lunedì 27 giugno 2011

Ave, Santa Theotokos



Oggi 27 giugno abbiamo ricordato:
Cirillo di Alessandria (ca. 378-444)
  patriarca di Alessandria e padre della chiesa.
Cirillo nacque nei dintorni di Alessandria d'Egitto attorno al 378, ma di lui è noto soprattutto ciò che avvenne dal momento in cui fu eletto patriarca di Alessandria nel 412.
Sulla scia dello zio Teofilo, suo predecessore al seggio episcopale alessandrino, Cirillo fu uomo intransigente, poco propenso a compromessi sia con i pagani, sia con gli ebrei, sia con gli stessi cristiani che avevano una visione differente dalla sua. Come teologo fu una delle menti più penetranti e speculative dell'antichità cristiana: egli elaborò una cristologia e una pneumatologia conformi all'Evangelo e alla tradizione, attraverso la stesura di opere fondamentali per la teologia delle epoche successive.
Cirillo si dedicò in particolare a definire la visione cristologica della grande chiesa, in opposizione agli insegnamenti di Nestorio, eletto nel 428 patriarca di Costantinopoli, e riuscì a far valere la propria visione teologica al concilio di Efeso del 431, dove avvenne tra l'altro la deposizione sia di Nestorio sia dello stesso Cirillo dai rispettivi seggi patriarcali.
Negli ultimi anni della sua vita, reso più malleabile dall'esperienza di decenni d'impegno pastorale, egli acconsentì a ricercare una formula d'unione tra le diversi correnti teologiche che avevano ormai condotto la chiesa a dolorose e durature divisioni. Morì nel 444.
Cirillo è ricordato dalle chiese ortodosse assieme ad Atanasio il 18 gennaio, mentre la chiesa copta, per la quale è uno dei santi più importanti, lo ricorda il 27 giugno del calendario giuliano, equivalente al nostro 10 luglio.

TRACCE DI LETTURA
Gesù Cristo è uno, e tuttavia è descritto come un covone abbondante, e davvero lo è, perché contiene in sé tutti i fedeli mediante un'unione spirituale. Altrimenti, come potrebbe Paolo dire che «con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli»? Poiché si è fatto uno di noi, gli siamo divenuti concorporei e abbiamo ricevuto un'unione con lui secondo il corpo. Per questo diciamo che siamo tutti una sola cosa in lui. Non ha detto egli stesso a suo Padre: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola»? Colui che aderisce a Cristo, è un solo Spirito con lui (Cirillo di Alessandria, dai Chiarimenti sul libro dei Numeri).

PREGHIERA
Tu sei beato, o padre nostro, grande abba Cirillo,
perché sei divenuto apostolo e insieme profeta.
Tu decretasti per noi
la legge delle virtù perfette
e conservasti i precetti scritti nel Vangelo,
confessando la bella confessione
nell'incarnazione del Dio Verbo
che divenne uomo come noi
per salvare il nostro genere
e redimerci dalla mano del divisore.
Prega il Signore per noi,
o mio signore e padre abba Cirillo,
affinché rimetta a noi i nostri peccati.

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Di seguito riporto il testo della udienza che Benedetto XVI ha dedicato a san Cirillo di Alessandria il 3 ottobre 2007 e la seconda lettura dell'Ufficio di oggi 27 giugno, dedicata alla Divina maternità della Vergine Maria.

