regno fin da questa vita. Volete sapere come si comporta con quelli che gli fanno una sincera promessa? Chiedetelo al suo Figlio glorioso, che nell’orazione dell’Orto degli ulivi gli rivolse queste stesse parole. Poiché le disse con ferma risoluzione e di tutto cuore, guardate un po’ se ha ben compiuto in lui la sua volontà, con tutti i patimenti, i dolori, le ingiurie e le persecuzioni a cui lo sottopose, per farlo morire, alla fine, crocifisso.
7. Ciò è quanto, figlie mie, il Padre diede a chi amava di più; da qui potete capire quale sia la sua volontà. Ecco, quindi, quali sono i suoi doni in questo mondo. Ce li dà in conformità dell’amore che nutre per noi: a chi ama di più dà tali doni in maggior misura; a chi ama meno, in minor misura, tenendo anche conto del coraggio che vede in ciascuno e dell’amore che ognuno ha per Sua Maestà. Quando lo si ama molto, egli vede che si può patire molto per lui; quando poco, che si può patire poco. Io sono convinta che la misura per riuscire a sopportare una grande o una piccola croce è data dall’amore. Pertanto, sorelle, se avete quest’amore, fate sì che non siano parole di compiacimento quelle che rivolgete a così gran Signore, ma sforzatevi di sopportare quanto vorrà mandarvi Sua Maestà. Dargli la propria volontà in altro modo sarebbe come mostrare a qualcuno una pietra preziosa apprestandosi a dargliela e pregandolo di accettarla, e poi, quando l’altro tende la mano per prenderla, tornare a tenersela ben stretta.
8. Non son questi scherzi da farsi a chi ne ha sofferti troppi per noi; anche se non ci fosse altro motivo, non è giusto che ci prendiamo gioco di lui tante volte, perché non son poche quelle in cui gli rivolgiamo tale offerta nel Pater noster. Diamogli una buona volta questa pietra preziosa che gli offriamo da tanto tempo! È certo che se non è lui il primo a darci il suo dono, è perché noi, anzitutto, dobbiamo dargli la nostra volontà. Per le persone del mondo sarà già molto se sono fermamente decise a mantenere la loro promessa. Voi, figlie mie, dovete dire e fare, servirvi di parole e di opere, come in verità sembra che facciano tutti i religiosi. A volte, però, anche se non solo ci disponiamo a dargli la gioia, ma gliela mettiamo addirittura in mano, poi gliela riprendiamo. All’inizio siamo generosi e poi così avari che sarebbe stato forse meglio se fossimo stati più cauti nel dare.
9. Tutti i consigli che vi ho dato in questo libro hanno lo scopo d’indurvi a consacrarvi totalmente al Creatore, porre la vostra volontà nella sua e distaccarvi dalle creature. Avrete già capito quanto ciò sia importante e non insisto oltre; voglio soltanto dirvi perché il nostro buon Maestro ponga qui le suddette parole, come chi conosce il gran profitto che trarremo dal rendere questo servizio al suo eterno Padre. Infatti, per mezzo di esse, ci disponiamo ad arrivare rapidamente al termine del cammino e a bere l’acqua viva di quella fonte di cui ho parlato. Se, invece, non rimettiamo completamente la nostra volontà in quella del Signore perché operi in tutto quel che ci riguarda conformemente alla sua volontà, non ci lascerà mai bere l’acqua di tale fonte. L’acqua è la contemplazione di cui mi avete pregato di parlarvi.
10. In essa – come già vi ho detto – non facciamo nulla da parte nostra; nessun lavoro, nessuno sforzo; non c’è bisogno di altro (perché tutto il resto è d’impaccio e d’impedimento) se non dire: fiat voluntas tua: si compia, Signore, in me la vostra volontà in tutti i modi e con tutti i mezzi dei quali piacerà a voi, Signor mio, servirvi. Se vorrete che ciò sia mediante sofferenze, datemi la forza necessaria, e che vengano; se mediante persecuzioni, malattie, disonori e indigenze, ecco sono pronta: non volgerò la testa indietro, né sarebbe giusto che vi voltassi le spalle. Poiché vostro Figlio vi consegnò, in nome di tutti, anche la mia volontà, non è giusto che io, da parte mia, manchi a tale impegno. Ma perché lo possa fare, concedetemi la grazia di questo vostro regno, che egli vi ha chiesto per me e disponete di me come di cosa vostra, secondo la vostra volontà.
11. Oh, sorelle mie, che forza racchiude questo dono! Se esso è ispirato dalla determinazione che deve accompagnarlo, non può mancare di attirare l’Onnipotente a essere una cosa sola con la nostra pochezza, trasformarci in lui e operare l’unione del Creatore con la creatura. Guardate un po’ se sarete ben pagate e se avete un buon Maestro, il quale sapendo come deve conquistare il cuore di suo Padre, ci insegna in che modo e con quali mezzi dobbiamo servirlo.
12. E quanto più diventa palese dalle opere che le nostre non sono parole di convenienza, tanto più il Signore ci avvicina a sé ed eleva l’anima su tutte le cose di quaggiù e sopra se stessa per prepararla a ricevere grazie sublimi, giacché non finisce mai di pagare in questa vita tale dono. Lo stima tanto che noi non sappiamo più che cosa chiedergli, e Sua Maestà non si stanca mai di dare. Non contento infatti di aver fatto dell’anima una cosa sola con lui, per averla ormai unita a sé, comincia a compiacersene, a scoprirle segreti, godendo che capisca quanto ha guadagnato e che sappia qualcosa di quanto le ha riservato; infine, le fa perdere a poco a poco i sensi esterni, perché nulla le sia d’impedimento. Questo è il rapimento. E comincia allora a trattarla con tanta amicizia che non solo le restituisce la sua volontà, ma le dà, insieme, la propria, compiacendosi, ora che la tratta con tanta amicizia, di far sì che comandino a turno – come si dice – e di adempiere le sue richieste, come ella adempie ciò ch’egli le comanda di fare; solo ch’egli opera molto meglio perché, essendo onnipotente, può ciò che vuole e non smette mai di volere.
13. Invece l’anima, poveretta, qualunque cosa voglia, non può fare quel che vorrebbe, anzi, non può far nulla senza un dono di Dio. Questa è la sua maggior ricchezza: restare tanto più debitrice quanto più serve, e spesso tormentata dal vedersi soggetta a tanti inconvenienti, ostacoli e legami che comporta lo stare nel carcere di questo nostro corpo, perché vorrebbe pagare almeno qualcosa del suo debito. Ma è molto sciocca a tormentarsi; infatti, se anche facesse tutto quello che dipende da lei, che cosa possiamo pagare noi che – ripeto – non abbiamo nulla da dare se non lo abbiamo ricevuto? Non possiamo fare altro che riconoscerci incapaci e compiere perfettamente quanto possiamo con il dono della nostra volontà. Tutto il resto è d’intralcio per l’anima che il Signore ha elevato a questo stato; così, invece di giovarle, le nuoce, perché solo l’umiltà può essere di qualche vantaggio, non quella che si acquista con l’intelletto, bensì quella che deriva dall’evidenza della verità e fa capire in un momento ciò che in molto tempo non si riusciva a immaginare con faticose riflessioni circa la nullità assoluta del nostro essere e la grandezza di Dio.
14. Voglio darvi un consiglio: non pensate d’arrivare a questo stato in virtù dei vostri sforzi e del vostro zelo; sarebbe inutile: se prima avevate devozione, ora cadreste nella freddezza. Dovete solo, con la semplicità e l’umiltà che ottiene tutto, dire: fiat voluntas tua.

CAPITOLO 33
Indica quanto abbiamo bisogno che il Signore ci dia quello che gli chiediamo con queste parole del Pater noster: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie.
1. Il buon Gesù si rendeva conto, dunque, di quanto fosse difficile quest’offerta fatta al Padre in nostro nome, conoscendo la nostra umana fragilità e sapendo che spesso fingiamo di non conoscere quale sia la volontà del Signore. Di fronte alla nostra debolezza, pietoso com’egli è, capì che occorreva trovare un mezzo per aiutarci, perché non adempiere quanto era stato promesso sarebbe stato contrario al nostro interesse, visto che in ciò sta tutto il nostro profitto. Si rese dunque conto della difficoltà di quest’adempimento. Infatti, se si dice a un ricco gaudente che la volontà di Dio comporta che egli faccia attenzione a moderarsi a tavola, affinché gli altri, che muoiono di fame, possano mangiare almeno il pane, tirerà fuori mille pretesti per non sentir ragioni che non rispondano a quello che gli fa comodo. Se si ricorda a un maldicente che la volontà di Dio comporta l’amare il prossimo come se stessi, non potrà sopportarlo, e nessuna ragione sarà sufficiente a convincerlo. Se poi direte a un religioso, amante della sua libertà e dei suoi comodi, che deve tener presente il suo obbligo di dare buon esempio e che deve badare a che non siano soltanto parole quelle che egli pronuncia, ma ricordarsi che ne ha promesso e giurato l’adempimento, che è volere di Dio che egli osservi i suoi voti, e che, dando scandalo, va decisamente contro di essi, anche se non li violi del tutto, che si è impegnato alla povertà e deve rispettarla senza giri viziosi, che tale è la volontà del Signore, vedrete che non c’è possibilità, ancora oggi, di essere ascoltati, per lo meno da alcuni. Che avrebbero essi fatto, dunque, se il Signore non avesse facilitato la maggior parte dell’impegno con il rimedio che ci ha dato? Non ce ne sarebbero che ben pochi ad adempiere queste parole, che egli rivolse al Padre in nostro nome: Fiat voluntas tua. Il buon Gesù, vista, dunque, la necessità del suo aiuto, ricorse a un mezzo ammirevole con il quale ci mostrò il grandissimo amore che ci portava, rivolgendo al Padre, a nome suo e dei suoi fratelli, questa preghiera: Dacci oggi, Signore, il nostro pane quotidiano. Per amor di Dio, sorelle, intendiamo bene quanto chiede per noi il nostro buon Maestro, perché ne va la vita della nostra anima a prenderlo alla leggera; e non fate gran conto di quel che avete dato al Signore, considerato il molto che dovrete ricevere da lui.
2. Ora, a me sembra, salvo un miglior parere, che il buon Gesù, considerato ciò che aveva promesso in nostro nome, quanto fosse importante per noi adempierlo e la grande difficoltà – come si è detto – di riuscirvi, deboli come siamo, così attaccate alle cose della terra e così poco dotate di amore di coraggio, visto che era necessario farci guardare al suo amore per risvegliarci, e non una volta sola, ma ogni giorno, prese la decisione di restare con noi. E poiché era cosa di assai grande importanza e gravità, volle che venisse dalle mani del suo eterno Padre. Ciò in quanto, pur essendo essi una stessa cosa e sapendo che quanto egli avesse fatto in terra Dio l’avrebbe confermato in cielo e l’avrebbe ritenuto valido, perché entrambi hanno una sola volontà, la sua umiltà era così grande che volle quasi chiedergliene il permesso, sicuro del suo amore e del suo compiacimento. Sapeva bene che in questa supplica gli chiedeva più di tutto quanto gli avesse già chiesto, conoscendo la morte che gli avrebbero dato e i disonori e gli oltraggi che avrebbe patito.
