martedì 8 febbraio 2011

La capanna nel bosco

san francesco assisi | Eremita

Stefano di Muret
(+1124)
monaco
Il Martirologio Romano ricorda oggi 8 febbraio Stefano di Muret, eremita e testimone della semplicità e del radicalismo evangelici.
Tutto ciò che sappiamo dei primi trent'anni della sua vita lo dobbiamo al suo biografo Stefano di Liciac. Secondo quest'ultimo, Stefano di Muret, nativo dell'Alvernia, si era recato nell'Italia meridionale a seguito del padre quando era ancora dodicenne. Fu probabilmente in tale occasione che venne a contatto con gruppi eremitici nei pressi di Benevento, rimanendo fortemente affascinato dal loro genere di vita.
Giunto attorno al 1076 ad Ambazac, sulla collina di Muret, nella regione di Limoges, Stefano si ritirò nella solitudine, e a poco a poco si raggrupparono attorno a lui altri amanti della quiete. In pochi anni, il bosco di Muret si riempì di piccole capanne, che diventarono in seguito un monastero d'impronta classica. Qui Stefano fu semplicemente un testimone fedele e autentico dell'Evangelo: a Muret egli accolse ogni giorno pellegrini, viandanti, visitatori di ogni specie, con misericordia e amore per tutti; ma accolse soprattutto i poveri, riconoscendo in essi la visita di Cristo, e i peccatori, verso i quali mostrò la forza della misericordia, infinitamente più grande della forza del peccato.
Stefano morì l'8 febbraio 1124, senza lasciare nulla di scritto. Ma a partire dai suoi insegnamenti orali i suoi discepoli redassero in seguito un'opera spirituale e una Regola.
Alla sua morte, i suoi compagni furono costretti a lasciare Muret per Grandmont, dove diedero vita all'Ordine grandmontano, ispirato alla testimonianza di Stefano, che influenzò in modo significativo la rinascita spirituale del XII secolo.

TRACCE DI LETTURA
Questo era il pensiero del nostro padre Stefano: «Il peccatore che viene da noi, se sente parole crudeli penserà che Dio è crudele e si attaccherà ancor più alla sua iniquità. Darà invece ascolto più facilmente a chi gli annunzia la salvezza dell'anima sua se prima avrà ricevuto quel che gli è necessario per il corpo. Se quindi vanno serviti loro dei beni spirituali perché si liberino dal loro errore, molto più vanno dati loro dei beni temporali perché servano Cristo». E così si rivolgeva ai peccatori, annunciando l'amore di Dio: «Fratello mio, non aver paura. Tu non puoi vincere Dio al punto da aver più potere tu nel peccare che lui nel perdonare. I tuoi peccati sono piccoli nel momento in cui ti converti a Dio».
da Stefano di Muret, L'Evangelo e nient'altro
PREGHIERA
O Dio,
che hai condotto
il beato Stefano alla solitudine
per renderlo padre in Cristo
di molti figli spirituali
e per mostrare loro
con la parola e con l'esempio
la via che conduce alla patria celeste,
accorda a noi che su questa terra
abbiamo gustato il pane del cielo
di conoscere la via che porta a te,
per poter giungere al riposo senza fine.
Per Cristo nostro Signore.




Per chi ha tempo, pubblico il Liber de Doctrina, redatto dai discepoli di Stefano di Muret.



Stefano di Muret


Liber de doctrina





PROLOGO


[1] È proprio dei servi fidati che il Signore ha preposto alla sua famiglia vigilare attentamente sui suoi discepoli perché non decadano dalla loro condizione di rettitudine. Al punto che proprio in questo si crede consista lo strumento principe della salvezza per quanti sono incaricati di tal sollecitudine. La carità del pastore non cerca il suo interesse; tuttavia i discepoli hanno sempre da volgere lo sguardo alla vita del loro buon insegnante che con il beato Paolo può dire: “Fatevi miei imitatori”. Così potranno poi prendere in ogni cosa il necessario esempio per la loro vita. Colui grazie al cui aiuto il Signore dischiude ai discepoli la verità è giusto che dagli stessi discepoli venga amato con le parole e con gli atti al di sopra di ogni altra cosa visibile.

