mercoledì 27 aprile 2011

Dio non è venuto a spiegare la sofferenza.







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Daniela è una ragazza di Brescia che lavora a stretto contatto con la sofferenza dei bambini, e dunque quella più innocente ed umanamente assurda ed inspiegabile. La frase a commento della icona qui sotto sembra scritta apposta per lei. Rimando anche: 1. alla celebrazione sinfonico-catechetica di Kiko Arguello ("La sofferenza degli innocenti", appunto) che ho pubblicato il 13 aprile scorso; 2. all'articolo che riporto in nota a questo post (*).



"Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza"

Paul Claudel

Di seguito il Vangelo di oggi 27 aprile con commento



Lc 24,13-35
Nello stesso primo giorno della settimana, due discepoli di Gesù erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.


Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.


Ed egli disse loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.


Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.


E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.


Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.




IL COMMENTO

Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele... La Pasqua, Cristo nostra Pasqua, giunge in questo cammino a ritroso, sui passi che ripercorrono il nostro antico andare dietro di Lui, nel nostro ricordo che si fa ogni giorno, ogni istante di più struggimento, delusione rimpianto. Come quando sfogliamo le foto di qualcosa di bello che non è più, i luoghi, i sorrisi, e quel volto che ci aveva rapito il cuore, quel sorriso, quell'inconfondibile tenerezza che ci aveva scossi e mossi, a fissare tutto noi stessi, pensieri, corpo, cuore in uno Shemà innamorato, totalizzante, quel tutto che aveva afferrato tutto e che ora non è più. Il cammino dei due discepoli di Emmaus è il cammino dell'amore deluso, perchè la speranza è sempre frutto della felicità indomita dell'amore. E' l'amore che ha spinto Maria Maddalena ad incollarsi piangente dinanzi alla tomba del suo Signore. E' l'amore strozzato, il compimento assaporato e strappato via che inchioda i due di Emmaus ad un ricordo colmo di nostalgia. Scriveva la scrittrice spagnola che l’amore «trascende sempre, la sua promessa indecifrabile squalifica ogni raggiungimento, ogni realizzazione... L’azione dell’amore, il suo carattere di agente divino nell’uomo, si riconosce soprattutto da quell’affinamento dell’essere che lo patisce e lo sopporta. E anche da uno spostamento del centro di gravità dell’uomo. Perché essere uomini significa essere stabili, significa pesare, pesare su qualcosa. L’amore provoca non la diminuzione bensì la scomparsa di quella gravità… Il centro di gravità della persona si è trasferito alla prima persona amata e, nel momento in cui la passione svanisce, resterà quel movimento, il più difficile, dello stare “fuori di sé”… Vivere fuori di sé per vivere oltre se stessi. Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente» (L’uomo e il Divino).
E' questa l'esperienza dei due discepoli sul cammino di Emmaus, un percorso duro, quello che conduce allascomparsa della gravità, del fondamento umano che ci fa familiare la vita, che ci concede di gestire gli affetti, il lavoro, in un recinto che garantisca, senza sussulti, l'esistenza. L'incontro con Gesù aveva sconvolto la mappa faticosamente disegnata, quella nella quale ritrovare ogni cosa al suo posto, indirizzi certi dove traghettare i giorni; la chiamata di Gesù, quella che ha raggiunto i dispeoli sul mare di Galilea, al banco delle imposte, quell'irresistibile sguardo d'amore, li aveva attirati in un esodo inaspettato verso la promessa indecifrabile che squalifica, rende piccola e quasi meschina ogni altra realizzazione; Gesù aveva svelato la friabilità d'ogni altra speranza, desiderio; il suo amore aveva, irrevocabilmente, messo a nudo l'incosistenza di tutto quanto non fosse Lui, non scaturisse da Lui. Quella chiamata li aveva segnati e santificati, messi a parte per un altro centro di gravità. Ed ora stavano patendo la purificazione decisiva, quello che passa per la scomparsa dell'amato stesso, dell'origine di quella svolta così travolgente. Era svanita la passione, si doveva compiere quel volo al di fuori di se stessi, la stessa esperienza della Maddalena sulla soglia del sepolcro. Sulla strada verso Emmaus i due discepoli, immagine della Chiesa, immagine di ciascuno di noi, avevano intrapreso, inconsapevolmente, il movimento più difficile, quello dello stare fuori di sé, l'attitudine che volge l'uomo nella sua completezza verso l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente.
Con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. I discepoli si trovano ancora nel sepolcro, in quel lasso di tempo dove la avviene la purificazione decisiva, il tempo dove la sofferenza giunta al suo apice lascia spazio alla morte, all'abbandono di ogni speranza, allo sfinimento impotente della carne. I due discepoli sono in quell'anfratto dell'esistenza che è il Sabato Santo, il sepolcro che avvolge ogni certeza acquisita, lo svuotamento di ogni umana speranza. Il sepolcro, seno fecondo dove è gestata una vita nuova, viscere benedette dove il seme dell'amore immortale purifica ogni passione, il dolore che brucia ogni residuo dell'illusione.


