sabato 26 marzo 2011

Tenebre dentro

Il Vangelo della donna samaritana: introduzione.

Tutta la narrazione giovannea possiede come due registri. Un primo registro narra semplicemente dei fatti (e potrebbe far pensare a una narrazione cronologica), un secondo registro narra invece il senso profondo degli accadimenti: l’avvenimento, il suo senso simbolico e profetico.
Come già l’incontro tra Cristo e Nicodemo anche quello con la Samaritana obbedisce a questo duplice livello, uno cronologico e uno simbolico. Se il primo incontro fu tra Gesù e un esponente dell’ortodossia ebraica, il secondo racconta del dialogo tra Gesù e una donna eretica.Vale a dire una categoria di persone interdetta a un ebreo osservante, soprattutto se rabbino.

In questa donna si vede dunque, rappresentata tutta l’umanità lontana da Dio, emarginata per le sue condizioni sociale e religiose. Sant’Agostino vi ha scorto il volto della Chiesa dei gentili che si aprirà, per grazia, alla fede in Cristo. Nella Samaritana c’è inscritto anche il volto dell’uomo di oggi, post moderno e post cristiano il quale, pur avendo radici religiose, conduce spesso una vita lontana dalle pratiche della fede.

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Il pozzo dell'incontro
Giunse pertanto a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a fare provvista di cibi (Gv4,5-8).Il luogo e il tempo in cui si realizza l’incontro tra Cristo e la donna di Samaria sono emblematici: Sicar, il pozzo di Giacobbe e l’ora del mezzogiorno.
Per addentrarci nella fitta simbologia di queste annotazioni giovannee, teniamo sullo sfondo un’opera – altrettanto simbolica- di Köder, sacerdote tedesco e affermato artista contemporaneo.

Sicar era l’antica Sichem. All’orizzonte di questa località si stagliano due monti: da un lato Garizim, il verdeggiante monte sacro ai samaritani dove ancora oggi si celebra la pasqua e dall’altro lato l’aspro e brullo monte Ebal. In mezzo il pozzo di Giacobbe, generoso di acque. Nei due monti il simbolo della benedizione e della maledizione e in mezzo l’acqua viva della Parola che domanda una scelta: chi volete servire?
Proprio a Sichem, dopo la morte di Mosé, il popolo sotto la guida di Giosuè rinnovò il patto di Alleanza con il Signore. La domanda che era risuonata allora è la stessa di sempre: scegliete oggi chi volete servire.