[2] E noi, fratelli di Grandmont, possiamo certamente dir questo di Stefano, venerabile primo pastore della nostra religione.
Benché infatti già da tempo siam venuti alla luce della fede, tuttavia su questo cammino di giustizia che abbiamo intrapreso non possiamo assolutamente avanzare per la giusta strada se non seguiamo chi ci conduce. Lui sa evitare tutte le pericolose biforcazioni. La pecora che, affezionata all’erba che ha davanti, non accetta di seguire il suo pastore desideroso di condurla a pascoli ricchissimi, a un certo punto viene divorata dai lupi; oppure, belando gracile e debilitata senza saper dove andare, rimane esclusa dall’ovile. In verità il discernimento del pastore è di grande salvezza per tutti, e il maestro sapiente è gloria dei discepoli. Le pareti dell’edificio sono salde nella misura in cui non sono in disaccordo con le fondamenta poste dal sapiente architetto.

[3] Nostra massima gioia sia dunque, fratelli amatissimi, dopo aver ricevuto la fede, avere un pastore buono, i cui miracoli non v’è dubbio che appaiano incessantemente ai nostri occhi e rimangano ininterrottamente nelle nostre mani.
Perché cos’altro sono i tributi di cui godiamo e che consentono a noi fratelli radunati in unità e pur così numerosi di esser nutriti ogni giorno? Sono forse il frutto di una sviluppata agricoltura, o è la proprietà di numeroso bestiame, o ancora i profitti che ci vengono attraverso le chiese? O non è invece la pura fede di lui? Noi riceviamo la ricompensa delle sue lacrime e dei suoi digiuni, raccogliamo ogni giorno il frutto della prolungata povertà ch’egli ha abbracciato senza mai stancarsi. Lo vedete bene, ciò avviene in ogni luogo in cui veniamo trasferiti per obbedienza, e in cui non abbiamo il sostegno di beni temporali ma neppure il timore di venir meno, perché aspettiamo soltanto il Signore.

[4] C’è un proverbio che dice: “Di chi mangiamo il pane, di lui tessiam la lode”. Consegniamo dunque alla memoria, dopo la misericordia del Signore, la costanza della fede di Stefano nostro pastore: da essa per grazia di Cristo noi speriamo salvezza eterna. Non occorre dirlo: se qualcuno di noi cercasse di aggredire con una propria personale sapienza la via di libertà di questo nostro padre senza che gli sia stata da lui chiaramente mostrata e assolutamente sbarrata a ogni servitù di cupidigia, con assoluta certezza questi che cerca di aggredirla non riuscirebbe a condurla a termine: lo vediamo in molti che non hanno perseverato nella povertà intrapresa. Perciò dobbiamo venerare con rinnovata allegrezza la memoria di questo nostro patrono.

[5] Diciamo queste cose per rendere i fratelli benevoli e attenti alla lettura di ciò che è deposto nel nostro scritto sull’uomo in questione. Il motivo è semplice: ed è che non può essere amato quanto è completamente ignorato. La fede infatti dipende dall’ascolto, come dice l’apostolo6; tanto più quando la fede è da prestare alla narrazione di quei discepoli che ci han riferito tali cose. Essi hanno conosciuto tutto dal principio per averlo visto e udito, e quanti sono in vita testimoniano ancora della verità delle loro parole mediante le opere.
Certo, su quel perfetto uomo di Dio sono qui depositate molte cose che non tutti possiamo imitare; possiamo soltanto ammirarle. Ma non per questo chi le ascolta deve trascurarle; deve anzi abbracciarle con ancor più vivo affetto, onde conoscere più a fondo grazie ad esse la nostra fragilità e purificare l’intelletto di fronte agli esempi di un sì grande padre. Perché ciascuno avanza tanto più in Dio quanto più osserva la propria bassezza attraverso i beni altrui.

[6] È questa la salda concordia delle membra nel corpo umano: là le mani e i piedi, benché non vedano per nulla, amano tuttavia gli occhi dai quali sono diretti dove necessario. Amiamo dunque anche noi l’altissimo valore del venerabile Stefano, poiché è ad utilità di tutti noi che tanta grazia è stata radunata su di lui dal volere divino. Chi non fa che sottrarsi all’ascolto della parola di verità, difficilmente o mai saprà poi conservarla nel suo operare. Ma ciò è detto per chi si trattiene in tale stoltezza. Rendiamo grazie a Dio perché ai fratelli una simile arroganza è completamente estranea.
Dato che abbiamo suddiviso la trattazione in capitoli, abbiamo disposto gli insegnamenti in brevi successioni secondo quanto richiesto dalla lettura, perché si capisca più facilmente la successione delle parole. Da ora in poi svolgiamo il nostro argomento.