3. Oh, Signore, qual è il padre che dopo averci dato suo figlio, e un tal figlio, così perfetto, potrebbe consentire che restasse ogni giorno fra noi a patire? Certamente nessuno, Signore, fuorché il vostro: voi sapevate bene a chi rivolgevate la vostra preghiera. Oh, mio Dio, che grande amore quello del Figlio e che grande amore quello del Padre! Ancora non mi meraviglio tanto del buon Gesù, perché avendo ormai detto: fiat voluntas tua, doveva adempiere tale volontà da par suo. Egli non è certo come noi! E sapendo che la adempiva amandoci come se stesso, cercava di farlo con maggior perfezione, anche a prezzo del suo sacrificio. Ma voi, eterno Padre, come avete potuto consentirlo? Perché volete ogni giorno vostro Figlio in mani così indegne? Per una volta che l’avete permesso, acconsentendo alla sua richiesta, avete ben visto come lo trattarono. Come può la vostra pietà sopportare di vederlo ogni giorno, immancabilmente, fatto oggetto di offese? E quante credo che oggi se ne facciano a questo santissimo Sacramento! In quante mani nemiche il Padre è costretto a vederlo! Quante irriverenze da parte di questi eretici!
4. Oh, Signore eterno! Come potete accettare tale richiesta? Come potete acconsentirvi? Non badate al suo amore, perché egli, pur di adempiere scrupolosamente la vostra volontà e di operare per il nostro bene, si lascerà fare a pezzi ogni giorno. Spetta a voi prendervene cura, mio Signore, visto che vostro Figlio non conosce ostacoli, in quanto ogni nostro bene dev’essere a sue spese. Perché sopporta tutto in silenzio e non sa parlare per sé, ma solo in nostro favore? Possibile che non ci sia nessuno che prenda le difese di questo Agnello pieno di amore? Mi ha colpito come solo in questa richiesta ripeta le stesse parole, perché anzitutto prega che ci venga dato questo pane ogni giorno e torna poi a dire: Daccelo oggi, Signore, e ripete il nome di suo Padre. Questo è come dirgli che, avendocelo già dato una volta, perché morisse per noi, così che è ormai nostro, non ce lo levi più sino alla fine del mondo, ma ce lo lasci perché ci serva ogni giorno. Tale pensiero, figlie mie, vi riempia il cuore di tenerezza e lo infiammi d’amore per il vostro Sposo. Non c’è schiavo che riconosca volentieri di esserlo, mentre il buon Gesù sembra che ne sia onorato.
5. Oh, eterno Padre! Quanto è grande il merito dell’umiltà! Con quale tesoro abbiamo comprato vostro Figlio? Per venderlo, ben sappiamo che sono bastati trenta denari, ma per comprarlo non c’è prezzo che basti. Qui si fa tutt’uno con noi in quanto è partecipe della nostra natura, ma, in quanto padrone della sua volontà, fa presente a suo Padre che, poiché essa gli appartiene, ce la può dare, e per questo dice: il nostro pane. Non fa differenza tra lui e noi, ma la facciamo noi per il fatto di non donarci a Sua Maestà ogni giorno.

CAPITOLO 34
Prosegue sullo stesso argomento. Capitolo molto utile dopo aver ricevuto la comunione.
1. Sembra, dunque, che nella richiesta di avere il pane «ogni giorno» s’intenda averlo «per sempre». Se mi chiedo perché il Signore, dopo aver detto: «ogni giorno», soggiunse: «daccelo oggi, Signore», con «ogni giorno», credo, abbia voluto significare che lo possediamo qui, sulla terra, e che lo possederemo anche in cielo, se sapremo trarre profitto dalla sua compagnia. Egli infatti non rimane con noi per alcun altro motivo che non sia quello di aiutarci, incoraggiarci e sostenerci affinché si compia in noi questa volontà di cui abbiamo parlato.
2. Con «oggi», mi sembra che abbia voluto indicare «per un giorno», cioè finché durerà il mondo, non più. Ed è proprio un giorno! E lo dice anche per gli sventurati che si dannano, i quali non lo godranno nell’altra vita, e non è per colpa sua se si lasciano vincere, perché egli non cessa di incoraggiarli fino al termine della lotta. Non avranno di che scusarsi, né lamentarsi dell’eterno Padre di aver loro tolto suo Figlio nel momento in cui ne avevano maggiore bisogno. Pertanto il Signore gli dice che, non trattandosi di più di un giorno, glielo lasci passare in schiavitù. Se infatti Sua Maestà ce lo ha dato e lo ha mandato nel mondo solo per sua volontà, egli ora gli chiede, per la propria volontà, di non volerci abbandonare, ma di star qui con noi per maggior gloria dei suoi amici e castigo dei suoi nemici. Egli ripete questa richiesta solo per oggi, perché Sua Maestà – come ho detto – ci aveva già dato per sempre questo pane sacratissimo, questo alimento e questa manna dell’Umanità di Cristo, che possiamo trovare quando vogliamo; e se non è per colpa nostra, non moriremo di fame. Difatti, fra tutti i mezzi di cui l’anima vorrà usufruire per alimentarsi, solo nel santissimo Sacramento troverà piacere e consolazione. Non ci sono privazioni né sofferenze né persecuzioni che non sia facile superare dopo aver preso ad amare quelle del Salvatore.
3. Unitevi, figlie mie, a questo nostro Signore per chiedere al Padre che vi lasci «oggi» il vostro Sposo, e che non dobbiate vedervi senza di lui in questo mondo; che basti a temperare una gioia così grande il fatto di vederlo trasfigurato sotto le apparenze del pane e del vino, il che è un gran tormento per chi non ha altro da amare né altra consolazione. Supplicatelo che almeno non vi manchi mai e vi disponga a riceverlo degnamente.
4. Di altro pane non si devono preoccupare quelle tra voi che si siano abbandonate completamente alla volontà di Dio; voglio dire: non dovete darvene pensiero quando siete in orazione, e attendete a cose ben più importanti, perché ci sono altri momenti per lavorare e guadagnarvi da vivere. Ma non impegnate mai in tale preoccupazione lo spirito, lasciate solo che lavori il corpo, perché è giusto che lavoriate per mantenervi, ma l’anima riposi. Lasciatene la cura – come ampiamente è stato detto – al vostro Sposo, che non mancherà mai di averla.
5. È come quando, entrato un servo in una casa e adoperandosi a contentare in tutto il suo padrone, questi è obbligato a dargli da mangiare finché l’altro starà lì a suo servizio, a meno che sia tanto povero da non avere nulla né per sé né per il domestico. Ma qui non si tratta di questo, perché il padrone è e sarà sempre ricco e potente. Non sarebbe quindi ben fatto che il servo andasse a chiedergli da mangiare, sapendo che il suo padrone ha e avrà sempre cura di darglielo. Ben a ragione gli dirà di occuparsi di servirlo e del miglior modo per contentarlo, perché occupandosi di cose che non gli competono non farà nulla di buono. Pertanto, sorelle, si preoccupi chi vuole di chiedere questo pane; noi chiediamo all’eterno Padre di meritare di ricevere il nostro pane celeste in modo che, non potendo gli occhi del corpo dilettarsi di contemplarlo, nascosto com’è, si riveli a quelli dell’anima e le si dia a conoscere; è questo ben altro nutrimento, fatto di gioie e diletti, e sostenta la vita.
6. Potete forse pensare che questo santissimo cibo non sia un sostentamento anche per il corpo e una medicina perfino per i mali fisici? Io so che lo è, e conosco una persona soggetta a gravi malattie che, soffrendo spesso di atroci dolori, se risentiva togliere come con la mano, rimanendo completamente guarita. Ciò le accadeva assai di frequente, e si trattava di sofferenze così evidenti che, a mio giudizio, non si potevano simulare. Poiché sono assai note le meraviglie che questo santissimo pane opera in coloro che lo ricevono degnamente, non parlerò delle molte che potrei raccontare riguardanti la detta persona; ero in grado di conoscerle e so che non sono menzogne. Ma il Signore le aveva dato una fede così viva che quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo, nostro Bene, era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare.
7. So inoltre di questa persona che per molti anni, anche se non era molto perfetta, quando prendeva la comunione, né più né meno che se avesse visto con gli occhi del corpo entrare il Signore nella dimora della sua anima, si adoperava a ravvivare la fede, per riuscire, credendo veramente che il Signore entrasse nella sua povera dimora, a distaccarsi, come le era possibile, da tutte le cose esteriori, e ad entrarvi con lui. Cercava di raccogliere i suoi sensi per far loro intendere un bene così grande; voglio dire che cercava di evitare che fossero d’impedimento all’anima per conoscerlo. Si considerava ai suoi piedi e piangeva con la Maddalena, né più né meno che se lo avesse visto con gli occhi del corpo in casa del fariseo, e benché allora non sentisse ancora devozione, la fede le diceva ch’era davvero lì.
8. Se infatti non vogliamo essere sciocchi e non vogliamo chiudere volontariamente gli occhi all’intelligenza, non c’è da avere alcun dubbio, perché non si tratta qui di frutto dell’immaginazione come quando consideriamo il Signore sulla croce o in un altro momento della passione. Questo accade ora, ed è assoluta verità e non c’è ragione di andarlo a cercare altrove, più lontano. Sappiamo, infatti, che, finché il calore naturale non abbia consumato gli accidenti del pane, il buon Gesù sta in noi: avviciniamoci, dunque, a lui! E se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a noi, e non ci darà quanto gli chiederemo, trovandosi nella nostra casa? Sua Maestà non ha certo l’abitudine di pagare male l’alloggio, se gli viene data confortevole ospitalità.
9. Se vi affligge non vederlo con gli occhi del corpo, pensate che ciò non è opportuno: è ben altra cosa vederlo glorificato che vederlo com’era nel mondo; a causa della nostra naturale debolezza, non ci sarebbe nessuno capace di sopportarne la vista, né ci sarebbe più il mondo, né chi volesse viverci, perché, contemplando questa eterna verità, risulterebbero burla e menzogna tutte le cose a cui quaggiù diamo importanza. E vedendo una tale Maestà, come oserebbe una povera peccatrice quale, ad esempio, sono io, che l’ha offeso tante volte, stargli così vicino? Sotto la specie di quel pane è accessibile, perché se il re si traveste, sembra che non si debba fare alcun caso di parlare con lui senza tanti riguardi e soggezioni; par quasi obbligato a sottostarvi, essendosi travestito. Altrimenti chi oserebbe avvicinarlo con la freddezza, l’indegnità, le imperfezioni di cui siamo pieni?
