martedì 12 aprile 2011

Nulla di sano c'è nell'uomo (cfr. Sal.37,4).

Ho cercato di vendere l'anima al diavolo: è scaduta da un pezzo, mi ha detto. (Altan)
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Leggendo i primi due canoni del Concilio di Orange immediatamente torna alla memoria l’immagine cara di papa Paolo VI che, il 30 giugno 1968, pronunziava in piazza San Pietro il Credo del popolo di Dio. Con questa professione di fede il Papa, come spiegò nell’omelia, voleva attestare «il nostro incrollabile proposito di fedeltà al deposito della fede (cfr. 1Tm 6, 20) che i santi apostoli ci hanno trasmesso». Rendendo evidente davanti agli occhi di tutti i fedeli che il deposito da custodire era più importante del compito del custode, «successore di Pietro sebbene ultimo per merito». Anche perché, come scrive l’apostolo Paolo al figlio prediletto Timoteo, è il Signore stesso che è capace di custodire sia il deposito sia il custode (cfr. 2Tm 1, 12 ).
Così dunque papa Paolo VI: «Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, “non per imitazione, ma per propagazione”, e che esso pertanto è “proprio a ciascuno” (Denzinger 1513)».

Concilio di Orange del 529

Tutto l'uomo, sia nel corpo che nell'anima, è ferito dal peccato originale

Il peccato originale Canone 1. Se qualcuno afferma che non tutto l’uomo, cioè sia nel corpo che nell’anima, fu mutato in peggio per il peccato della prevaricazione di Adamo, ma crede che, rimanendo illesa la libertà dell’uomo, solo il corpo sia soggetto alla corruzione, ingannato dall’errore di Pelagio, va contro la Scrittura che dice: «L’anima, che ha peccato, essa stessa morirà» [Ez 18, 20]; e: «Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite?» [Rm 6, 16]; e: «Chi è vinto da qualcuno, è anche assegnato a lui come schiavo» [cfr. 2Pt 2, 19].

Canone 2. Se qualcuno asserisce che il peccato di Adamo ha nociuto a lui solo e non anche alla sua discendenza, o afferma che, per causa di un solo uomo, è sì penetrata in tutto il genere umano la morte del corpo, che è la pena del peccato, ma non anche il peccato, che è la morte dell’anima, attribuirà a Dio una ingiustizia, contraddicendo l’Apostolo che dice: «A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e attraverso il peccato la morte, e così la morte si è diffusa a tutti gli uomini, perché in lui [Adamo] tutti hanno peccato» [cfr. Rm 5, 12].