INIZIO DEGLI INSEGNAMENTI


[1] Questa è la dottrina di salvezza di Stefano uomo beato, primo padre della religione di Grandmont, che per quanto ha potuto, su ispirazione di Dio, nei detti come nei fatti ha seguito l’Evangelo di Cristo.
Non c’è altra regola che l’Evangelo di Cristo!
Fratelli, io so che dopo la mia morte alcuni vi chiederanno quale ordine, quale regola voi seguiate. Alcuni lo faranno per imparare, altri per accusare. Ad essi rispondete umilmente: “Voi chiedete quale regola abbiamo. Come se ce ne fossero due! Mentre non c’è che una sola regola, quella dell’unità. Il Signore Gesù Cristo è la sola via per cui si sale al regno dei cieli. È lui la porta da cui ciascuno entra nella chiesa; la grazia e la verità, che è la regola comune, è stata fatta per mezzo di lui, come dice l’Evangelo, non per mezzo di un altro che ce l’abbia insegnata”.

[2] Ma forse qualcuno dirà ancora: “La regola dei monaci l’ha scritta san Benedetto, come dice il beato Gregorio”. È vero, ma questa si chiama regola appunto perché è tratta dalla regola, cioè dall’Evangelo. Anche tutti i cristiani che permangono nell’unità possono esser detti monaci; soprattutto possono esserlo coloro che prestando ascolto all’apostolo si allontanano maggiormente dalle attività secolari e non pensano che a Dio solo. Di fatto, nel primo discorso che Gesù fece ai suoi discepoli, a quanto si trova nell’Evangelo, egli parlò dell’istituzione dei monaci nel momento in cui disse: “Beati i poveri in spirito”: in breve, così egli cominciò la sua regola.

[3] Infatti infinite sarebbero le regole se le facessero gli uomini. Ciascun dottore nel tempo suo ha insegnato di buon grado con la parola o con gli scritti come avanzare verso Dio. Ebbene, se da essi fosse stata fatta una regola si potrebbe dire: “Tanti profeti, tante regole; tanti apostoli, tante regole; tanti dottori, tante regole”. Se qualcuno dice che da san Benedetto è stata fatta una regola, lo stesso si può dire del beato Paolo apostolo e di Giovanni evangelista, che hanno parlato del Signore in modo più ampio e perfetto.

[4] Nella regola di Dio, ciascuno lo capisce, si può essere salvati con la moglie e senza moglie, il che non può accadere nella regola di san Benedetto. E questa è sicuramente una regola di grande perfezione; ma ve n’è un’altra di ancor maggiore perfezione, la regola di san Basilio. Tutto nondimeno è tratto dalla regola comune, cioè dall’Evangelo; e così pure nessun uomo sarà salvato se non uno, che è Cristo Gesù con i suoi membri.
È dunque possibile capire che non c’è che una sola regola. L’ha detto anche il Figlio di Dio: “Senza di me non potete far nulla”. Così è giudicato fuori dalla regola chiunque si separa dal precetto di Dio, e rimane sempre nella regola chi adempie ai suoi comandi.

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1. Come Gesù Cristo dice nell’Evangelo, “Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”, così il nostro pastore diceva a quanti accoglieva nella sua disciplina. Quando qualcuno desiderando andare da lui gli domandava la carità, prima di accordargliela rispondeva in questo modo: “Fratello, come potrai sostenere il peso che vuoi importi? Osserva la croce: è molto difficile rimanervi. Se verrai qui sarai inchiodato su di essa, perderai il dominio che hai su te stesso, sugli occhi, sulla bocca e sulle altre membra”. Abbandonerai la tua volontà riguardo al mangiare, al digiunare, al dormire, al vegliare e a molte altre cose; ciò che nel mondo ami ti toccherà averlo in odio. Da allora in poi non tornerai più alla casa dei tuoi familiari; e se essi verranno a visitarti, a loro non mostrerai assolutamente la tua povertà.

2. “Sarai in grado, fratello, di fare lo zappatore, di portare legna e letame, di servire tutti i fratelli”? E tutto questo sarebbe ancora facile; ma rimarrai preso entro questo carcere, ove non esiste alcun foro per il quale tornare al mondo, se tu stesso non lo farai. Io per parte mia non mi prenderò cura dite né permetterò che tu te ne prenda dite stesso: perché ho tagliato via i miei piedi dal mondo, e se non vi ritorno a causa mia non vi ritornerò certo a causa tua. Ci sarà altro ancora: potrei forse mandarti in qualche bosco, e quei viveri che ti procurerai lavorando di tua mano con la marra di legno magari potrei prenderli io e distribuirli a quelli che qui mi custodiscono.

3. “Resta un’altra cosa, la più terribile di tutte: è cento volte meglio per te essere dannato nel mondo che non qui. Chi infatti cade da più in alto si ferisce più gravemente; e se da qui tu cadessi nell’inferno saresti inferiore a tutti gli altri che si sono perduti. D’altra parte puoi indirizzarti a qualunque monastero, ove troverai grandi edifici e cibi delicati pronti al tempo giusto. Là incontrerai animali e vaste terre, qui solo croce e povertà”.