Gesù siede sull’orlo del pozzo a mezzogiorno, stanco del viaggio. Köder si pone in una particolare prospettiva ad osservare la scena, quella del pozzo stesso.
Il pozzo, nella storia dei patriarchi era il luogo dell’innamoramento, dell’incontro dello sposo con la sposa. Giacobbe stesso incontrò Rachele ad un pozzo, così Isacco incontrò Rebecca, così Mosé Zipporah.
È; strano qui però vedere una donna attingere acqua a mezzogiorno, quando il sole è allo zenit e l’acqua dovrebbe essere già in tavola o in cucina. A quell’ora, infatti, tutte le massaie sono intente ai fornelli. Solo le più sprovvedute o quante desiderano evitare la folla dei curiosi si recano al pozzo ad attingere acqua in pieno mezzogiorno.
Dietro l’annotazione temporale possiamo dunque già intuire un disagio da parte della donna, un qualcosa di cui vergognarsi che la fa agire di nascosto. Sapremo poi dal racconto che la sua situazione irregolare la rendeva probabilmente oggetto di chiacchiere e di critiche da parte degli abitanti del villaggio.
Allora, come sapientemente sembra suggerire la narrazione pittorica di Köder allo zenit del sole terrestre corrisponde un nadir dell’anima della donna, avvolta nell’oscurità di una vita disordinata, di un’affettività confusa, di una fede incerta.
Köder la ritrae così mentre, avvolta da un alone di luce, si sporge a guardare dentro il pozzo delle sue oscurità.
Gesù le chiede da bere. La stanchezza di Gesù e la sua sete rimandano a un altro mezzogiorno, quello della croce in cui Gesù seduto sul patibolo, luogo della rivelazione del suo amore per il popolo, proclama la sua sete. Una sete «altra», la sete della fede del suo popolo.
La donna, di certo, coglie nella domanda di quel Giudeo un desiderio che va oltre la sete materiale, ma non vuole assecondare questa intuizione. Non vuole incrociare lo sguardo del suo interlocutore: è uno sguardo scomodo che la obbliga a guardare nel fondo della sua anima.
Pertanto di fronte alla richiesta di Gesù la donna si ritrae:
La Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei, infatti, non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore», gli disse la donna, «dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 9-15).
Il comportamento di Gesù è sorprendente, infrange tutte le regole. La samaritana cerca di mantenere le distanze e riporta la situazione entro i canoni del pensare comune: lei è una samaritana, Gesù un Giudeo. Ma Cristo non si arrende: se tu conoscessi il dono di Dio! A questa donna, forse desiderosa di verità, ma chiusa nei suoi schemi Cristo rivela se stesso, rivela il dono del suo Spirito. Egli ha fatto sua la domanda dell’uomo: Cristo ha domandato dammi da bere per far comprendere alla donna che era lei ad avere sete.
Köder intuisce questo e dipinge la samaritana che, mentre si sporge sola dall’orlo del pozzo, vede riflessa nella desiderata acqua non solo la sua immagine ma anche quella di Cristo
Cristo è l’acqua per la sua sete, Cristo è il volto che rivela all’uomo il suo destino. Scriveva sant’Ignazio di Antiochia ai cristiani di Roma: Un’acqua viva mormora in me: vieni al Padre! L’acqua viva è il dono dello Spirito Santo offerto da Cristo ai credenti perché siano spinti verso il Padre, verso cioè la verità di loro stessi e del loro misterioso destino.
Nello specchio d’acqua, in fondo al pozzo, si realizza infatti l’incontro vero. Lì la samaritana non è più sola, Cristo è con lei, lì incontra il suo sguardo, quello sguardo che ha sfuggito e nel quale ora vede riflessa la sua vera identità, vede il dono di Dio per lei.
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Vedo che sei un profeta
Il dialogo a questo punto cambia registro. Cristo adesso agisce più scopertamente e si rivolge alla donna come a un tu preciso,entrando nella sua storia personale.
(Gesù) Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene: Non ho marito; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le disse: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunta l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo» (Gv 4,16-26).
Alessandro Bonvicino detto il Moretto ci offre un’immagine bellissima di questo dialogo. La prospettiva è totalmente diversa rispetto a Köder, siamo all’esterno del pozzo, ma nulla è concesso al paesaggio circostante tutto lo spazio della tela è occupato dai due interlocutori. Gesù, aureolato, è il Kyrios, il Signore, eppure è totalmente sbilanciato verso la donna. Nel gesto impetuoso e spontaneo il mantello rosso della sua umanità scivola via e viene a rivelarsi la sua divinità: il Cristo sono io che ti parlo. La donna è ormai vinta dallo sguardo penetrante del suo interlocutore. Ha lasciato le sue difese, adesso vede:«Signore vedo che sei un profeta». L’anfora è dimenticata, ad essa si appoggia indifferente concentrando tutta l’attenzione nel dialogo con Cristo.

Il Moretto coglie bene la naturalezza e lo slancio dello straordinario dialogo di Cristo con la Samaritana, un dialogo in cui per la prima volta nel Vangelo giovanneo Cristo rivela qualcosa di sé e del suo mistero trinitario. Non è né Garizim, né Gerusalemme il luogo dove adorare Dio. Il Luogo dell’adorazione al Padre è Cristo e il modo dell’adorazione è l’amore che lega i due: lo Spirito Santo.
È una rivelazione unica nel Vangelo. La samaritana ha ormai abbandonato tutte le resistenze. Nessuno le aveva mai parlato così, forse nessuno le aveva mai dato questo credito. Anche lei come Nicodemo aveva tentato di innalzare un ultima barriera: So (oido tanto simile all’oidamen di Nicodemo) che deve venire il Messia, ma quel: «Sono io» cioè «Ego eimi» Io sono, l’impronunciabile nome di Dio sulle labbra di Cristo l’ha vinta.

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Un’esistenza profetica
Il Carracci la ritrae così, vinta.
La Samaritana si trova al centro della scena ormai non guarda più Cristo e nella sua postura si individua l’urgenza della corsa, il bisogno della testimonianza. Cristo è immortalato nel gesto di indicare se stesso con la mano destra, mentre con la sinistra indica l’orizzonte lontano, forse Gerusalemme. I colori dell’abito di Cristo sono rovesciati rispetto al dipinto del Moretto. Il mantello della sua divinità è ormai abbandonato, avvolge il pozzo dell’incontro e l’anfora della donna: la rivelazione è avvenuta. La corda per attingere acqua giace a terra inerte, abbandonata. Ormai l’acqua viva sgorga nel seno della donna e la spinge alla missione. Cristo ha i piedi sulla roccia, è lui quell’acqua viva che sgorgò un tempo nel deserto e che soddisfece la sete del popolo durante il lungo esodo. Il corpo di Cristo è vibrante di luce, una luce che si riflette sulla samaritana. Gli abiti della donna, infatti, sono luminosi, i più luminosi di tutta la scena: ella è investita della luce di Cristo e rivestita della sua santità.