Paul Claudel scriveva che "tutta la sofferenza che c'è nel mondo non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto". Il dolore acuto che percuoteva il petto dei discepoli era dunque il dolore del parto, la sofferenza di una travaglio che conduce ad una vita nuova, al compimento di quello che l'ardere del nostro cuore realmente desidera. Nel discutere dei discepoli di Emmaus scopriamo la nostra incapacità di dare un senso a ciò che trascende la nostra ragione, l'incapacità di definire e accogliere un amore che brucia le scorie dell'egoismo, dell'autocompiacimento, della consolazione.


Dietro a tante, forse a tutte, le nostre discussioni, ai nostri discorsi, alle nostre interminabili ricerche di verità e di soluzioni, dietro ai sofismi e alle indagini circa i responsabili dei mali che ci affliggono, dietro alla quasi totalità dei nostri pensieri e delle nostre parole vi è una speranza delusa. Meglio sarebbe dire una speranza buttata. Come per i discepoli, è


Cristo la nostra speranza, l'incontro con Lui ci ha stregati. Lo abbiamo seguito, ma non perchè abbiamo visto dei segni, semplicemente perchè abbiamo mangiato il pane e ci siamo saziati, abbiamo riempito il vuoto che ferisce la carne. Ma, il sopraggiungere della Croce, la deposizione di quello steso pane nel sepolcro, il suo permanere in quell'oscurità priva di vita, ha fatto saltare gli schemi, quel pane che ci aveva saziati è divenuto un pane inaccettabile, un "discorso duro" da mandar giù. Abbiamo sperato in Gesù. ma non in Gesù crocifisso. La gloria che attendiamo e speriamo, per essere proprio quella che i nostri cuori desiderano, deve eludere la croce. Cancellare i problemi. Eliminare i fallimenti, le solitudini, la maggior parte di quel che ci tocca vivere ogni giorno. E discutiamo, litighiamo, ci appassioniamo, indaghiamo, scartavetriamo ogni angolo dell'esistenza mentre gli occhi guardano ma non vedono, inchiodati alla maledizione di "chi confida nell'uomo e nella carne, che quando viene il bene non lo può vedere".








Gesù è lì, accanto a noi. Ci parla, ci pone domande, ci cerca. Ma noi dove siamo? Dove son perdute le nostre ore, tra angosce e mormorazioni? Quali speranze hanno fagocitato la nostra vita facendone un'unica, interminabile disputa con tutti e su tutto? La nostra esistenza, una campagna elettorale permanente, sulla via che fugge da Gerusalemme. Gesù è l'unico così estraneo ai nostri pensieri da non sapere quel che è successo. Questo è quel che pensiamo di Lui, un estraneo ai nostri bisogni, alle nostre lacrime, alle nostre speranze.




Certo, probabilmente non bestemmiamo, preghiamo e andiamo in Chiesa, ma il cuore è avariato, spera male ed è strozzato nella delusione.














Ma Gesù non è lontano, proprio dove non lo riconosciamo, dove la fede fa acqua, il Suo amore infinito lo spinge sino al bordo della nostra vita, e Lui sì che ci riconosce. Lui sì che conosce quello che si agita nei nostri cuori. Lui intercetta con uno sguardo di mite misericordia i nostri occhi tristi. E ci annuncia il Vangelo, ci parla della Storia d'amore di Dio con il Suo popolo, ci ricorda la fedeltà, l'alleanza, le profezie. Ci apre il cuore alle Scritture, svelando il profondo del Suo proprio cuore: Luidoveva soffrire, doveva morire, non poteva far altro che amare di quell'amore assoluto, infinito, che supera le barriere della morte e della carne. L'amore sino alla fine. Speriamo male perchè non capiamo di sperare il suo amore credendo di sperare altro, soluzioni, successi affettivi, lavorativi, economici. In ogni nostra speranza è inscritto il Suo amore, basta riconoscerlo. E sapere di sperarlo.

Per questo Gesù si fa nostro compagno di viaggio, per educarci a guardare, per insegnarci a sperare. Il Suo amore ci apre gli occhi. Il Suo corpo donato ci svela l'oggetto vero del desiderio nostro più profondo: saziarci di Lui, mangiare del Suo amore deposto laddove noi non vediamo amore alcuno, nell'abbandono di ogni speranza. Conoscere questo amore e in esso riposare.