4. Con tali parole quell’uomo buono lo metteva alla prova per capire se aveva saldo il cuore nel proposito di abbandonare il mondo. L’avrebbe ritenuto simoniaco se fosse venuto in religione con la prospettiva di un qualunque bene terreno. Dopo la sua venuta domandava ancora qualcosa dello stesso genere secondo la consuetudine; e se alla fine quello rispondeva: “Per sopportare tutto questo desidero venire qui, non a crescere ma a diminuire”, il pastore lo accoglieva fra gli altri fratelli e lo istruiva assieme a loro in una comune esortazione con queste parole:


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1. La vita religiosa è grazia, giustizia e custodia. Allorché Dio conduce ad essa qualcuno lo riconduce in paradiso. E così come ad Adamo il Signore proibì quel che non gli era necessario mentre gli concesse tutto il resto, lo stesso fa con quanti vogliono attestarsi nella verità. Finché essi sono contenti di ciò che è loro utile rimangono in pace. Quando invece si protendono ad altre cose che non sono loro di giovamento precipitano nella tribolazione e nella meschinità, come fece Adamo. Chi infatti si rallegra in Dio trova il paradiso dappertutto e abita in cielo”; chi da lui si separa scopre l’inferno in ogni luogo.
Perciò il religioso in tutto ciò che dice e opera dovrebbe meditare sulla presenza di Dio che sempre ha lo sguardo su di lui, come d’altronde i suoi angeli; e come lo stesso diavolo che vuol cacciarlo dal paradiso. Quest’ultimo non è mai disgiunto dal bene, tanto fortemente vuole abbatterlo, e tuttavia ne è interamente separato.

2. E se uno è tanto osservato gli è estremamente necessario essere circospetto e attento: deve quindi imparare a parlare, a camminare, a sedere, a guardare, a operare, a supplicare Dio e a fare ogni altra cosa diversamente da come la faceva nel mondo. Impari a parlare in modo tale da porre un freno al suo conversare, sì che sempre ciò che dice possa esser degno di fede: infatti qualunque parola, qualunque idea il religioso esprima, se non vi è frutto per sé o per altri nel corpo o nell’anima è mondanità. Deve poi muoversi con decoro e senza chiasso, sedere umilmente e raccolto in se stesso, lavorare senza mormorazione e con ordine. Qualora vedesse qualcosa atto a provocare la sua brama tenga gli occhi in carcere per non fissarli là, e distolga la faccia. Quando si rivolge al Signore non faccia fracasso: Dio esaudisce la voce del cuore. D’altronde chi prega in modo da dar fastidio ad altri esclude dall’orazione la carità, che Dio in essa ama in modo particolare.

3. In quanto detto e in tutto il resto bisogna che il religioso si guardi dal dare un esempio cattivo ai fratelli con cui si trova per non scandalizzarli.
Chi non muta la gestualità del corpo al momento di venire in religione non è pensabile che possa produrre un mutamento nella condizione dell’anima; mostra invece che il suo cuore si trova sempre nella vanità del mondo. Perché la pacificazione esteriore rivela talvolta quella interiore: e chi è mondano nelle parole e negli atti, come potrà essere religioso nei suoi pensieri?
È più facile controllare con la volontà le membra del corpo che non il pensiero.


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Le prime insidie mandate dal diavolo all’uomo che viene alla vita monastica tendono a privarlo del bene con cui è venuto: cioè della fede che aveva nel mondo sul bene presente nella vita religiosa. Di questa fede il diavolo vuol privarlo fin da quando vede i fratelli compiere ciò ch’è loro necessario. Infatti il novizio è tentato sui beni che non gli piacciono più che su altra cosa. Ma non è pensabile che vinca la guerra chi ai primi colpi cade e perde le sue armi. Davvero molto fiacco è colui che un debole qual è il diavolo riesce a precipitare.


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Questo dovrebbe meditare il religioso che ascende sull’alto monte. Dio ve l’ha condotto perché combatta con il diavolo e difenda il suo diritto, così come un altro potrebbe incaricarne un suo pugile. Questa lotta comincia alla sommità del monte; ma gli urti avvengono anche nella zona collinosa, e alternativamente c’è uno che prevale e uno che cede, e chi è stato vinto non si sa. Tuttavia un giorno o l’altro verranno al piano, e allora apparirà di chi è stata la vittoria.
Il monte è l’amore di Dio per il quale si disprezza il mondo. In quell’amore non sempre si rimane nello stesso modo, perché si è attaccati dal diavolo. Ma lottando con esso almeno lungo il pendio (che è la fede e le buone opere) l’uomo deve difendere il diritto di Dio. E non c’è nulla di strano che mentre avvengono le colluttazioni il diavolo talvolta prevalga e l’uomo sia tentato con violenza. Il Signore in seguito certamente lo consola con la sua grazia e lo stabilisce vincitore. Tuttavia sarà al termine della lotta, proprio alla fine, che l’uomo potrà porre saldamente il piede sulla gola dell’avversario.