10. Oh, com’è vero che non sappiamo quel che gli chiediamo e come egli, nella sua sapienza, ha provveduto meglio a tutto! infatti, quando vede che le anime trarranno profitto dalla sua presenza, egli si manifesta ad esse. E se anche non lo vedono con gli occhi del corpo, egli dispone di molti mezzi per rivelarsi loro, sia mediante grandi sentimenti interiori, sia per altre vie. Statevene dunque con lui di buon animo; non perdete una così bella occasione per trattare dei vostri interessi, quella che si offre dopo la comunione. Se l’obbedienza v’impone, sorelle, di far altro, cercate di lasciar l’anima con il Signore, perché se subito portate il pensiero su cose esterne e non fate caso di lui, né considerate che egli sta dentro di voi, come potrà darvisi a conoscere? Questo è, dunque, un momento buono perché il nostro Maestro possa darci i suoi insegnamenti, perché lo ascoltiamo e gli baciamo i piedi in riconoscenza di quanto ha voluto insegnarci e lo supplichiamo di non andar via da noi.
11. Se doveste fare tali richieste davanti a un’immagine di Cristo, mi sembrerebbe una stoltezza lasciare Cristo in persona per contemplare il ritratto. Non sarebbe forse così se avessimo il ritratto di una persona che amiamo molto e, venendo ella a farci visita, noi lasciassimo di parlare con lei e svolgessimo tutta la nostra conversazione con il suo ritratto? Sapete quando è utile, invece, e quando a me è causa di gioia? Quando il Signore è assente, e ce lo fa capire con le molte aridità che sentiamo; allora, sì, è una grande gioia vedere un’immagine di colui che abbiamo tante ragioni d’amare. Da parte mia, da qualunque parte volgessi gli occhi, vorrei vederlo. In che cosa infatti di meglio e di più dilettevole possiamo impiegare lo sguardo che nella contemplazione di colui che tanto ci ama e che in sé racchiude ogni bene? Infelici gli eretici che, per loro colpa, hanno perduto questa consolazione, insieme a molte altre!
12. Appena dunque avete ricevuto nell’ostia il Signore, poiché vi trovate in presenza della sua persona, cercate di chiudere gli occhi del corpo e di aprire quelli dell’anima: fissateli in fondo al vostro cuore. Vi dico, torno a ripetervi, e vorrei dirvelo molte volte ancora che, se prendete l’abitudine di fare questo ogni volta che ricevete la comunione, e se cercate di avere la coscienza talmente pura da poter godere con frequenza di questo Bene, egli non si presenterà mai così trasfigurato che – come ho detto – non ci sia possibilità di riconoscerlo, in proporzione del desiderio che abbiamo di vederlo. Potrete anche desiderarlo con un ardore tale da spingerlo a manifestarsi completamente.
13. Ma se non ci curiamo di lui e, appena ricevutolo, l’abbandoniamo per correre dietro alle cose della terra, cosa deve fare? Deve forse trascinarci per forza a renderci conto che vuole rivelarsi a noi? No, certo, perché non fu trattato bene quando si fece vedere senza veli da tutti dicendo chiaramente chi era, e ben pochi furono a credergli. Sua Maestà pertanto ci usa una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici. E io vi dico che chiunque non lo sia e non giunga a far tutto quello che può per riceverlo come tale, si risparmi d’importunarlo perché egli si dia a conoscere. Ha appena adempiuto al precetto della Chiesa, che lascia la sua casa e fa in modo di cacciarlo da sé. Costui pertanto, ingolfato negli affari, nelle occupazioni e nelle brighe del mondo, sembra che si dia fretta, il più possibile, a far sì che non gli occupi la casa chi ne è il padrone.

CAPITOLO 35
Conclude l’argomento trattato con un’esclamazione all’eterno Padre.
1. Mi sono assai dilungata su questo argomento, anche se già avevo parlato circa l’orazione di raccoglimento, della grande importanza di ritirarci nel nostro intimo per ritrovarci sole con Dio, essendo cosa assai importante. Anche quando non riceverete la comunione, ascoltando la Messa, potete comunicarvi spiritualmente e raccogliervi poi nel vostro intimo, il che è di grandissimo profitto; così, infatti, s’imprime nel cuore un profondo amore di nostro Signore. Dal momento in cui ci prepariamo a riceverlo egli non cessa mai di farci doni in molti modi che ci sono ignoti. È come avvicinarci al fuoco che, sia pur molto grande, se ne state lontano e nascondete le mani, non riuscirà a riscaldarvi molto, anche se vi darà sempre molto più caldo che non se foste dove esso manca. Ben diverso è volersi accostare al Signore, perché se l’anima è ben disposta – intendo dire se ha il desiderio di togliersi il freddo di dosso – e se resta lì un momento, di calore ne avrà per molte ore.
2. Badate inoltre, sorelle, che se al principio non vi trovaste tanto bene –, cosa probabile, perché il demonio, conoscendo il gran danno che gliene viene, vi darà strette e angosce di cuore, facendovi credere che troverete più devozione in altre pratiche che non in questa –, non abbandonate tale metodo: in esso il Signore metterà a prova l’amore che gli portate. Ricordatevi che vi sono poche anime che l’accompagnano e lo seguono nei patimenti; soffriamo qualcosa per lui ed egli ce lo pagherà. Ricordate anche che vi saranno perfino anime le quali non solo non vogliono stare con lui, ma lo cacciano scortesemente da sé. Dobbiamo dunque soffrire un po’ per dimostrargli il desiderio che abbiamo di vederlo. E poiché egli soffre e soffrirà sempre tutto, pur di trovare una sola anima che lo accolga e lo trattenga in sé con amore, fate che sia la vostra! Se infatti non ve ne fosse alcuna, a buon diritto l’eterno Padre non gli permetterebbe di restare con noi. Ma egli è così amico dei suoi amici e così buon padrone dei suoi servi che, vedendo il desiderio del suo Figlio divino, non lo distoglierà mai da un’opera così divina, nella quale dimostra con tanta perfezione l’amore che nutre per suo Padre.
3. Allora, Padre santo che siete nei cieli, poiché lo volete e l’accettate, essendo chiaro che non potete rifiutarvi di concedere un favore di così gran profitto per noi, ci dev’essere qualcuno – come ho detto all’inizio – che prende le difese di vostro Figlio, perché egli non le ha mai prese in suo favore. Ebbene, prendiamole noi, figlie mie, anche se è una temerità, essendo quelle che siamo, ma fiduciose che è il Signore a imporci di chiedere. Obbedienti al suo comando, in nome del buon Gesù, supplichiamo Sua Maestà che, non avendo suo Figlio tralasciato di far nulla per dare a noi, poveri peccatori, un così gran beneficio come questo, la sua pietà non voglia permettere che sia oltraggiato , ponendovi rimedio. E poiché il suo santo Figlio ce ne ha fornito uno così incomparabile che ci permette di offrirgli lui stesso in sacrificio di continuo, valga tale dono prezioso ad arrestare il corso di tanti gravi mali ed irriverenze come son quelli che si commettono nei luoghi ove stava questo santissimo Sacramento e dove i luterani hanno distrutto le chiese, cacciati tanti sacerdoti e soppressi i sacramenti.
4. Che è mai questo, mio Signore e mio Dio! O date fine al mondo o ponete rimedio a tanti terribili mali! Non c’è cuore, infatti, che lo sopporti, neanche i nostri, pur essendo noi tanto miserabili. Vi supplico, eterno Padre, di non sopportarlo voi oltre; arrestate questo fuoco, Signore, voi che, volendolo, lo potete. Considerate che vostro Figlio è ancora nel mondo; per rispetto a lui cessino tante cattiverie, orrori e sozzure: la sua bellezza e la sua purezza non meritano ch’egli stia dove si annidano simili cose. Non fatelo per noi, Signore, che non lo meritiamo; fatelo per vostro Figlio. Quanto a supplicarvi che egli non resti quaggiù, non osiamo chiedervelo: che ne sarebbe di noi? Se infatti c’è qualcosa con cui potervi placare è l’aver fra noi tale pegno. Ma ci dev’essere, mio Signore, qualche rimedio a tutto questo. Vostra Maestà vi faccia ricorso.
5. Oh, mio Dio! Potessi io importunarvi insistentemente e avervi reso molti servigi per chiedervi la grazia in ricompensa di essi, visto che non ne lasciate alcuno senza retribuzione. Ma non l’ho fatto, Signore, anzi forse proprio io ho provocato la vostra collera a causa dei miei peccati, da attirare tanti mali. Allora, che altro posso fare se non presentarvi questo Pane sacratissimo e, anche se ce l’avete dato, tornare a darvelo e supplicarvi, per i meriti di vostro Figlio, che mi facciate questa grazia ch’egli ha meritato in tanti modi? Oh, sì, Signore, fate che questo mare si calmi, che non proceda sempre in così gran tempesta la nave della Chiesa, e salvateci, Signore, perché siamo sul punto di perire.

CAPITOLO 36
Tratta di queste parole del Pater noster: Dimitte nobis debita nostra.
1. Il nostro buon Maestro vedendo, dunque, che con questo nutrimento celeste tutto ci è facile, purché non siamo noi a mancare, e che possiamo adempiere assai bene ciò che abbiamo detto al Padre circa il compimento in noi della sua volontà, lo prega ora di perdonarci i nostri debiti, perché noi perdoniamo a nostra volta. Pertanto, proseguendo nell’orazione che ci insegna, dice queste parole: Perdonaci, Signore, i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori.
2. Consideriamo, sorelle, che non dice: «come perdoneremo», ma «come perdoniamo», per farci capire che chi chiede un dono così grande come il precedente e chi ha ormai rimesso la sua volontà in quella di Dio, debba aver già fatto questo. Chi avrà, pertanto, detto di tutto cuore al Signore: Fiat voluntas tua, deve aver già perdonato tutto, o almeno deve esserselo proposto. Considerate quindi, sorelle, perché i santi godevano di patire offese e persecuzioni: per aver qualcosa da offrire al Signore quando lo pregavano. Ma che farà mai una misera creatura come me, che ha avuto così poco da perdonare e alla quale c’è tanto da perdonare? Questa è una verità, sorelle, su cui dobbiamo molto riflettere. Una grazia così grande e tanto importante, come il perdono da parte di nostro Signore dei nostri peccati meritevoli del fuoco eterno, ci è concessa in cambio di una cosa di così poco prezzo com’è quella di perdonare anche noi. E io ho tanto poco da perdonare che voi, Signore, dovete perdonarmi gratuitamente! Questa è una bella occasione per l’attuazione della vostra misericordia. Siate benedetto perché mi sopportate, misera qual sono, accogliendo la preghiera che vostro Figlio fa in nome di tutti, ma in cui io non dovrei esser compresa per il fatto d’esser così povera e priva di risorse.