Cari fratelli e sorelle,
anche oggi, continuando il nostro itinerario che sta seguendo le tracce dei Padri della Chiesa, incontriamo una grande figura: san Cirillo di Alessandria. Legato alla controversia cristologica che portò al Concilio di Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione alessandrina, nell’Oriente greco Cirillo fu più tardi definito «custode dell’esattezza» – da intendersi come custode della vera fede – e addirittura «sigillo dei Padri». Queste antiche espressioni esprimono bene un dato di fatto che è caratteristico di Cirillo, e cioè il costante riferimento del Vescovo di Alessandria agli autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto Atanasio) con lo scopo di mostrare la continuità della propria teologia con la Tradizione. Egli si inserisce volutamente, esplicitamente nella Tradizione della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, il quale contemporaneamente attribuì lo stesso titolo anche ad un altro importante esponente della patristica greca, san Cirillo di Gerusalemme. Si rivelavano così l’attenzione e l’amore per le tradizioni cristiane orientali di quel Papa, che in seguito volle proclamare Dottore della Chiesa pure san Giovanni Damasceno, mostrando anche in questo modo la sua convinzione circa l’importanza di quelle tradizioni nell’espressione della dottrina dell’unica Chiesa di Cristo.
Le notizie sulla vita di Cirillo prima della sua elezione all’importante sede di Alessandria sono pochissime. Nipote di Teofilo, che dal 385 come Vescovo resse con mano ferma e grande prestigio la Diocesi alessandrina, Cirillo nacque probabilmente nella stessa metropoli egiziana tra il 370 e il 380. Venne presto avviato alla vita ecclesiastica e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica. Nel 403 era a Costantinopoli al seguito del suo potente zio, e qui partecipò al Sinodo detto della Quercia, che depose il Vescovo della città, Giovanni (detto più tardi Crisostomo), segnando così il trionfo della sede alessandrina su quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli, dove risiedeva l’imperatore. Alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo nel 412 fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma.
Qualche anno dopo, nel 417 o nel 418, il Vescovo di Alessandria si dimostrò realista nel ricomporre la rottura della comunione con Costantinopoli, che era in atto ormai dal 406 in conseguenza della deposizione del Crisostomo. Ma il vecchio contrasto con la sede costantinopolitana si riaccese una decina di anni più tardi, quando nel 428 vi fu eletto Nestorio, un autorevole e severo monaco di formazione antiochena. Il nuovo Vescovo di Costantinopoli, infatti, suscitò presto opposizioni perché nella sua predicazione preferiva per Maria il titolo di «Madre di Cristo» (Christotókos), in luogo di quello – già molto caro alla devozione popolare – di «Madre di Dio» (Theotókos). Motivo di questa scelta del Vescovo Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno che, per salvaguardare l’importanza dell’umanità di Cristo, finiva per affermarne la divisione dalla divinità. E così non era più vera l’unione tra Dio e l’uomo in Cristo e, naturalmente, non si poteva più parlare di «Madre di Dio».
La reazione di Cirillo – allora massimo esponente della cristologia alessandrina, che intendeva invece sottolineare fortemente l’unità della persona di Cristo – fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio. Nella seconda che Cirillo gli indirizzò, nel febbraio del 430, leggiamo una chiara affermazione del dovere dei Pastori di preservare la fede del Popolo di Dio. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche oggi: la fede del Popolo di Dio è espressione della Tradizione, è garanzia della sana dottrina. Così scrive a Nestorio: «Bisogna esporre al popolo l’insegnamento e l’interpretazione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile».
Nella stessa lettera a Nestorio – lettera che più tardi, nel 451, sarebbe stata approvata dal Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico – Cirillo descrive con chiarezza la sua fede cristologica: «Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio, non perché a causa dell’unità sia stata eliminata la differenza delle nature, ma piuttosto perché divinità e umanità, riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio». E questo è importante: realmente la vera umanità e la vera divinità si uniscono in una sola Persona, il Nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, continua il Vescovo di Alessandria, «professeremo un solo Cristo e Signore, non nel senso che adoriamo l’uomo insieme col Logos, per non insinuare l’idea della separazione col dire “insieme”, ma nel senso che adoriamo uno solo e lo stesso, perché non è estraneo al Logos il suo corpo, col quale siede anche accanto a suo Padre, non quasi che gli seggano accanto due figli, bensì uno solo unito con la propria carne».
E presto il Vescovo di Alessandria, grazie ad accorte alleanze, ottenne che Nestorio fosse ripetutamente condannato: da parte della sede romana, quindi con una serie di dodici anatematismi da lui stesso composti e, infine, dal Concilio tenutosi a Efeso nel 431, il terzo ecumenico. L’assemblea, svoltasi con alterne e tumultuose vicende, si concluse con il primo grande trionfo della devozione a Maria e con l’esilio del Vescovo costantinopolitano che non voleva riconoscere alla Vergine il titolo di «Madre di Dio», a causa di una cristologia sbagliata, che apportava divisione in Cristo stesso. Dopo avere così prevalso sul rivale e sulla sua dottrina, Cirillo seppe però giungere, già nel 433, a una formula teologica di riconciliazione con gli antiocheni. E anche questo è significativo: da una parte c’è la chiarezza della dottrina di fede, ma dall’altra anche la ricerca intensa dell’unità e della riconciliazione. Negli anni seguenti si dedicò in ogni modo a difendere e a chiarire la sua posizione teologica fino alla morte, sopraggiunta il 27 giugno del 444.
Gli scritti di Cirillo – davvero molto numerosi e diffusi con larghezza anche in diverse traduzioni latine e orientali già durante la sua vita, a testimonianza del loro immediato successo – sono di primaria importanza per la storia del cristianesimo. Importanti sono i suoi commenti a molti libri veterotestamentari e del Nuovo Testamento, tra cui l’intero Pentateuco, Isaia, i Salmi e i Vangeli di Luca e di Giovanni. Rilevanti sono pure le molte opere dottrinali, in cui ricorrente è la difesa della fede trinitaria contro le tesi ariane e contro quelle di Nestorio. Base dell’insegnamento di Cirillo è la Tradizione ecclesiastica, e in particolare, come ho accennato, gli scritti di Atanasio, il suo grande predecessore sulla sede alessandrina. Tra gli altri scritti di Cirillo vanno infine ricordati i libri Contro Giuliano, ultima grande risposta alle polemiche anticristiane, dettata dal Vescovo di Alessandria probabilmente negli ultimi anni della sua vita per replicare all’opera Contro i Galilei composta molti anni prima, nel 363, dall’imperatore che fu detto l’Apostata per avere abbandonato il cristianesimo nel quale era stato educato.
La fede cristiana è innanzitutto incontro con Gesù, «una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte» (Enc. Deus caritas est, 1). Di Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, san Cirillo di Alessandria è stato un instancabile e fermo testimone, sottolineandone soprattutto l’unità, come egli ripete nel 433 nella prima lettera al Vescovo Succenso: «Uno solo è il Figlio, uno solo il Signore Gesù Cristo, sia prima dell’incarnazione sia dopo l’incarnazione. Infatti non era un Figlio il Logos nato da Dio Padre, e un altro quello nato dalla santa Vergine; ma crediamo che proprio Colui che è prima dei tempi è nato anche secondo la carne da una donna». Questa affermazione, al di là del suo significato dottrinale, mostra che la fede in Gesù Logos nato dal Padre è anche ben radicata nella storia perché, come afferma san Cirillo, questo stesso Gesù è venuto nel tempo con la nascita da Maria, la Theotókos, e sarà, secondo la sua promessa, sempre con noi. E questo è importante: Dio è eterno, è nato da una donna e rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa fiducia troviamo la strada della nostra vita.