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Quando l’uomo ama il mondo l’avversario se lo tira dietro a suo piacere. Quando qualcuno abbandona il secolo il diavolo, lasciato indietro, lo insegue in molti modi: è infatti chiamato “Mastro mille”. Così viene con diverse pozioni per vedere quale egli accetterà; e quella da cui si accorge che prova più soddisfazione dopo un po’ gliela sottrae lungamente, in modo da abbatterlo poi con essa verso la fine della vita. Intanto, a maggior tradimento, permette che l’uomo rimanga lungamente tranquillo in una vita buona: egli acquisirà una sicurezza tanto maggiore quanto più duri sono stati i combattimenti iniziali.


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1. A causa di ciò è necessaria una grande intelligenza spirituale per evitare le insidie del diavolo: perché esso è sempre accanto a chi è buono ma mai con chi è buono, così come uno interviene a un’assemblea ma non con l’assemblea se vuole disperderla.
Dio dal canto suo, che è presente in ogni cosa, è nell’uomo cattivo ma non con lui perché non è per nulla in accordo con lui, come dice l’Evangelo: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. La pena dell’uomo malvagio anzi aumenta: perché rigetta la grazia divina e non ne vede in se stesso lo splendore, che pur d’ogni parte rifulge agli occhi di quanti volgono ad esso lo sguardo. Parallelamente cresce la corona dell’uomo buono, grazie al fatto che rigetta le tenebre presentategli dal diavolo.

2. Alla fine il diavolo penetra nell’uomo più dolcemente di quanto faccia il miele e il o altra dolcezza materiale. Se infatti al suo primo apparire colpisse con la spada sì da provocar dolore, l’uomo fuggirebbe e mai commetterebbe ciò cui egli lo spinge.
Inoltre il diavolo è tanto astuto da volere che alcuni uomini facciano opere buone, in modo tale tuttavia da poterli tenere in pugno per un solo peccato onde averli in suo possesso alla fine. E quando essi tornano alla loro coscienza il diavolo dice loro: “Non sarai certo dannato a causa di questo. Non vedi? Tu compi queste e queste opere buone. E dopotutto, se hai qualche dubbio al riguardo almeno alla fine potrai confessarti”. Al religioso non dice mai: “Compi questo peccato”, perché sarebbe riconosciuto.

3. Comincia invece a insinuargli: “Se ora tu fossi in quel posto faresti la tal cosa; veglieresti, digiuneresti e parleresti di Dio in quella religione più che non qui, in mezzo a questa povera gente sempre intenta a faticare tutto il giorno nel lavoro come gli altri lavoratori secolari e in più a vivere la disciplina monastica. Oppure, se fossi ancora nel mondo potresti di tanto in tanto venir qui a tuo piacimento”. Con suggestioni di questa sorta fa sì che egli respinga e abbia in odio il bene per cui era venuto.

4. Spesso anche lo invita a cose di cui sa con sicurezza che mai vi si abbandonerà; ma lo fa solo per poterlo trattenere non fosse che un momento lontano dall’amore di Dio.
Se dunque il diavolo lavora con tanta pertinacia a trattenere l’uomo dall’ascendere in cielo donde lui stesso è caduto, senza da questo potersi attendere alcuna utilità, non dovrebbe forse l’uomo che attende la salvezza resistergli con forza, e anzi fare ciò che gli dispiace solo per fargli dispiacere? Ciascuno dovrebbe amare Dio anche se sapesse che non ne avrà alcun’altra gratificazione: così come colui che nel mondo fa la guerra compie molte opere senz’altra utilità che mandare in collera il suo nemico.

5. A tutti i consigli presentatigli dal diavolo così risponda il discepolo: “O nemico, io so bene che sei uno sciocco. Perché parli con me? Ignori forse quel che ho fatto? Mi sono consegnato, non sono mio. Se vuoi farmi guerra, va’ dal mio pastore cui appartengo; ti risponderà lui. Io sto dietro il suo scudo, e le parole di Dio ch’egli mi dice mi proteggono da tutte le tue frecce; quanto maggiore sarà la tua furia nel venire con cattivi pensieri, tanto più gravi saranno lo scorno e la disfatta al tuo ritorno, dopo la tua uscita da noi”.