3. Ma, mio Signore, non ci saranno altre persone che mi rassomiglino e non abbiano inteso, come me, questa verità? Se ci sono, io le prego, in vostro nome, di pensarci e di non dare importanza a certe piccolezze che si chiamano offese: far caso a questi punti d’onore è come quando i bambini vogliono costruire casette con le pagliuzze. Oh, mio Dio, sorelle, se riuscissimo a capire che cos’è il vero onore e in cosa consiste il non perderlo! Con questo io non mi riferisco a voi, che commettereste un gran male se ancora non lo sapeste, ma parlo di me nel tempo in cui facevo caso dell’onore, senza sapere che cosa fosse. Seguivo l’opinione comune. Oh, di quante cose mi sentivo offesa, al punto da vergognarmene oggi! E pensare che non ero di quelle che badavano particolarmente a questi punti d’onore, ma non andavo al nocciolo della questione, perché non consideravo né davo importanza all’onore in cui è implicito un profitto, cioè quello che è utile all’anima. Come ha detto bene colui che ha affermato che onore e profitto non possono stare insieme! Io non so se lo ha detto a questo proposito, ma è esattamente così, perché il profitto dell’anima e quello che il mondo chiama onore non possono mai andare d’accordo. È spaventoso vedere come il mondo vada alla rovescia. Sia benedetto il Signore, per averci tirato fuori da esso!
4. Ma state attente, sorelle, che il demonio non si dimentica di noi; inventa punti d’onore anche nei monasteri e ne stabilisce le leggi, in base alle quali si sale o si scende di dignità, come nel mondo. I dotti devono regolarsi secondo il grado del loro sapere – benché io non sappia nulla di ciò – e, per esempio, colui che è giunto ad essere un professore di teologia non deve abbassarsi a insegnare filosofia, perché il punto d’onore vuole che si salga e non che si scenda. Se anche glielo imponesse l’obbedienza, la prenderebbe come un’offesa e troverebbe chi condivide il suo parere, ritenendolo un affronto. Il demonio, intanto, trova motivi in base ai quali sembra che abbia ragione anche secondo la legge di Dio. Fra noi monache, poi, quella che è stata priora, non è più utile per un altro ufficio inferiore; quella che è più anziana esige segni di rispetto, e di questo non ci dimentichiamo mai, anzi ci facciamo un merito dell’averlo presente, perché l’Ordine ce lo impone.
5. C’è proprio da ridere o forse, meglio, da piangere! Come se la Regola c’imponesse di non avere umiltà! Esige che vi sia un ordine, ma io non debbo essere così esigente dei riguardi dovutimi da preoccuparmi tanto di questo punto della Regola, come di altri, che forse potrò osservare in modo imperfetto. Tutta la nostra perfezione non sta nel rispettare la Regola solo a questo riguardo. Altre ci baderanno per me, se io la trascuro. Il fatto è che, essendo inclini a salire – anche se per questa strada non saliremo al cielo – non accettiamo di scendere. Oh, Signore, Signore! Non siete voi il nostro modello e il nostro Maestro? Sicuramente sì. Ebbene, in cosa avete posto il vostro onore, voi che siete il datore dell’onore nostro? Forse che l’avete perduto, umiliandovi fino alla morte? No, Signore, non l’avete perduto, ma l’avete guadagnato per tutti.
6. Oh, per amor di Dio, sorelle, guardiamoci dal perdere la strada perché si sbaglia fin dal principio! E piaccia a Dio che non si perda nessun’anima per osservare questi miserabili punti d’onore, senza comprendere in cosa consista il vero onore! Per giunta, arriveremo a pensare di aver fatto molto perdonando una miseria di tal genere, che non era offesa, né ingiuria, né niente, e come se avessimo fatto qualcosa, andremo a chiedere perdono al Signore perché abbiamo perdonato. Fateci capire, Dio mio, che non comprendiamo nulla, che ci presentiamo davanti a voi con le mani vuote e perdonateci per la vostra misericordia. In verità, Signore, non vedo, infatti, nulla (poiché tutte le cose hanno una fine quaggiù, mentre il castigo è eterno) che meriti di esservi presentato allo scopo di ottenere da voi una grazia così grande, se non è per colui che ve la chiede.
7. Ma quanto dev’essere stimato questo reciproco amore dal Signore! Il buon Gesù, infatti, avrebbe potuto presentargli altre ragioni e dire: «Perdonateci, Signore, poiché facciamo molta penitenza», o «perché preghiamo molto e digiuniamo», o «perché abbiamo abbandonato tutto per voi e vi amiamo moltissimo» e non ha neanche detto «perché siamo disposti a perdere la vita per voi», né – ripeto – altre cose che avrebbe potuto dire, ma solamente «perché noi perdoniamo». Forse, conoscendoci talmente attaccati a questo falso punto d’onore che ci resta assai difficile giungere noi a liberarcene e sapendo che a suo Padre è particolarmente gradito il sacrificio, dice e offre questo da parte nostra.
8. Considerate inoltre bene, sorelle, l’espressione «come noi perdoniamo»: cioè ne parla – ripeto – come di cosa già fatta. E fate molta attenzione a ciò: se dalla grazia che Dio concede all’anima nell’orazione che ho chiamato di contemplazione perfetta, essa non trae la ferma determinazione – e non sia pronta, all’occorrenza, a mantenerla – di perdonare qualunque offesa, per grave che sia, e non queste sciocchezze a cui si dà il nome di offese, non confidi molto nella propria orazione, perché l’anima che Dio avvicina a sé in così elevata orazione non dà importanza all’essere stimata o no. Non mi sono espressa bene: c’è, sì, qualcosa che le sta a cuore: le dà molto maggior pena l’onore del disonore, e una gran gioia goduta in tutto riposo la fa soffrire più delle pene. Quando infatti Dio le dato davvero qui il suo regno, essa non vuole più altro riposo in questo mondo: si rende conto che per regnare in modo più alto è questo il vero cammino, avendo visto per esperienza il gran profitto che trae e i progressi che compie nel soffrire per Dio, perché è raro che Sua Maestà giunga a concedere tali grandi favori se non si tratta di persone che hanno sopportato di buon animo molte sofferenze per amor suo. Infatti, come ho già detto in altro luogo di questo libro, sono grandi le tribolazioni dei contemplativi e il Signore non le manda se non ad anime sperimentate.
9. Potete dunque capire, sorelle, che tali anime, comprendendo il nulla di tutte le cose terrene, non indugiano molto su ciò che passa. Se, in un primo momento, una grave ingiuria o una dura prova le fa soffrire, non se ne rendono ancora ben conto. Subito sopravviene la ragione e sembra che innalzi la bandiera della vittoria quasi annullando del tutto quella pena, per la gioia che esse hanno di vedere come il Signore abbia fornito loro il mezzo con cui guadagnare in un giorno, di fronte a Sua Maestà, più grazie e favori eterni di quel che forse non avrebbero guadagnato in dieci anni di tribolazioni di loro scelta. Questo è assai frequente, per quel che ne so io che ho trattato con molti contemplativi, e sono sicura che succede proprio così. Come altri apprezzano l’oro e i gioielli, esse apprezzano le sofferenze e le desiderano, perché sanno che le faranno ricche.
10. Queste persone sono molto lontane dal tenersi in alcuna stima: hanno piacere che i loro peccati siano conosciuti e godono nel rivelarli quando si accorgono di essere stimate. Lo stesso accade loro per quanto riguarda la propria stirpe, poiché ormai sanno che nel regno eterno non guadagneranno nulla in considerazione di essa. Se godono d’essere di una stirpe illustre è quando ciò sia necessario per servire meglio Dio; altrimenti soffrono di essere stimate al di là dei loro meriti e non solo si adoperano a disingannare gli altri senza provarne alcuna pena, ma con gioia. È certo che le anime alle quali il Signore concede questa umiltà e un grande amore di Dio sono ormai così dimentiche di sé, quando si tratta di servirlo meglio, che non possono neanche credere che altre siano sensibili a certe cose né che le considerino ingiuria.
11. Questi effetti di cui ho parlato or ora sono propri di persone già pervenute a un alto grado di perfezione, e alle quali il Signore molto di frequente concede la grazia di avvicinarle a sé mediante la contemplazione perfetta. Ma i primi effetti, che consistono nell’essere decisi a patire ingiurie e sopportarle anche a costo della pena che se ne provi, ripeto che si hanno assai presto, quando si riceve dal Signore la grazia dell’orazione fino a giungere all’unione. Se l’anima non consegue questi effetti e non esce dall’orazione fermamente decisa a soffrire, deve ritenere che essa non le veniva da Dio, ma che si trattava di qualche illusione e attrattiva del demonio per farle credere di essere privilegiata d’un particolare onore.
12. Può darsi che, all’inizio, quando il Signore concede queste grazie, l’anima non abbia subito molta forza, ma sostengo che se continua a riceverne, in breve tempo l’acquisterà. E se non l’ha nei riguardi di altre virtù, l’avrà certamente nei confronti del perdono. Io non posso credere che un’anima pervenuta così vicino alla stessa misericordia, con l’aiuto della quale riconosce quello che è e quanto Dio le ha perdonato, tralasci di perdonare subito con la più grande facilità e non resti rasserenata dall’essere in buon accordo con chi l’ha offesa. Siccome ha presenti le grazie e i favori ricevuti, nei quali ha visto le testimonianze del grande amore di Dio, gioisce di avere anch’essa qualcosa per testimoniare l’amore che nutre per il Signore.
13. Ripeto, conosco molte persone che Dio ha favorito di grazie soprannaturali, accordando loro questa orazione o contemplazione di cui ho parlato. Anche se le vedo con molti difetti e imperfezioni, pure non ne ho visto né credo che ve ne sarà nessuna che lasci a desiderare su questo punto, purché le grazie vengano da Dio, come ho detto. Colui che ne riceverà di più grandi consideri se tali effetti vadano in lui aumentando, e se non ne scorgesse in sé alcuno, avrà molto di che temere ed essere certo che i favori non vengono da Dio, il quale – ripeto – arricchisce sempre l’anima alla quale si unisce. Questo è fuor di dubbio, perché anche se la grazia e il favore passano presto, se ne ha la consapevolezza a poco a poco, dal profitto che ne viene all’anima. E siccome il buon Gesù lo sa bene, con piena determinazione dice al suo divin Padre che perdoniamo ai nostri debitori.

CAPITOLO 37
Parla dell’eccellenza della preghiera del Pater noster e dei vari modi di trovare in essa consolazione.
