giovedì 31 marzo 2011

L'atto virile dell'incontro con se stessi.



Per la sera propongo un testo straordinario di Paul Evdokimov (*). Ci si può facilmente riconoscere. Solo che veramente lo si voglia...

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"La vita spirituale ha origine in un avvenimento che viene chiamato "conversione". Un tempo indimenticabile: come una festa illuminata da mille luci, mostra in Dio il volto sorridente del Padre ch esce incontro al figlio.
Questo tempo ha breve durata. Il volto del Padre prende l'aspetto del Figlio e la sua croce getta su noi dal di dentro la sua ombra. Si profila chiaramente la nostra croce e non vi sono ritorni posssibili alla fede semplice e infantile di un tempo. (...) L'esperienza brutale delle cadute e dell'impotenza può gettare ai margini della disperazione. E' grande la tentazione di gridare all'ingiustizia, di dire che Dio ci chiede troppo, che la nostra croce è più pesante di quella degli altri. Una storia antica racconta una rivolta di questo genere da parte di un uomo semplice e sincero. L'angelo lo conduce allora verso un mucchio di croci di misura diversa e gli propone di sceglierne una; l'uomo trova la più leggera, ma allora si accorge che era la sua! L'uomo non è mai tentato al di là delle sue forze.
Dio ci attende al varco di questo momento decisivo. Aspetta dalla nostra fede un atto virile, la piena e consapevole accettazione del nostro destino, e ci chiede di assumerlo liberamente. (...)
"Ama il tuo prossimo come te stesso" (Mt.19,19): questa parola implica un certo amore di sè. E' l'appello ad amare la nostra croce; accettarsi come si è può voler dire l'atto più difficile. E' noto che proprio gli esseri più orgogliosi, più assetati di amor proprio, sono quelli che si sentono più a disagio con se stessi, che si odiano segretamente. Il grave momento dell'incontro con se stessi esige la messa a nudo, la visione immediata e totale di sè nelle pieghe più segrete del proprio essere.
"Chi sa vedersi com'è, è più grande di chi risuscita i morti", dicono i padri spirituali, sottolineando così l'importanza di questo atto. La visione è sempre tremenda; allora si deve contemplare Cristo. E' l'esperienza di san Paolo e di ogni cristiano: "Volendo fare il bene, faccio il male... Povero me! chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?... Gesù Cristo nostro Signore" (v. Rm.7,15-25).
Nel momento pesante della solitudine, soltanto una profonda umiltà può soccorrerci, riconoscendo l'impotenza radicale dell'essere uomo naturale: essa dispone l'uomo a deporre tutto il suo essere ai piedi della croce e allora improvvisamente quel peso schiacciante è Cristo che lo solleva al posto nostro: "Imparate da me... il mio giogo è dolce e il mio carico leggero" (Mt.11,29-30).
Scaturisce così il "fiat": "Sia fatta la tua volontà", io l'accetto come mia, vi scopro ciò che Dio ha pensato di me, vi riconosco il mio destino. L'uomo non è più al centro, è ora felice e leggero: "Sono la serva del Signore", "l'amico dello Sposo esulta di gioia alla voce dello sposo; questa mia gioia è perciò completa" (Gv.3,29)!".
Paul Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968,pp.74-76.

(*): 1901-1970 – Teologo laico russo. Professore all’Istituto di Teologia ortodossa San Giorgio, Parigi