6. Ancora: il diavolo è tanto scaltro che conduce alcuni in religione e poi li riconduce nel mondo; oppure li tiene entro la cinta monastica tra gli altri fratelli, ma nella disobbedienza perché abbiano una pena ancor maggiore. Infatti l’empio perde Dio molto di più quando rifiuta di emendarsi stando con un uomo giusto che non stando con altri. Così avvenne di Giuda con Gesù Cristo. Altrimenti Dio in questo non vedrebbe nulla più dell’uomo, se soltanto con lo spostamento dal castello al bosco uno fosse buono senza bisogno di buone opere.
Talvolta però il Signore per sua grazia converte colui che il diavolo aveva condotto là e riteneva suo: gli offre l’umiltà con la quale calpesta tutti i lacci di quello, lacci più fitti delle ragnatele che compaiono durante il maggior calore d’estate.
Vi è poi un altro laccio del diavolo, che a fatica può essere compreso e ancor più a fatica evitato. Quando qualcuno ha abbandonato il mondo e con animo retto è entrato in religione, i suoi familiari ogni tanto visitano il luogo in cui si trova. Allora il diavolo comincia a dirgli, sotto una mascheratura di bene: “Devi rallegrarti molto che un così grande beneficio venga a questa comunità grazie a te. Mai nessuno è venuto qui dalla tua patria finché non sei venuto tu; neanche tuo padre e tua madre sarebbero mai venuti se tu non ci fossi”. Chi non conosce le insidie del diavolo prova piacere in quello che da lui gli vien detto, e ritenendolo vero cade nella vanagloria. E non solo questi che riceve la visita dei suoi parenti: anche coloro che parlano con gente del mondo e pensano che a causa loro viene del bene alla comunità cadono in questo stesso vizio.


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1. La vanagloria sottrae all’uomo la convinzione che deve avere su se stesso, sugli altri fratelli e anche sul Signore. Quanto a se stesso, ciascuno deve credere, sapere e riconoscere di essere peccatore più degli altri fratelli. Se infatti è buono vede i suoi peccati meglio di quelli altrui: deve quindi considerarsi inferiore a tutti i predoni e le prostitute credendosi peggio di loro. Né pensi che la grazia divina possa arrivare solo fino a lui. Pensa così nel momento in cui disprezza gli altri. Ma quelli possono sollevarsi dai peccati nei quali si trovano; lui invece dal bene in cui si trova può decadere.

2. Non è dunque gran cosa se si sottomette a tutti i fratelli, che secondo quanto deve credere sono buoni. Egli deve anche riconoscere e amare la loro umiltà: più ancora della propria, dato che la ritiene migliore e maggiore di essa. Questo fa il giusto che è rimasto a lungo in qualche comunità: quanto più in lui è stato ospitato il Signore, tanto meglio comprende e conosce il compito e l’opera che tutti gli altri hanno in religione. Anzi, a ciascuno trova lo spazio che gli si addice, spazio nel quale vede se stesso come nient’altro che un impedimento; ma allora forse Dio in considerazione del suo amore si prende cura degli altri.

3. La vanagloria toglie all’uomo tutta questa sua convinzione. E anche quella riguardo a Dio: perché sottrae al Signore il riconoscimento del bene ch’egli solo opera per grazia e che invece lui crede venga fatto per volere proprio.
È del tutto evidente: ciascuno ambisce ad essere lodato dall’altro e a che quello gli si mostri grato, dato che pensa nell’animo suo: “Questo avviene perché io lo voglio”. Vanagloria! A suo modo di vedere egli ha ciò che in realtà non ha: grandi sentimenti, grandi capacità, e anche discorsi sapienti e numerosissime altre qualità: ma s’inganna terribilmente pensando di avere queste cose. Di fatto non ne ha nessuna. Dio fa sì che molti siano creduti buoni per l’utilità degli altri, che in quelli trovano per sé tanto bene quanto confidano di trovarne. Però costoro che sono oggetto di tanta credulità, se non sono buoni periranno.

4. Tuttavia con tale attrazione, profittando di tale occasione, Dio vuol venire in aiuto ai suoi. Perché dunque nessuno cada in questo laccio diabolico esamini ciascuno le opere che ha compiuto; e se discernerà bene se stesso senza dubbio riconoscerà di non aver meritato altro che il castigo. A questo punto egli creda che dallo stare in religione gli viene del bene solo a causa degli altri che hanno servito Dio con più costanza di lui.
Se poi accadesse qualche avversità ne incolpi se stesso.