1. C’è da lodare molto il Signore per la sublime perfezione di questa preghiera evangelica, che reca l’impronta di un così buon Maestro; pertanto, ognuna di noi, figlie mie, può servirsene a seconda delle sue necessità. Io sono meravigliata nel vedere che in così poche parole sono racchiuse tutta la contemplazione e tutta la perfezione, al punto che sembra non ci sia bisogno di studiare altro libro all’infuori di questo. Il Signore, infatti, fin qui ci ha insegnato tutti i gradi di orazione e di alta contemplazione, dalla preghiera dei principianti all’orazione mentale, a quella di quiete e di unione. Se fossi capace di esporre tutto questo, potrei comporre un gran libro di orazione, basandomi su così saldo fondamento. Ora egli già comincia a farci comprendere gli effetti che lasciano queste grazie, quando sono sue, come avete visto.
2. A volte, mi sono chiesta perché Sua Maestà non si sia spiegato più chiaramente circa cose tanto elevate e oscure, in modo che ogni persona le capisse. Mi è sembrato che, siccome quest’orazione era destinata a tutti in generale, il suo intento, nel lasciarla un po’ confusa, è stato che ciascuno potesse pregare secondi i suoi bisogni particolari e trovare nella preghiera motivo di consolazione, persuaso di interpretarla bene. Così, i contemplativi, che non hanno più desiderio di beni terreni, e le anime che si sono date profondamente a Dio chiedono quei favori celesti che per la bontà divina possono esser dati in questo mondo. Coloro invece che vivono ancora legati ad esso, e devono viverci in conformità del loro stato, chiedono anch’essi il loro pane, destinato al sostentamento proprio e delle proprie famiglie, richiesta ben giusta e santa, come quella di altre cose, in base alle loro necessità.
3. Ma state attente che queste due promesse, l’una del consegnare la nostra volontà nelle sue mani, l’altra del perdonare le offese, riguardano tutti. È vero che in ciò si può fare di più o di meno – come ho detto – : quelli che sono perfetti consegneranno la loro volontà in modo perfetto e perdoneranno con la perfezione di cui si è parlato; noi, sorelle, faremo quello che potremo: il Signore riceve tutto, perché sembra che il nostro Maestro abbia stabilito con suo Padre una specie di accordo in nostro nome, come chi dice: Voi fate questo, Signore, e i mie i fratelli faranno quest’altro. E si può essere certi che, da parte sua, non mancherà mai. Oh, egli è un ottimo retributore e paga sempre senza misura!
4. Ci potrà anche accadere un giorno di recitare questa preghiera in modo tale ch’egli, vedendo l’assenza in noi di infingimenti e il fermo proposito di fare quanto diciamo, ci arricchirà dei suoi doni. Egli ama molto che trattiamo con lui sinceramente, con semplicità e con chiarezza, senza dire una cosa con le labbra e averne un’altra in cuore, e quando lo facciamo, ci concede sempre più di quel che gli chiediamo. Il nostro buon Maestro conosceva tutto questo e sapeva che chi fosse arrivato davvero alla perfezione nel chiedere, sarebbe giunto a un grado molto elevato per le grazie che avrebbe ricevuto dal Padre. Egli sapeva che coloro che sono già perfetti, o che si avviano ad esserlo, non hanno alcuna paura, né devono averla, visto che, come si dice, tengono sotto i piedi il mondo. Il Signore del mondo è contento di loro, potendo, essi, invero, nutrire grande speranza che lo sia Sua Maestà per gli effetti da lui operati nelle loro anime. Sapeva infine che, assorti in quelle grazie, non avrebbero voluto più ricordare che c’è un altro mondo né che ci sono possibili nemici.
5. Oh, Sapienza eterna! Oh, buon Maestro! E che gran cosa è, figlie mie, un maestro saggio e prudente che previene i pericoli! E questo è il più grande bene che un’anima spirituale possa desiderare quaggiù: camminare con sicurezza. Non saprei trovare parole adeguate per esprimere l’importanza di tale grazia. Il Signore, vedendo infatti la necessità di svegliare queste anime, ricorda loro che hanno nemici. E sapendo quanto più pericoloso sarebbe per esse procedere distrattamente, perché hanno molto più bisogno dell’eterno Padre, cadendo più dall’alto, per impedire che, senza rendersene conto, restino ingannate, gli rivolge queste richieste così necessarie a tutti noi finché viviamo in quest’esilio: E non c’indurre, Signore, in tentazione, ma liberaci dal male.




CAPITOLO 38
Tratta della grande necessità in cui siamo di supplicare l’eterno Padre perché ci conceda ciò che chiediamo con queste parole: Et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo, e spiega alcune tentazioni. È un capitolo degno di nota.
1. Qui abbiamo, sorelle, grandi cose da meditare e da comprendere, poiché ci disponiamo a chiederle a Dio. Considerate, anzitutto, che io ritengo assolutamente certo che coloro i quali arrivano alla perfezione non chiedono a Dio di liberarli dai pericoli né dalle tentazioni né dalle persecuzioni né dalle lotte; è questo un altro indizio ben grande ed evidente che la contemplazione e le grazie ad essi concesse da Sua Maestà provengono dallo spirito del Signore e non sono frutto di illusione. Anzi, come ho detto poco fa, desiderano – piuttosto che temere – tali prove e le amano. Somigliano ai soldati che son più contenti quando hanno più occasioni di combattere, nella speranza di uscirne con maggior guadagno. Se infatti tali occasioni mancano, militando col soldo ordinario, vedono che non possono arricchirsi molto.
2. Credetemi, sorelle, che i soldati di Cristo, cioè quelli che sono elevati alla contemplazione e che praticano l’orazione, non vedono l’ora di combattere, né mai temono molto i nemici dichiarati; ormai li conoscono, sanno che, contro la forza che Dio pone in loro, sono impotenti, e che essi usciranno dalla lotta sempre vincitori e con gran bottino; pertanto, non volgono mai loro le spalle. I nemici che temono, ed è giusto che li temano, pregando Dio di esserne liberati, sono certi nemici traditori, cioè quei demoni che assumono l’aspetto di angeli di luce: si presentano sotto altra veste. Fin tanto che non abbiano fatto molto danno all’anima, non si lasciano conoscere, ma ci succhiano a poco a poco il sangue e ci distruggono le virtù, così da farci piombare nella tentazione senza che ce ne rendiamo conto. Da tali nemici, figlie mie, quando recitiamo il Pater noster, preghiamo e supplichiamo incessantemente il Signore di liberarci e di non permettere che, vittime di qualche inganno, cadiamo in tentazione ma di far sì che si scopra dove sta il veleno e non si nasconda ai nostri occhi la luce della verità. Oh, come ben a ragione il nostro Maestro c’insegna a chiedere questo, rivolgendosi al Padre in nostro nome!
3. Considerate, figlie mie, che i nostri nemici possono nuocerci in molti modi; non pensate che il danno sia solo quello di farci credere che le gioie e le grazie simulate in noi vengono da Dio, giacché questo mi sembra, in parte, il minor danno che essi possono arrecare. Anzi, può darsi che serva a farci camminare più in fretta perché, attirate dal quel diletto, restiamo più ore in orazione e, ignorando che è opera del demonio e vedendoci indegne di quei favori, non finiremo di render grazie a Dio. Così ci sentiremo più obbligate a servirlo e ci sforzeremo di raggiungere la disposizione adatta perché ci faccia altri doni nella convinzione che vengono da lui.
4. Procurate, sorelle, di esser sempre umili, di considerare che non siete degne di tali favori e di non cercarli. Se farete così, sono convinta che sarà un mezzo efficace perché il demonio si vede sfuggire molte anime che egli pensava si perdessero, e perché il Signore, dal male che il maligno voleva farci, tiri fuori il nostro bene. Egli, infatti, vede la nostra intenzione che è quella di contentarlo e di servirlo, stando con lui in orazione, e – come vi ho detto – il Signore è fedele. Dobbiamo, tuttavia, badare che non ci sia incrinatura nell’umiltà e che non si abbia a generare in noi alcuna vanagloria. Se supplicherete il Signore di liberarvi da ciò, non temete, figlie mie, che Sua Maestà non permetterà mai di ricevere altri doni se non da lui.
5. Dove il demonio può nuocere molto, senza che ce ne rendiamo conto, è facendoci credere che abbiamo delle virtù inesistenti, mentre di fatto ne siamo prive, il che è una vera peste. Infatti, se solitamente per le grazie e i favori di cui siamo oggetto ci par solo di ricevere e di restare pertanto più obbligati a servire, qui, invece ci sembra di dare e di servire e che il Signore sia quindi obbligato a pagarci. Così, a poco a poco, il demonio ci fa molto danno: da una parte indebolisce l’umiltà, dall’altra ci fa trascurare di acquistare quella virtù che crediamo di aver già acquisito. Allora, che rimedio abbiamo, sorelle? Quello che a me sembra il migliore è l’insegnamento del nostro Maestro: pregare e supplicare l’eterno Padre di non permettere che cadiamo in tentazione.
6. Ma voglio anche dirvene qualche altro. Se ci sembra che il Signore ci abbia già concesso una virtù, dobbiamo considerarla come un bene da lui ricevuto che egli può ritoglierci, come, in verità, spesso accade non senza che sia gran provvidenza di Dio. Non lo avete mai riscontrato in voi stesse, sorelle? Io, invece, sì: a volte mi sembra d’essere molto distaccata da tutto e, in verità, alla prova dei fatti lo sono; altre volte mi sento così attaccata anche a cose di cui forse il giorno prima avevo riso, che quasi non mi riconosco. A volte mi sembra di aver tanto coraggio da non volgere le spalle a nulla per servire Dio: cosa che in certe occasioni avevo anche provato con i fatti. Il giorno dopo sono così debole che non potrei trovare la forza neanche di uccidere una formica per amore di Dio, se dovessi incontrare in ciò la minima difficoltà. Parimenti, a volte mi sembra che non m’importi nulla di qualunque cosa possano mormorare o dire contro di me, e dimostro in varie occasioni che è così, anzi, ne ho perfino piacere. Ma poi arriva il giorno in cui anche una sola parola mi procura afflizione e vorrei morire, perché tutto in esso mi pesa. E non sono la sola soggetta a tali cambiamenti, perché l’ho notato in molte persone migliori di me, e so che questo può avvenire.
7. Stando così le cose, chi potrà dire di sé che ha virtù o è ricca, quando nel momento in cui sia necessaria la virtù si trova priva di essa? No, sorelle! Pensiamo sempre di essere povere, e non indebitiamoci senza avere di che pagare, perché il nostro tesoro ci deve venire da tutt’altra parte, e non sappiamo fino a quando il Signore vorrà lasciarci nella prigione della nostra miseria senza darci nulla; allora le persone che, ritenendoci virtuose, ci hanno dato tributo di stima e d’onore – che è il prestito di cui ho parlato – resteranno derise insieme con noi. È vero che se noi serviamo il Signore con umiltà, alla fine egli ci aiuterà in tutti i nostri bisogni, ma qualora in noi tale virtù non sia ben radicata, ci lascerà cadere – come si dice – ad ogni passo. Questa è una delle sue grazie più grandi, degna di molta stima, perché motivo per acquistare umiltà e intendere bene che noi non possediamo nulla che non ci venga da lui.