Un personaggio di un film di Bergman, il sagrestano di Luci d’inverno, rammenta al pastore in crisi di fede la sofferenza di Cristo: «Pensi al Getsemani, signor pastore. Tutti i discepoli si erano addormentati. Non avevano capito nulla. Ma non era ancora il peggio. Quando il Cristo fu inchiodato sulla croce e vi rimase, tormentato dalle sofferenze, esclamò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il Cristo fu preso da un grande dubbio nei momenti che precedettero la sua morte. Dovette essere quella la più crudele delle sue sofferenze. Voglio dire il silenzio di Dio». In quel silenzio Gesù si era fatto nostro compagno di viaggio, in quella mancanza di speranza, in quella disillusione, in quell'abbandono.



Così, sorge nei discepoli, al limite estremo della delusione, la memoria destata da quella sua presenza fatta parola, annuncio e poi pane. Sorge lì, nell'abisso del dolore, il desiderio autentico, e il cuore spicca il volo decisivo: "resta con noi!" Resta nella nostra notte, vogliamo il Pane capace di saziare la otte, per vivere nella notte del dolore, del nulla, della solitudine, del dolore. Vogliamo il pane della Viat nella morte. E così imparare in tutto a sperare Lui. E riconoscere che tutto, anche i dolori, le angosce, i fallimenti, i tradimenti, le malattie, tutto, in ogni istante, ci porta Lui, ce lo dona, perchè in tutto Lui è entrato e ne è uscito vittorioso. Si, ogni momento della nostra vita è pieno di Lui, del Suo amore, sperare di riconoscerlo, di fermarsi, di saziarsene. Ecco la notizia meravigliosa del Vangelo di oggi. Il nosro cuore arde e non ce ne rendiano conto. Tutto di noi spera il Suo amore e non lo sappiamo. Per questo Lui si avvicina, cammina con noi, entra con noi nella nostra notte, e ci apre gli occhi su quello che Lui, da sempre, ha seminato in noi. Il pane spezzato dischiude i nostri occhi sul Suo volto, perchè la nostra speranza ad esso si rivolga, e non rimanga delusa. Ogni giorno. Come recita il verso del Paradiso:



«Già non attendere’ io tua dimanda,/ s’io m’intuassi, come tu t’immii» (IX,80-81); Giussani commentai: «Una frase potente, strapotente, tutta quanta nata dalla frase di san Paolo: “Vivo, non io; sei Tu che vivi in me”. Questa è la grande norma… “intuarci”, renderci “tu”, così come Egli è diventato nostro, come Egli è diventato uomo, è diventato te, perché chiamandoti è diventato te… Tu accetti e desideri di amarlo: da’ te stesso per lui» (Le mie letture ). Con Lui verso il mondo, a deporre nel sepolcro di questa generazione il seme della Vita, l'amore che ci ha fatti una cosa sola con Lui.

* * *

(*): Con gioia, riporto dalla Agenzia Zenit:

Kiko Argüello evangelizza con un'opera sinfonica


Un moderno Atrio dei Gentili in Terra Santa

di Álvaro de Juana


GERUSALEMME, domenica, 24 aprile 2011 (ZENIT.org).- Evangelizzare attraverso la musica è la nuova forma di predicazione che ha preso forma nel Cammino Neocatecumenale grazie alla composizione di un'opera sinfonica il cui autore è l'iniziatore di questo itinerario di riscoperta del Battesimo, lo spagnolo Kiko Argüello.

La Domus Galilaeae, una casa di preghiera e convivenze situata sul Monte delle Beatitudini e diretta dal Cammino Neocatecumenale, è stata lo scenario di due celebrazioni in cui l'orchestra ha interpretato la sinfonia.
Questa celebrazione liturgica è composta da una monizione ambientale e dalla proclamazione della lettura di Ezechiele relativa alla spada che trapasserà l'anima della Vergine Maria, dall'omelia, da preghiere e dal Padre Nostro.
L'idea di comporre una sinfonia come mezzo di evangelizzazione è nata dopo la realizzazione del disco in spagnolo “Paloma Incorrupta” (“Colomba Incorrotta”), dedicato alla Vergine Maria, su richiesta dell'Arcivescovo di Madrid, il Cardinale Antonio María Rouco Varela, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù che si celebrerà a Madrid ad agosto.

Argüello ha riunito 170 musicisti professionisti di tutta la Spagna appartenenti a questa realtà ecclesiale per iniziare a lavorare e a dar forma alla composizione musicale nel contesto delle varie convivenze (Spagna, Italia, Israele) in un clima di penitenza, preghiera e celebrazione dell'Eucaristia.

Da tutto questo lavoro è sorta una sinfonia alla “sofferenza degli innocenti” o alla sofferenza della Vergine Maria.