5. Infatti nessun discorso, nessuno scritto rende l’uomo tanto prossimo a Dio quanto la conoscenza dei propri peccati, che porta a invocare il suo aiuto. E niente è più accetto a Dio nel giusto che lo ama con forza quanto il fatto che nulla egli trova in se stesso che piaccia a Dio se non l’operare di Dio in lui. Anzi, il giusto in cerca del proprio bene non vuol neppure essere aiutato o salvato da Dio se non per grazia sua. Anche il Figlio di Dio che discese dal cielo, sapendo in qual modo sarebbe stato fatto ascendere lassù disse e insegnò che nessuno sarebbe salito là se non umiliandosi.
Tuttavia la più grande umiltà che si può nutrire di fronte a Dio è ancora superbia: questo l’uomo deve meditarlo. Nessuno è capace di stimarsi tanto miserabile da sentirsi l’ultimo, e se si guarda all’umiltà di Gesù Cristo la propria risulta veramente nulla. Ma se uno tanto ha quanto vale Dio abita in lui e gli conce cede la sua umiltà.


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1. Molti preferiscono esser dannati insegnando che esser salvati imparando. Vogliono esser pastori perché non sanno esser discepoli. Eppure è questa la prima cosa che dovrebbero sapere. Tali sono tutti quelli che appena venuti alla religione cominciano ad andare avanti prima di esser stati capaci di seguire. Se ora qui ce ne fosse uno gli diremmo: “Tu che sei venuto dal mondo da così poco tempo, com’è che pretendi di insegnare ciò che non sai? Non hai forse abbandonato la tua norma di vita per venire non richiesto alla nostra? Quella norma là avresti potuto insegnarcela, se te lo avessimo chiesto. Segui coloro che sono prima di te, essi conoscono quella via in cui tu non ti sei ancora inoltrato: e potrai rallegrarti molto se sarai capace di seguirli. Se invece devii a destra o a sinistra troverai rovi e pruni e briganti che ti tendono insidie”.

2. “Ricordati anche per quali vie camminavi e come ti governavi mentre eri padrone e guida dite stesso; proprio perché non eri capace di camminare hai cercato qualcuno in grado di condurti. Perciò bisogna che lo segua: se procedessi per primo da cieco cadresti in un fosso e gli altri ti seguirebbero. Non sai forse che mai nessun essere creato ha guadagnato qualcosa essendo guida a se stesso? L’angelo buono è diventato il diavolo quando ha voluto governarsi da sé. E Adamo seguendolo è uscito dal paradiso”.

3. Inizialmente tali riflessioni gli sono necessarie perché non rifletta a partire da se stesso: chi vuol seguire il Signore nostro Gesù Cristo deve acquisire un’intelligenza tale da perdere la propria intelligenza e abbandonare se stesso, se vuole trovarsi. In nulla poi faccia rientrare il suo io, se cerca di imitare il Figlio di Dio che spogliò se stesso. Un grande bene è necessario all’uomo, riconoscere che non esiste in lui alcun bene se Dio non ve lo immette e custodisce. Questa è la prima via per la quale Dio viene all’uomo: la cognizione della propria ignoranza.

4. Ma forse, nel momento stesso in cui il novizio si ritrae dal parlare o dall’operare considererà la ricchezza o la potenza, la fortuna o le nozioni culturali che aveva nel mondo. Cerchi allora di ricordare se a causa di qualcuna di queste cose non abbia avuto un maggior potere di operare il male o di allontanarsi maggiormente da Dio. E se può trovare questo nel suo cuore, si penta di aver posseduto una volta una fortuna o una ricchezza tali da contraddire con esse Dio. Si riterrebbe forse più ricco perché nel mondo aveva una maggiore facoltà di compiere il male di quanta ne avesse un povero? Non esiste altra ricchezza, altra fortuna che l’aderire a Dio: chi si separa da lui, qualunque cosa abbia gli si muta in disonore.

5. Nulla di strano se l’uomo naturale venuto da poco alla vita monastica pretende di reggere le membra di Cristo: gli stessi discepoli del Signore avrebbero istruito lui di buon grado se quegli avesse voluto far loro fiducia, e gli avrebbero consigliato di non accettare la morte e la passione. Tale è il parere del mondo riguardo alle faccende della religione, quello che essi davano a Gesù Cristo. E come i discepoli non compresero mai le opere di Dio benché le vedessero, finché non passarono attraverso l’angoscia della morte da lui subita ed egli diede loro lo Spirito santo, così l’uomo che si è a lungo dilettato nei peccati non sa intendere la dolcezza di Dio finché non passa attraverso l’angoscia che la croce di Gesù esige di sopportare.
È per questo che il Signore non diede agli apostoli lo Spirito santo mentre era con loro: perché poi, quando glielo accordò, fu loro accetta la sua morte e il dolore che essi ne ebbero, come anche il fatto che si allontanasse corporalmente da loro.