8. E ora state attente a un altro consiglio: il demonio ci fa credere di avere una virtù, per esempio quella della pazienza, perché prendiamo la risoluzione di soffrire per Dio, dandogliene con le nostre azioni continue testimonianze, e ci sembra di essere veramente pronte, di fatto, a patire. Ci sentiamo pertanto assai contente, perché il demonio fa sì che ne siamo convinte. Io vi avverto di non far caso di simili virtù e di non credere di conoscerle se non di nome, né che ve le abbia date il Signore, senza riscontrarlo alla prova dei fatti. Può accadere, in realtà, che di fronte a una parola detta da altri, che vi faccia dispiacere, la pazienza se ne vada in fumo. Quando avrete molto sofferto, allora lodate Dio che comincia a insegnarvi questa virtù e sforzatevi di patire sino in fondo, perché è segno che egli vuole che lo paghiate con la sofferenza: la pazienza che vi dà ne è una prova, ma consideratela solo un deposito, che vi può essere tolto, come già si è detto.
9. Un’altra tentazione è quella di crederci molto povere di spirito: abbiamo l’abitudine di dire che non vogliamo nulla, che non c’importa nulla di nulla, ma non appena ci si offre l’occasione di ricevere qualcosa – anche se non è necessaria – tutta la nostra povertà se ne va all’aria. Contribuisce molto a farci credere di possederla l’aver preso l’abitudine di dirlo. È molto utile, a questo proposito, essere sempre vigili per accorgersi della tentazione, sia nei riguardi delle virtù di cui ho parlato, sia nei riguardi di molte altre perché, quando il Signore ci dona davvero una di queste solide virtù, sembra che essa si trascini dietro tutte le altre: è un fatto assai noto. Ma torno ad avvertirvi che, anche se vi sembra d’averla, dovete temere d’ingannarvi, perché chi è veramente umile dubita sempre delle proprie virtù, e molto spesso gli appaiono più sicure e di maggior pregio quelle che vede nel suo prossimo.

CAPITOLO 39
Prosegue sul medesimo argomento; dà consigli su tentazioni di vario genere e indica due mezzi per potersene liberare.
1. Guardatevi inoltre, figlie mie, da certe umiltà ispirate dal demonio che destano grande inquietudine per la gravità dei nostri peccati. Egli suole opprimere con esse in vari modi, fino ad allontanare le anime dalla comunione e dal praticare l’orazione per conto proprio (non essendone degne, suggerisce loro il demonio). Pertanto, quando si apprestano a ricevere il santissimo Sacramento, il tempo in cui avrebbero dovuto giovarsi delle grazie se ne va nell’indagare se si sono preparate bene o no alla comunione. Lo scrupolo giunge a tali estremi che fa pensare all’anima di essere, a causa della sua indegnità, così abbandonata da Dio da mettere quasi in dubbio la sua misericordia. Tutto quello di cui si occupa le sembra un pericolo, come le sembra senza alcun frutto tutto ciò che compie per servire il Signore, per apprezzabile che sia. Le viene uno scoraggiamento da farle cadere le braccia, sentendosi impotente per qualunque opera buona, perché quel che è un bene in altri, le appare un male in se stessa.
2. State ora molto attente, figlie mie, a quello che vi dirò. Può infatti talvolta essere umiltà e virtù il ritenervi tanto misere, e altre volte una grave tentazione. Siccome io ci sono passata, la conosco. L’umiltà non inquieta né turba né agita l’anima, per quanto grande essa sia, ma è accompagnata da pace, gioia e serenità. Anche se, vedendo la propria miseria, l’anima intende chiaramente che merita di stare nell’inferno, se ne affligge, le sembra che a buon diritto tutti dovrebbero detestarla e non osa quasi invocare misericordia. Ma se è vera umiltà, questa pena è accompagnata da una dolcezza intima e da una gioia tale che non vorremmo vederci privi di essa. Non agita né opprime l’anima, anzi la dilata e la rende capace di servire meglio Dio. L’umiltà proveniente dal demonio, invece, turba, agita, sconvolge tutta l’anima ed è causa di molta amarezza. Credo che il demonio voglia farci credere di possedere l’umiltà per farci in cambio perdere, potendolo, la fiducia in Dio.
3. Quando vi troverete in questo stato, fate il possibile per distogliere il pensiero dalla vostra miseria e riponetelo nella misericordia di Dio, nel suo grande amore e in ciò che ha sofferto per noi. Se è tentazione, non potrete farlo, perché il demonio non lascerà riposare il vostro pensiero, né applicarlo se non a cose che vi daranno maggior tormento; sarà già molto se riconoscerete che si tratta d’una tentazione. Così è delle penitenze eccessive, di cui il demonio si serve per farci credere che siamo più penitenti di altre e che facciamo qualcosa di meritorio. Se vi applicherete ad esse all’insaputa del confessore o della priora o se, essendovi stato ordinato di non farle, non le abbandonerete, è un’evidente tentazione. Cercate – anche se debba procurarvi maggior pena – di ubbidire, perché in ciò vi è maggiore perfezione.
4. Un’altra tentazione assai pericolosa consiste in una certa sicurezza nel credere che in nessun modo potremo tornare agli stessi errori passati e ai piaceri del mondo e dire: «Ormai l’ho capito e so che tutto finisce e mi danno più piacere le cose di Dio». Questa tentazione, se si verifica al principio, è molto dannosa, perché con tale sicurezza non c’importa nulla esporci di nuovo a occasioni, ci cadiamo in pieno, e piaccia a Dio che la ricaduta non sia molto peggiore della caduta! Infatti il demonio, se vede che l’anima può nuocergli e giovare alle altre, mette in opera tutte le sue risorse perché non si rialzi. Così, per quante gioie e pegni d’amore il Signore vi dia, non sentitevi mai tanto sicure da non aver più paura di poter tornare a cadere e da non fuggirne le occasioni.
5. Procurate sempre di parlare di queste grazie e di queste gioie a chi vi può illuminare, senza nascondere nulla, e abbiate l’avvertenza, per quanto elevata sia la contemplazione, di cominciare e finire l’orazione con la conoscenza di voi stesse. E se l’orazione viene da Dio, vostro malgrado e senza bisogno di tale avviso, lo farete anche più volte perché, in questo caso, essa porta con sé l’umiltà e ci lascia sempre più aperte a capire il poco che noi siamo. Non voglio indugiarmi oltre, perché troverete molti libri su questi consigli. Se ne ho parlato, è perché ci sono passata anch’io e molte volte mi sono vista in difficoltà. Ma tutto quanto si può dire non serve a dare una completa sicurezza.
6. Allora, eterno Padre, che cosa dobbiamo fare se non ricorrere a voi e supplicarvi perché i nostri nemici non c’inducano in tentazione? Gli attacchi aperti vengano pure, perché con il vostro aiuto potremo liberarcene più facilmente, ma tali insidie chi potrà scoprirle, mio Dio? Abbiamo sempre bisogno d’invocare il vostro aiuto. Diteci, Signore, qualche parola che possa illuminarci e rassicurarci. Sapete bene che i più non seguono questo cammino e, se si deve percorrerlo con tante paure, saranno ancora meno quelli disposti ad intraprenderlo.
7. È una cosa strana, quasi che il demonio non tentasse anche coloro che non seguono il cammino dell’orazione, che tutti si meraviglino maggiormente nel vedere in inganno una sola anima di quelle che sono pervenute a un certo grado di perfezione, che non di centomila irretite pubblicamente in inganni e in peccati, e circa le quali non c’è da investigare se quel che fanno è buono o cattivo, perché si vede, mille miglia lontano, che sono in potere di Satana. In verità, il mondo ha ragione, essendo talmente pochi quelli che il demonio riesce ad ingannare fra coloro che recitano il Pater noster, nel modo in cui abbiamo detto, che il fatto desta meraviglia come cosa nuova e insolita. È infatti proprio di noi mortali passar sopra a ciò che si vede di continuo e meravigliarci molto di ciò che avviene raramente o quasi mai. E sono gli stessi demoni a suscitare tale meraviglia, indotti dal loro interesse, perché perdono molte anime, per una che pervenga alla perfezione.

CAPITOLO 40
Spiega come, cercando sempre di procedere nell’amore e nel timore di Dio, cammineremo con sicurezza fra tante tentazioni.
1. Dateci, dunque, nostro buon Maestro, qualche rimedio per poter vivere senza sussulti in una guerra così pericolosa. Quello a cui possiamo far ricorso, figlie mie, lasciatoci da Sua Maestà, è l’amore e il timore. L’amore ci farà accelerare il passo, il timore ci farà guardare dove mettiamo i piedi, per non cadere lungo un cammino percorrendo il quale tutti noi che viviamo quaggiù incontriamo tanti inciampi. Così facendo, sicuramente non saremo mai ingannate.
2. Forse mi chiederete da quali segni potrete accorgervi di possedere queste due grandi virtù, e avete ragione, perché una prova assolutamente certa e concreta non si può avere, in quanto se fossimo sicure di avere l’amore, lo saremmo anche di possedere uno stato di grazia. Ma sappiate, sorelle, che ci sono certi segni visibili, sembra, anche ai ciechi: non sono segreti e, anche se non volete accorgervene, parlano con tanta forza da far molto rumore perché, non essendo molti quelli che li possiedono in tutta perfezione, balzano agli occhi con maggiore evidenza. Par niente dire: amore e timore di Dio! Sono due castelli fortificati da dove si può far guerra al mondo e ai demoni.
3. Coloro che amano veramente Dio, amano tutto ciò che è buono, desiderano tutto ciò che è buono, lodano tutto ciò che è buono, si uniscono sempre ai buoni, li aiutano e li difendono; non amano che la verità e ciò che è degno d’essere amato. Pensate che sia possibile, per chi ama veramente Dio, amare cose vane? Su di lui non hanno alcun potere le ricchezze, i piaceri del mondo, gli onori. Non conosce né contese né invidie. Tutto perché non vuole altro se non accontentare l’Amato. Muore dal desiderio d’esserne riamato; pertanto fa consistere la sua vita nel cercare il modo di riuscirgli più gradito. Potrà mai nascondersi tale amore? Oh, l’amore di Dio – se è veramente amore – non si può nascondere! Se non mi credete, guardate san Paolo e la Maddalena: il primo, cioè san Paolo, in tre giorni cominciò a dimostrare d’essere malato d’amore; la Maddalena fin dal primo giorno. E com’era evidente il loro amore! È vero che può essere maggiore o minore, pertanto si rivela in proporzione della sua forza: molto, se è grande; poco, se è piccola, ma poco o molto, se è amore di Dio, si riconosce sempre.