Carracci allarga l’orizzonte della scena. Sopraggiungono i discepoli.
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che cosa desideri?», o: «Perché parli con lei?». La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui (Gv 4 27-30).Al sorprendere Gesù in quel colloquio, nessuno – precisa Giovanni- gli chiese spiegazioni, nessuno lo interrogò. Lo sguardo dei discepoli resta ancorato all’evidenza dei fatti. Il loro Rabbi parla con una donna, per giunta eretica, una samaritana. Essi, pur essendo ormai da tempo suoi discepoli, sono incapaci avere il suo stesso sguardo sulle cose. Il contrasto tra la loro lentezza a capire e la rapidità con cui, invece, comprende la samaritana è sorprendente. Caracci lo esprime mirabilmente ritraendo la donna vibrante di luce e in corsa, mentre i discepoli sopraggiungono con passo lento, quasi furtivo, di dietro al pozzo, alle spalle di Gesù. Il loro gesti commentano puntuali il dialogo.
I discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?»(Gv4,31-33).
Giovanni è in primo piano (lo si riconosce - oltre che per la giovinezza del volto - anche per i colori dell’abito con i quali viene sovente raffigurato: il verde e il rosso) reca nel mantello la provvista di cibi acquistati, tra cui spicca il pane. Dietro si scorge Pietro e, forse, Andrea seguiti da altri due discepoli.
Giovanni guarda la scena con aria interrogativa. Gli altri discutono tra loro quasi a darsi risposte. Restano però ancorati alla realtà materiale, al pane che sporge generoso dal manto dell’apostolo. Gesù invece, come parlava alla samaritana di un’altra acqua (diversa da quella sorgiva del pozzo), parla a loro di un altro pane. Gesù invita i discepoli ad alzare lo sguardo, a riconoscere i segni dei tempi
Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne godano insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e un altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro» (Gv 4, 34-38).
Chi segue Cristo non può rimanere ancorato a vecchi schemi, senza lasciarsi continuamente provocare dalla storia. Una samaritana e con essa poi molti altri, si avvicinano alla vera fede. Questo è il fatto straordinario, questo è il segno che i tempi della Nuova Alleanza sono maturi. I discepoli sono inviati a mietere sul lavoro di un Altro, quello di Cristo stesso e del Padre Suo, i quali operano nei cuori nelle coscienze in modo misterioso prima e più di loro.
Come si scruta l’orizzonte e si colgono dalla natura i segni di ciò che deve accadere così chi segue Cristo deve stare in profondo ascolto e con sguardo vigile per cogliere nella storia i segni dell’agire del Padre.
Significativamente Carracci dipinge Pietro mentre indica un punto lontano dell’orizzonte, verso Gerusalemme. È; lo stesso gesto di Gesù e anche il colore degli abiti di Pietro rimandano a quelli di Cristo. Pietro, pur senza comprendere appieno – esattamente come gli altri-, è già interprete di quella volontà del Padre che è per Cristo il vero cibo e che sarà nel corso dei secoli cibo per la Chiesa.

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv4,39-42). Dietro al pozzo, semi nascosto dalle fronde di un albero (o di un grosso cespuglio) si scorge un uomo, reca una lancia in mano. Non pare un apostolo, forse è uno di quei samaritani che, incuriositi dalla testimonianza della donna, vanno da Gesù.
Questi, come dice il vangelo, crederanno, e non più semplicemente per le parole della samaritana, ma perché, come attestano nel vangelo, «ora sappiamo» «oidamen».
La parabola si chiude. La donna dallo sguardo confuso e turbato, la donna che si nascondeva nella solitudine di un mezzogiorno assolato è uscita in piena luce. Ora ha lo sguardo fiero della testimone, uno sguardo che contagia.
Carracci non narra l’esito del suo annuncio presso i correligionari lascia che ciascuno di noi si senta coinvolto nella vicenda. Vuole che ci immedesimiamo o nello sguardo interrogativo di Giovanni, o nel gesto inconsapevole di Pietro o, infine, nello spuntare timido del samaritano dietro al pozzo. Tocca noi ora scandagliare in fondo al pozzo del nostro cuore e rinnovare lo sguardo alla fonte viva della Parola di Cristo. Tocca a noi abbandonare le cisterne screpolare delle nostre certezze per acquisire la capacita di cogliere i segni dei tempi e conservare uno sguardo profetico sulla nostra storia.