“Uomini buttati per strada, morti di freddo. Bambini abbandonati e raccolti in orfanotrofi dell'orrore, dove sono violentati e abusati. Quella donna che ho conosciuto in quel quartiere, con il Parkinson, abbandonata dal marito, che il figlio malato di mente picchiava con un bastone e che chiedeva l'elemosina. Sono rimasto sopraffatto di fronte a Gesù morto sulla croce presente in lei e in tanti altri”, ha spiegato Kiko Argüello circa l'ispirazione dell'opera.

“Quale mistero la sofferenza di tanti innocenti che si caricano dei peccati di altri: incesto, violenze inaudite, quella fila di donne e bambini verso le camere a gas e il dolore profondo di uno dei guardiani che dentro il proprio cuore sentiva una voce: 'Entra nella fila e vai con loro alla morte' e non sapeva da dove gli venisse”, ha aggiunto.

“Dicono che dopo l'orrore di Auschwitz non si può più credere in Dio, ma non è vero, perché Dio si è fatto uomo per caricarsi della sofferenza di tanti innocenti. Egli è l'innocente totale, l'Agnello condotto al macello senza aprire la bocca, che si carica dei peccati di tutti”.

Celebrazioni


La prima delle celebrazioni è stata offerta a circa 700 arabi cristiani di Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa e di tutta la Galilea, ed è stata presieduta da Elias Shakkour, Arcivescovo greco-cattolico di Galilea. Ha partecipato anche monsignor Giacinto Marcuzzo, Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme per Israele.

Tutti hanno assistito all'opera sinfonica in un ambiente di preghiera nel quale è stata ascoltata la spiegazione di Argüello sul motivo dell'opera. A questo scopo, ha raccontato ai presenti la sua esperienza in riferimento alla sofferenza degli innocenti e l'importanza che questo fatto ha avuto alle origini del Cammino Neocatecumenale.

La seconda celebrazione sinfonico-catechetica che ha avuto luogo nella Domus Galilaeae si è svolta davanti a più di 800 ebrei della zona e altre persone giunte da ogni parte di Israele. L'evento ha contato sulla presenza di alcuni rabbini, tra cui il rabbino Leskovie.

Questa celebrazione storica è avvenuta nel pomeriggio del Giovedì Santo e ha portato a compimento ciò Benedetto XVI segnala nella recente Esortazione Apostolica Verbum Domini: “Desidero riaffermare ancora una volta quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei. È bene che dove se ne veda l’opportunità si creino possibilità anche pubbliche di incontro e confronto che favoriscano l’incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione anche nello studio stesso delle sacre Scritture”.

Visite continue


Da quando la Domus Galilaeae ha iniziato la sua attività, è stata costante la visita di ebrei della zona e di tutta la Galilea che sono attratti dalla bellezza estetica della casa e restano colpiti dall'accoglienza dei fratelli della struttura, il cui unico interesse è quello di accoglierli, come “nostri fratelli maggiori”, con le parole di Giovanni Paolo II.

La Domus Galilaeae favorisce inoltre la scomparsa dei pregiudizi che molti hanno sulla Chiesa. Gli ebrei sono guidati durante la loro visita da seminaristi che, proprio per svolgere questo compito, hanno studiato l'ebraico per un anno all'Università di Gerusalemme.

I visitatori restano così colpiti che, tornati a casa, consigliano ad altri di recarsi sul posto. Solo nel 2010 sono stati 120.000 gli ebrei di tutto Israele che hanno visitato la struttura, realizzando in questo modo il desiderio espresso in varie occasioni da Giovanni Paolo II.

Un moderno Atrio dei Gentili


L'opera sinfonica è stata inagurata davanti a circa 1.000 catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale in tutto il mondo in una convivenza, dopo un anticipo a Benedetto XVI nel gennaio scorso nell'Aula Paolo VI.

Nell'udienza concessa ai membri del Cammino, alla quale erano presenti i responsabili a livello internazionale, Kiko Argüello, Carmen Hernández e il sacerdote Mario Pezzi, il Pontefice ha affermato che questa realtà ecclesiale è “un dono di Dio per la sua Chiesa”.

Con la convinzione che la musica arriva là dove la parola molte volte non riesce a giungere, Argüello fa sì che la composizione musicale tocchi il cuore di quanti sono lontani della Chiesa e li commuova profondamente. Sono già varie le persone che, dopo aver ascoltato l'opera sinfonica, si sono avvicinate di nuovo ad essa e hanno riflettuto sulle proprie convinzioni, in un Atrio dei Gentili simile a quello avviato dalla Santa Sede attraverso il Pontificio Consiglio per la Cultura e il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.

I giovani musicisti interpretano questa composizione divisa in vari movimenti: Gemito, Lamento, Spada e Perdonali. In questi giorni, Argüello ha composto nuove parti dell'opera che corrispondono al momento in cui Gesù si trova nel Getsemani e viene catturato dai romani dopo il tradimento di Giuda. La parte finale dell'opera rifletterà la risurrezione di Cristo.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]