4. Non è certo piccolo, però, quello dei contemplativi, di cui ora più ci occupiamo, essendo essi particolarmente esposti agli inganni e alle illusioni del demonio. Il loro amore è sempre grande – altrimenti non sarebbero veri contemplativi – pertanto si manifesta con evidenza e in molti modi. È un grande fuoco che non può non emettere un grande splendore. E se questo manca, l’anima deve diffidare molto di sé, reputare che c’è di che temere, cercarne la causa, fare orazione e supplicare il Signore di non indurla in tentazione, perché, certo, mancando questo segno, temo che vi sia già. Ma se procede con umiltà, cercando di conoscere la verità, obbedendo al confessore e parlando a lui con tutta franchezza e semplicità, il demonio – come si è detto – dove credeva di darle la morte, le darà la vita, per quante lusinghe e illusioni voglia insinuarle.
5. Se poi sentite quest’amore di Dio di cui ho parlato e il timore di cui ora parlerò, rallegratevi e tranquillizzatevi. Il demonio, per turbarvi l’anima in modo che non goda di così grandi beni, v’ispirerà mille falsi timori e farà sì che altri ve li ispirino. Non potendo, difatti, guadagnarvi a sé, cerca per lo meno di farvi perdere qualcosa e farla perdere a coloro che potrebbero avvantaggiarsi molto dal credere che provengono da Dio le grandi grazie che egli concede a una misera creatura e che è possibile, quindi, riceverle. Dico così perché a volte sembra che non ci ricordiamo più delle sue antiche misericordie.
6. Credete che importi poco al demonio ispirare tali paure? No, anzi molto, perché fa un duplice danno: uno, spaventare le anime che odono parlare di questi pericoli, distogliendole dall’orazione, nel timore che possano essere ingannate anch’esse; l’altro, impedire che se ne accostino a Dio molte di più, vedendo che egli, nella sua grande bontà, può – come ho detto – comunicarsi così intimamente a noi peccatori fin da ora. Ciò le accenderebbe – e con ragione – di un gran desiderio di lui. Difatti io conosco alcune persone che, incoraggiate da tale speranza, hanno cominciato a praticare l’orazione e in poco tempo ne sono uscite con perfezione, avendole il Signore favorite di grandi grazie.
7. Perciò, sorelle, quando vedrete che c’è qualcuna fra voi cui il Signore elargisca le sue grazie, lodatela molto a motivo di ciò, ma non pensate che per questo sia sicura, anzi aiutatela con molte preghiere, perché nessuno può essere sicuro, finché vive quaggiù ed è in mezzo ai pericoli di questo mare tempestoso. Non mancherete certo di riconoscere questo amore, quando c’è, né io so come potrebbe restare nascosto. Quello che portiamo alle creature dicono che non si può dissimulare e che quanto più si cerca di nasconderlo, tanto più esso si manifesta, pur essendo cosa tanto vile da non meritare neppure il nome d’amore, fondato com’è sul nulla. E si dovrebbe poter nascondere un amore così forte, così giusto, che va sempre aumentando, che nulla è capace di estinguere, che poggia su tal fondamento qual è la certezza di essere ricambiato da un altro amore di cui non si può dubitare, perché si è manifestato tanto chiaramente con tormenti e pene così grandi e con tanto spargimento di sangue, fino all’immolazione della vita, proprio perché non ci restasse alcun dubbio su di esso? Oh, mio Dio, che gran differenza dev’esserci fra l’uno e l’altro di questi amori per l’anima che ne ha fatto esperienza!
8. Piaccia a Sua Maestà concederci l’amore divino, prima di farci lasciare questa vita, perché sarà d’indicibile conforto nel momento della morte pensare di dover essere giudicate da chi abbiamo amato sopra ogni cosa. Potremo presentarci sicure circa l’esito del processo dei nostri debiti: non sarà andare in terra straniera, ma nella propria patria, poiché è quella di chi tanto amiamo e che a sua volta ci ama tanto. Considerate, a questo punto, figlie mie, il guadagno che tale amore comporta e la perdita di non averlo, essendo noi allora alla mercé del tentatore. In mani così crudeli, così nemiche di ogni bene e così amiche di ogni male.
9. Che sarà della povera anima che, appena uscita da tali dolori e da tali angosce quali sono quelli della morte, cade subito in quegli artigli? A quale orribile riposo va incontro! Come cadrà nell’inferno fatta a pezzi! Che moltitudine di serpenti d’ogni specie! Che luogo spaventevole! Che disgraziato soggiorno! Se per una sola notte sopporta male un cattivo alloggio chi è abituato a vivere negli agi (e son proprio quelli che in maggior numero devono andare lì), che cosa pensate che sentirà quell’infelice anima di un tale alloggio eterno, senza fine? Figlie mie, non ricerchiamo agi mondani; stiamo bene qui, non si tratta che di passare una notte in un cattivo albergo. Lodiamo Dio, sforziamoci di far penitenza in questa vita. Ma come sarà dolce, poi, la morte di chi avrà fatto penitenza di tutti i suoi peccati e non dovrà andare in purgatorio! Come fin da quaggiù potrà forse cominciare a godere della gloria del cielo! Non sentirà in sé alcun timore, ma solo una pace assoluta.
10. Se non giungeremo a questo , sorelle, supplichiamo Dio che, dovendo subire pene, sia in un luogo dove, con la speranza di liberarci un giorno di esse, possiamo sopportarle di buon animo, e dove non perderemo la sua amicizia e la sua grazia. Supplichiamolo, infine, di darci in questa vita quella di non cadere in tentazione senza rendercene conto.

CAPITOLO 41
Si parla del timore di Dio e di come preservarsi dai peccati veniali.
1. Come mi sono dilungata! Eppure non tanto come avrei voluto, perché è dolce cosa parlare di tale amore: che sarà mai l’averlo? Il Signore me lo conceda per quello che egli è! Passiamo ora a parlare del timore di Dio. È una virtù anch’essa facilmente riconoscibile sia da chi la possiede, sia da quelli che trattano con costui. Ma voglio che sappiate che, al principio, tale timore non è così sviluppato da manifestarsi esternamente, a meno che non si tratti di alcune persone che – come ho detto – il Signore favorisce di notevoli grazie e in breve tempo arricchisce di virtù. Pertanto non si avverte in tutti, ripeto, all’inizio; il suo valore va aumentando man mano che s’ingrandisce, anche se non si tarda a vederne la presenza, perché subito l’anima si allontana dal peccato, dalle occasioni pericolose e dalle cattive compagnie, per non parlare di altri segni. Ma quando è ormai giunta alla contemplazione – che è ciò di cui soprattutto trattiamo in questo libro – anche il timore di Dio si rivela in pieno, come l’amore; non si può dissimulare neanche esternamente. Infatti, pur osservando con molta attenzione queste persone, non si scoprirà mai che sono trascurate. Il Signore le sostiene in modo tale che per tutto l’oro del mondo non commetterebbero di proposito un peccato veniale; quelli mortali poi, li temono come il fuoco. È mio desiderio, sorelle, che temessimo soprattutto le illusioni; supplichiamo sempre Dio che la tentazione non sia mai così forte da indurci ad offenderlo, ma che ce la mandi in conformità della forza che ci darà per vincerla. Ciò è quanto importa, questo è il timore che desidero vedere sempre in voi, essendo la nostra difesa.
2. Oh, che gran cosa è non offendere mai il Signore, [per incatenare] i suoi servi e i suoi schiavi infernali! Perché infine tutti, volere o no, devono servirlo; solo che essi lo fanno per forza e noi con tutta la nostra volontà. Ora, più accontenteremo il Signore più terremo a distanza i demoni. Così, per quanto vogliano indurci in tentazione e tenderci occulte insidie, non faranno nulla che possa nuocerci.
3. Seguite questo consiglio: è cosa molto importante che vi sorvegliate attentamente fino a che non sentiate tale ferma risoluzione di non offendere il Signore, da essere disposte a perdere mille vite, piuttosto che commettere un peccato mortale. Quanto ai veniali, abbiate molta cura di non commetterli; intendo dire non commetterli di proposito, perché – involontariamente – chi potrà evitare di non commetterne molti? Vi è però un’avvertenza che si accompagna a molta riflessione, e un’altra così improvvisa che commettere il peccato veniale e rendersene conto è quasi tutt’uno, tanto da non potersene accorgere in tempo. Ma dal peccato fatto con piena determinazione, per piccolo che sia, Dio ci liberi! Tanto più che non è mai poco ciò che offende una così eccelsa Maestà, il cui sguardo sappiamo sempre fisso su di noi. Questa – a me sembra – è una colpa ben premeditata; è come dire: «Signore, anche se vi dispiace, lo farò; so che mi vedete e che non lo volete, me ne rendo perfettamente conto, ma preferisco seguire il mio capriccio e il mio desiderio che non la vostra volontà». E io non sono del parere che sia poca la colpa di un simile comportamento, per quanto il peccato possa essere di lieve entità, io lo trovo grave, anzi gravissimo.
4. Se volete acquistare questo timore di Dio, considerate, sorelle, per amore suo, la grande importanza di comprendere quanto sia grave offenderlo. Cercate di pensarci assai spesso, perché questa virtù si radichi bene nelle nostre anime: ne va molto più che della nostra vita. Finché non l’avremo, è necessario procedere sempre con moltissima attenzione e allontanarci da tutte le occasioni e compagnie che non ci siano d’aiuto ad avvicinarci di più a Dio; badare a tutto ciò che facciamo, per vincere la nostra volontà, e a quel che diciamo, perché sia sempre di edificazione; fuggire da qualsiasi conversazione ove non si parli di Dio.
Ci vuole molto perché resti in noi ben impresso questo timore di Dio, ma se c’è un vero amore si acquista presto. Tanto più se – come ho già detto – l’anima si sentirà fermamente risoluta a non recare, per nessuna cosa al mondo, offesa a Dio, anche se in seguito talvolta possa cadere, perché siamo deboli e non dobbiamo fidarci di noi stessi; anzi, quanto più grande è la nostra determinazione, tanto meno dobbiamo confidare in noi; la nostra fiducia dev’essere riposta solo in Dio. Quando riconosceremo di avere in noi la disposizione che ho detto, non ci sarà più bisogno di nutrire tanta timidezza e paura, perché il Signore ci assisterà e la buona abitudine, ormai contratta, ci sarà d’aiuto a non offenderlo. Allora potrete agire con una santa libertà nelle legittime relazioni con il prossimo, anche se tratterete con persone dedite a distrazioni mondane. Se infatti, prima che aveste questo vero timore di Dio, esse sarebbero state un veleno e un mezzo per procurare la morte della vostra anima, dopo invece vi saranno di aiuto ad amare e lodare di più Dio, per avervi liberato da quello che ora vedete chiaramente come un pericolo. Se prima potevate contribuire ad assecondare la loro debolezza, ora le aiuterete a dominarsi solo per il fatto di essere alla vostra presenza. E si domineranno veramente, anche se non mosse da alcun motivo di rispetto.
