mercoledì 18 maggio 2011

Tutte trote gli amici di don Seppia?

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La vicenda di don Riccardo Seppia, il prete della diocesi di Genova arrestato per abusi sessuali su minori e uso di droga, ha profondamente colpito l'opinione pubblica sia per la gravità dei reati commessi sia per la solitudine e la realtà di disgregazione - comunitaria e sacerdotale - in cui tale doppia vita è maturata. Tra i tanti articoli di stampa su quello che ormai è impietosamente definito il prete-bestia riporto l'editoriale pubblicato ieri 17 maggio da "La Bussola Quotidiana", a firma di Andrea Tornielli. Rimando soprattutto al mio post dal titolo "Meglio prevenire", pubblicato lunedi scorso.

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La triste vicenda di don Riccardo Seppia, il parroco della chiesa di Santo Spirito Sestri Ponente arrestato nei giorni scorsi perché accusato di aver fatto avances sessuali a un sedicenne e per cessione di cocaina, lascia aperte domande drammatiche.

Va dato atto all’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, di essersi subito recato nella parrocchia, di aver pubblicamente dichiarato la propria vergogna, di aver immediatamente sospeso il sacerdote in attesa degli sviluppi dell’inchiesta. Inoltre, ogni cristiano sa bene che nonostante le norme antipedofilia, l’inasprimento delle pene canoniche, etc. etc., la natura umana continua a rimanere ferita dal peccato originale. Purtroppo questi episodi vergognosi e tremendi – che mostrano come la persecuzione più terribile per la Chiesa non arrivi dai nemici esterni, come ha spiegato Benedetto XVI, ma dal peccato dentro la stessa Chiesa – accadono ancora.

Quello che stupisce, nel caso di don Seppia, come nel caso dei preti gay oggetto di un’inchiesta di Panorama, poi trasformatasi in un libro, è da una parte la capacità di queste persone di costruirsi e gestire delle doppie vite, dall’altra la mancanza quasi totale di «controllo sociale» sulla vita del prete.

Qui non si tratta (solo) di peccati, ma di gravissimi reati. Non siamo di fronte alla caduta, alla debolezza vissuta con senso di colpa di un sacerdote che non riesce ad essere fedele all’impegno del celibato, e cede alla tentazione. Si tratta, invece, di vite parallele, dove la persona riesce a sdoppiarsi, predicando bene e razzolando malissimo perché compie dei crimini, usa droga e se ne serve per attirare le giovani "prede".

Ecco, ciò che stupisce è proprio questo: don Seppia era – ora lo si scopre – un prete chiacchierato, alcuni suoi parrocchiani sapevano delle sue assenze notturne (andava a Milano per rifornirsi di droga o per frequentare palestre e saune), sussurravano critiche per certi suoi atteggiamenti disinvolti. C’è da chiedersi come don Riccardo fosse inserito nel contesto della diocesi, in quali rapporti fosse con i confratelli preti, quali fossero le sue amicizie. Insomma, c’è da chiedersi come sia possibile che quanto leggiamo sia potuto accadere senza che nessun campanello d’allarme scattasse nelle persone più vicine al sacerdote ora accusato dell’abuso di un minore con una leggera disabilità mentale.

La Lettera circolare della Congregazione per la dottrina delle fede alle conferenze episcopali che detta le linee guida per codificare norme antipedofilia, insiste in un punto sulla formazione dei seminaristi e sulla formazione permanente del clero. La soluzione, però, non sta in una formula, o in nuovi schemi bacchettoni da introdurre nei seminari per riportare indietro di cinquant’anni l’orologio della storia: una volta usciti, i seminaristi diventati preti si troveranno comunque a fare i conti con la società in cui tutti viviamo. La questione vera, ancora una volta, è quella che riguarda il tessuto di relazioni e di amicizie che sostiene il sacerdote, quella che riguarda la sua maturità affettiva, oltre che lo spessore della sua vita spirituale.