mercoledì 16 marzo 2011

L'uomo che morde la polvere

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Il silenzio e la preghiera erano ciò che il monaco Isacco desiderava di più. Tanto da abbandonare dopo solo cinque mesi la prestigiosa cattedra pastorale di Ninive (attuale Mossoul in Iraq). La fama di questo giovane monaco, molto probabilmente originario del Qatar, infatti si era talmente diffusa nel popolo siriaco che i suoi sostenitori l’avevano convinto, dopo lunghe trattative intorno al 680, ad accettare la responsabilità di una delle comunità cristiane più antiche e risalenti alla predicazione degli apostoli. Ma Isacco non aveva resistito. Convinto che la vera passione educativa per il suo popolo passava di più attraverso la sua testimonianza di dedizione totale a Dio e i suoi insegnamenti forti e decisi. Qui risiede la sorgente della vera speranza nella vita: nella fede e nella conoscenza di Dio piuttosto che nelle vane attese umane. Come lettura della sera...



«La speranza in Dio nasce dalla fede del cuore, è buona e si accompagna al discernimento e alla conoscenza. C'è anche una speranza completamente diversa, che trae origine dall'iniquità e che è falsa.
La vera e corretta speranza in Dio è quella di colui che non si dà preoccupazione alcuna delle cose che periscono, ma si volge completamente a Dio notte e giorno; che è libero da ogni cura mondana per applicarsi assiduamente alle virtù; che dedica tutto il suo tempo alle cose di Dio e per questo trascura il cibo, i vestiti, la preparazione di una dimora per il corpo e così via. Quest'uomo si prepara ciò che sarà davvero necessario, e questa è la vera e saggia speranza.
A ragion veduta uno così spera in Dio, perché si mostra suo servo e compie con ogni cura la sua opera, senza una qualche negligenza dovuta ad una causa esterna. È giusto che Dio dimostri nei suoi confronti una sollecitudine tutta particolare, perché ha osservato il precetto che dice: Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33), e ancora: Non datevi preoccupazione della carne (Rm 13,14). Se ci mettiamo in questa disposizione, il mondo ci preparerà tutto quanto come un servitore, si assoggetterà certamente alle nostre parole come a quelle del padrone e non opporrà resistenza alla nostra volontà.
Per non interrompere il suo continuo stare alla presenza di Dio, il nostro non si concede alla cura delle necessità del corpo: di null'altro si preoccupa, per timor di Dio, se non di essere libero da questo tipo di preoccupazione, piccola o grande, tendente al piacere e alla distrazione. Eppure otterrà mirabilmente tutte queste cose, senza essersene dato pensiero o fatica.
Invece l'uomo che ha il cuore completamente immerso nelle realtà terrene, che sempre morde la polvere assieme al serpente (cfr. Gen 3,14) e d'altra parte mai si dà pensiero di ciò che è gradito a Dio, ma si sfinisce dietro i piaceri materiali, è dissoluto, refrattario ad ogni virtù per l'assidua dimestichezza con la lussuria, propenso a trovare scuse, costui è già perso alla causa del bene per via di questa indolente rilassatezza.
Quando poi si trovasse in qualche ristrettezza o fosse messo alle corde dai frutti della sua iniquità, con che coraggio potrebbe dire: "Porrò la mia speranza in Dio, che mi libererà da ogni affanno e mi presterà soccorso?" Stolto, fino ad un attimo prima non ti sei ricordato di Dio, ma anzi lo hai oltraggiato con la dissolutezza del tuo comportamento e, come sta scritto, per causa tua il suo nome è bestemmiato tra i pagani (cfr. Rm 2,24), e ora ti riempi la bocca con un: "Porrò in lui la mia speranza ed egli mi aiuterà e si prenderà cura di me?" Questi tali Dio li ha svergognati dicendo per mezzo del profeta: Mi ricercano ogni giorno e bramano di conoscere le mie vie, come gente che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del loro Dio; mi chiedono giudizio e giustizia(Is 58,2). A questa categoria appartiene lo stolto, la cui mente non è mai rivolta a Dio, ma che quando è circondato da tribolazioni leva le mani a lui con fiducia. Uno così ha bisogno di scottarsi più e più volte, in modo che un po' alla volta impari la lezione e si corregga. Il suo comportamento infatti non giustifica la fiducia in Dio e per le sue azioni scostanti e la sua negligenza verso i propri doveri merita di ricevere correzione. Ma Dio nella sua magnanimità ha pietà di lui e lo sostiene. Egli perciò non deve abbattersi, ma piuttosto si dimentichi della sua condotta di vita e dica di sperare in Dio.
Da una parte, dunque, non deve stendersi nell'ozio e dire: "Ho fede che Dio provvederà a ciò di cui ho bisogno", come fosse uno che passa la vita nelle opere di Dio; d'altra parte non deve fare la pazzia di gettarsi in fondo al pozzo, mostrando di non tenere in alcuna considerazione Dio. Invece, dopo la caduta, dirà: "Metterò la mia speranza in Dio, e lui mi libererà"».