5. Lodo spesso il Signore considerando da dove provenga questa forza, senza pronunciare neppure una parola. Molte volte un servo di Dio impedisce che si facciano discorsi contro di lui. Dev’essere come accade nel mondo: se abbiamo un amico, lo si rispetta sempre; quando è assente, si bada a non dirne male davanti a noi per il fatto che gli siamo amici. Allo stesso modo avviene di colui che è in stato di grazia: la stessa grazia deve far sì che, sia pure egli della più bassa condizione, gli si porti rispetto e non lo si contristi in cosa di cui si sa che soffrirebbe molto, com’è il vedere offeso Dio. Non so quale ne sia la causa, ma il fatto è che generalmente avviene così. Evitate pertanto di avere troppe apprensioni perché, se l’anima comincia a vedere pericoli dappertutto, si rende inabile ad ogni bene; a volte, poi, finisce con il cadere negli scrupoli, ed eccola allora inutile a sé e agli altri. Ma anche se non cade negli scrupoli, potrà giovare a sé, non, però, condurre molte anime a Dio, una volta che vedano in essa tanta apprensione e avvilimento. La nostra natura è tale che dette anime ne restano spaventate e paralizzate. Fuggono così dal seguire la via che voi seguite, pur sapendo chiaramente che è un cammino di maggior virtù.
6. Da qui, ancora, nasce un altro danno, che è quello di giudicare gli altri: siccome non seguono la vostra strada (per giovare al prossimo trattano con libertà e senza tante soggezioni), subito vi sembreranno imperfette. Se manifestano una santa allegria vi sembreranno dissolute, specialmente se si tratta di noi che non siamo istruite e non sappiamo come si può trattare con il prossimo senza peccare. È, questa, una cosa assai pericolosa, essere soggette a una continua tentazione di grave danno, perché in pregiudizio del prossimo: credere che tutti quelli che non procedono come voi, con le vostre soggezioni, non seguano la strada giusta, è una pessima cosa. Vi è, poi, un altro inconveniente: che in alcune occasioni in cui dovrete parlare e in cui è giusto che parliate, per timore di eccedere in qualcosa, non oserete farlo tranne, forse, per approvare quello che sarebbe assai conveniente detestare.
7. Cercate, invece, sorelle, per quanto è possibile, senza offesa di Dio, di essere affabili e di comportarvi con tutte le persone che tratteranno con voi in modo tale che amino la vostra conversazione, invidino il vostro modo di vivere e di agire e non abbiano timore né si sgomentino della virtù. Questo è un consiglio molto importante per le religiose; più saranno sante e più dovranno essere socievoli con le loro sorelle; e, quand’anche voi abbiate a soffrire molto se non tutte le conversazioni delle vostre compagne saranno conformi a ciò che voi desiderereste udire da esse, non meravigliatevene mai, se volete aiutarle ed essere amate. Soprattutto, infatti, dobbiamo procurare di essere affabili, gradevoli e accondiscendenti con le persone con le quali trattiamo, specialmente con le nostre consorelle.
8. Per questo, figlie mie, cercate di capire bene che Dio non bada a tante piccolezze, come voi credete, e non permettete alla vostra anima di abbattersi né vi venga meno il coraggio, perché potranno andar perduti molti beni. Abbiate la retta intenzione, la ferma volontà, come ho detto, di non offendere Dio. Non lasciate che la vostra anima diventi gretta, perché tale atteggiamento, invece di procurarvi la santità, vi farà incorrere in molte imperfezioni causate dal demonio per diverse vie. E, ripeto, non sarete utili né a voi né alle altre, così come avreste potuto.
9. Da quanto vi ho detto, potete costatare come con queste due virtù – amore e timore di Dio – noi possiamo seguire il nostro cammino in pace e tranquille, anche se – poiché il timore deve avere la precedenza – non dobbiamo mai dimenticarci di stare in guardia, non potendo mai avere piena sicurezza finché viviamo: la piena sicurezza sarebbe, infatti, un grande pericolo. Ed è quello di cui il nostro Maestro si rende ben conto quando, al termine di questa orazione, dice a suo Padre queste parole come chi sapeva quanto fossero necessarie.

CAPITOLO 42  
Tratta delle ultime parole del Pater noster: Sed libera nos a malo. Amen. Ma liberaci dal male. Amen.
1. Il buon Gesù aveva ben ragione, mi sembra, di chiedere questo anche per se stesso. Sì, perché noi vediamo quanto fosse stanco di questa vita quando disse ai suoi apostoli, nell’ultima cena: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi, che era l’ultima della sua vita. Da ciò si vede quanto dovesse essere ormai stanco di vivere; e oggi gli uomini anche quelli che hanno cento anni, non solo non si sentono stanchi, ma hanno sempre il desiderio di vivere più a lungo. In verità, la nostra esistenza non scorre così male, né con tante sofferenze e povertà come quella di Sua Maestà. Che cosa fu tutta la sua vita se non una morte continua per il fatto di avere sempre davanti agli occhi la fine crudele che gli avrebbero inflitto? E questo era ancora il meno, ma le tante offese che si facevano a suo Padre e le tante anime che si perdevano! Se questo, quaggiù, per un’anima che abbia carità è un grande tormento, che cosa sarà stato per la carità senza limiti e senza misura di nostro Signore? E come aveva ragione di supplicare il Padre di liberarlo da tanti mali e sofferenze e di introdurlo per sempre nella pace di quel regno di cui egli era il vero erede.
2. «Amen». Con la parola «Amen» credo che, siccome pone fine a tutte le richieste, il Signore chieda al Padre di liberare da ogni male per sempre anche noi. Così io supplico il Signore di liberarmi da ogni male per sempre, perché, lungi dall’estinguere i debiti che ho con lui, vado forse aumentandoli ogni giorno di più. E quel che io non posso sopportare, Signore, è non riuscire a sapere con certezza se vi amo e se i miei desideri vi sono accetti. Oh, mio Signore e mio Dio, liberatemi alfine da ogni male e compiacetevi di condurmi dove regna solo il bene! Cosa possono ormai sperare quaggiù coloro ai quali avete dato una qualche conoscenza di ciò che è il mondo e coloro che hanno una viva fede in ciò che l’eterno Padre ha loro riservato?
3. Chiedere questo con vivo desiderio e assoluta determinazione è un indizio sicuro, per i contemplativi, del fatto che le grazie da loro ricevute nell’orazione vengono da Dio; coloro ai quali il Signore lo concederà, pertanto, abbiano molta stima di tale desiderio. Se lo chiedo io, non è per questo motivo, voglio dire che non lo si attribuisca a questo motivo. La vera ragione è che, avendo vissuto così male, temo ormai di vivere più a lungo e sono stanca di tante sofferenze. Non è da stupirsi che coloro i quali partecipano dei doni di Dio desiderino stare dove non ne godano solo a sorsi, che non vogliano rimanere nella vita terrena, ove si frappongono tanti ostacoli al godimento di un tale bene e che aspirino a trovarsi dove non tramonti mai per essi il sole di giustizia. Dopo quelle grazie sembrerà loro tutto oscuro quanto vedono quaggiù e mi stupisco che possano continuare a vivere. Non vivrà certo con gioia chi ha cominciato a godere di esse ed ha ricevuto da Dio, già su questa terra, il suo regno. Se vive ancora quaggiù non è per sua volontà, ma per quella del suo Re.
4. Oh, come dovrebbe essere diversa questa vita, per non desiderare la morte! Come la nostra volontà ha inclinazioni diverse da quelle di Dio! La sua volontà divina esige che noi amiamo la verità e noi amiamo la menzogna; vuole che aspiriamo a ciò che è eterno, e noi, quaggiù, propendiamo a ciò che è transitorio; vuole che desideriamo cose grandi e sublimi e noi, qui, ci affezioniamo alle miserie della terra; vorrebbe che amassimo solo ciò che è sicuro e noi, qui, amiamo ciò che è incerto: davvero, figlie mie, non dobbiamo se non supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E, per quanto imperfetto sia ancora il nostro desiderio, sforziamoci di insistere in questa richiesta. Che ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente? Ma, per riuscire meglio, lasciamo alla sua volontà di darci quel che vuole, avendogli già consegnato la nostra. Sia per sempre santificato il suo nome in cielo e in terra e si compia sempre in me la sua volontà! Amen.
5. Considerate ora, sorelle, come il Signore mi ha alleggerito la fatica, insegnando a voi e a me il cammino di cui avevo cominciato a parlarvi e facendomi capire quali grandi cose chiediamo quando recitiamo questa preghiera del Vangelo. Sia per sempre benedetto, perché certo non mi era mai passato per la mente che essa contenesse così grandi segreti. Avete, infatti, visto che racchiude in sé tutto il cammino spirituale, dal principio fino a quando l’anima si immerge in Dio, ed egli le dà abbondantemente da bere a quella fonte di acqua viva che, come ho detto, si trova al termine del cammino. Sembra che il Signore abbia voluto farci intendere, sorelle, il grande conforto in essa racchiuso e di quanto grande utilità sia per le persone che non sanno leggere. Se esse lo capissero bene, da questa preghiera potrebbero trarre parecchia dottrina e trovare in essa motivo di consolazione.
6. Infine, sorelle, dall’umiltà che c’insegna il nostro buon Maestro, impariamo ad esser umili. Supplicatelo anche di perdonarmi se ho osato parlare di cose tanto sublimi. Sua Maestà sa bene che se egli non mi avesse insegnato quello che ho detto, con la mia intelligenza ne sarei stata incapace. Perciò ringraziatelo voi, sorelle, giacché deve averlo fatto per l’umiltà che vi ha ispirato a chiedermi questo scritto e a voler essere istruite da una così miserabile creatura.
7. Se il padre Presentato fra Domingo Báñez, che è il mio confessore, al quale rimetterò il libro prima che lo vediate voi, reputando che serva al vostro profitto, ve lo darà in lettura, certo mi sarà di conforto che ne abbiate motivo di consolazione. Ma se fosse tale da non meritare di essere letto da alcuno, accettate la mia buona volontà, perché, scrivendo quest’opera, ho obbedito a ciò che mi avete chiesto. Con questo io mi reputo ben pagata della fatica sostenuta nello scriverla, perché quanto a pensare ciò che ho scritto, non ho affatto sofferto. Sia benedetto e lodato il Signore, dal quale ci viene tutto il bene che è nelle nostre parole, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni! Amen.