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Dalle "Lettere" di San Cirillo d'Alessandria, vescovo
La divina maternità della Vergine Maria
 Mi meraviglio oltremodo che vi siano alcuni che dubitano che la santa Vergine si debba chiamare Madre di Dio. Ed invero se nostro Signore Gesù Cristo è Dio, perché mai allora la santa Vergine che l'ha generato non dovrebbe chiamarsi Madre di Dio? I discepoli di Gesù ci hanno tramandato questa fede, quantunque mai adoperino questa formula. In questo senso siamo stati istruiti dai santi Padri. A dire il vero, il nostro padre Atanasio di notissima memoria, nel libro che ha scritto sulla santa e consustanziale Trinità, nel terzo discorso, a più riprese chiama la Vergine "Madre di Dio".

Mi vedo costretto a servirmi delle sue stesse parole che suonano così:" Perciò a scopo e caratteristica della divina Scrittura, come spesso abbiamo rilevato, è di affermare entrambe le cose del nostro Salvatore Cristo; e cioè che egli è Dio e non è mai stato diversamente in quanto è Verbo del Padre e suo splendore e sapienza; e insieme che lo stesso, quando venne la pienezza dei tempi, avendo preso carne dalla Vergine Maria Madre di Dio, si è fatto uomo per noi".

E dopo qualche altra frase, dice ancora:" Vi sono state molte persone sante e immuni da ogni peccato: infatti Geremia fu santificato fin dal seno materno e Giovanni, non ancora venuto alla luce, udita la voce di Maria, Madre di Dio, sussultò di gioia". Certo il nostro padre Atanasio è assolutamente degno di tutta la nostra fede e di sicura adesione, in quanto non ha mai detto nulla che fosse contrario alle Sacre Scritture. E la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, afferma che il Verbo di Dio nacque dalla discendenza di Abramo e, preparatosi un corpo da una donna, si fece partecipe della carne e del sangue, per modo che ormai non è più soltanto Dio, ma anche uomo simile a noi per l'unione con la nostra natura. Perciò l'Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù Cristo è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero, che per la nostra salvezza apparve nella forma umana, come Paolo attesta con queste parole:" Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5)