6. E al modo in cui il legno che è rimasto nell’acqua, appena tolto di là non riesce ad ardere e a far luce finché non sia seccato, così l’uomo, per tutto il tempo che è pieno della linfa dei vizi non riesce ad infiammarsi dell’amore di Dio finché non sia seccato.
Così pure chi ha gli occhi chiusi non può veder nulla, e gli occhi d’altra parte non vedono nulla se non vi è qualcosa che risplenda davanti a loro. Quando però il chiarore fisico si unisce a quello che è nell’uomo, allora egli può vedere. Lo stesso avviene del chiarore spirituale: quando l’uomo ne ha un poco in se stesso, viene percepito anche l’altro di cui ha notizia.
A causa di ciò l’uomo che vive nel mondo, quando gli vien detto di qualche piccola cosa: “Fratello, questo è peccato” non lo riconosce per nulla. Tante altre cose egli ha in sé, ben più autorevoli, apportatrici per lui di chiarezza!...

7. Ma con la stessa forza con cui il novizio difende la sua mondanità, colui che è lungamente rimasto nella giustizia difenda ragionando la sua religione, e istruisca l’altro con le parole e con le opere aiutandolo materialmente e spiritualmente secondo le sue forze. Si dà infatti più fiducia a chi ci fa del bene che a un altro, a meno che non si sia posseduti dai demoni.
Chi poi non dà alcuna fiducia all’altro che lo soccorre in tutti i modi come potrebbe dargli fiducia se gli facesse del male? È somma superbia non emendarsi quando si è rimproverati da un altro; e non è per dimenticanza che uno tralascia di fare una certa cosa che gli è stata mostrata, ma per superbia, che gli toglie la memoria. L’umiltà infatti rimane sempre nel timore di mancare, la superbia non si cura di ciò che le vien detto.


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1. Chi maggiormente ama Dio è più sapiente e più religioso. Ma in nessuna cosa è necessaria all’uomo tanta conoscenza quanto per servire spiritualmente Dio. Il Signore quindi consegna al suo fedele l’attrezzatura e gli utensili necessari al suo amore, così come un ricco munisce la sua casa dell’equipaggiamento a lui conveniente.
Dal canto suo il religioso in nulla è tanto manchevole quanto nella sua incapacità a capire quali siano gli utensili affidatigli da Dio per il compimento del suo servizio. E poiché non li conosce, a un certo punto comincia a lavorare con un attrezzo che non è affatto quello consegnatogli da Dio; si trova subito stanco e dopo un po’ l’abbandona con vergogna. Fa questo allorché si arroga una facoltà spirituale che ancora non gli è stata attribuita tralasciandone un’altra nella quale Dio vorrebbe che si esercitasse.

2. Il Signore infatti non attribuisce a uno solo tutte le facoltà: la superbia lo abbatterebbe se potesse ottenerle a piacere. Dio esercita una grande misericordia quando nega a un uomo ciò che egli implora da lui senza conoscere il male che glie ne verrebbe. Così la madre non vuole consegnare al suo infante il coltello con cui si taglierebbe. Dunque una facoltà è attribuita a uno, un’altra a un altro; e alla fine il radunarsi di tutta la moltitudine appartenente all’unica vita cristiana forma Gesù Cristo.

3. Dio inoltre preferisce rallegrarsi del giusto per un bene che possiede in comune con gli altri nella fede e nell’unità piuttosto che per una facoltà spirituale posseduta in misura maggiore che da essi. Questa infatti non gli gioverebbe nulla senza unità, allo stesso modo in cui a un occhio non giova nulla la capacità di vedere una volta che è stato tolto via dal capo. Agli occhi poi piace la capacità uditiva delle orecchie nella stessa misura della capacità di percezione propria; e per l’unità che sussiste nelle membra l’occhio cammina, il piede vede, la bocca ode, con le orecchie si parla, e se qualcosa è necessario a un membro tutte le altre membra gli vengono in aiuto; se invece uno di essi tralasciasse il compito che gli è proprio non potrebbe far nulla di tutto ciò.
Di conseguenza chiunque sia chiamato ad essere piede, o mano, o altro membro nel corpo di Gesù Cristo, se a questo si sottrae il Signore gli imputa di averlo smembrato, e da tutte le altre membra viene accusato di essersi allontanato da loro e di averle disonorate a misura delle sue forze.
Il Signore poi è tanto sapiente che al suo posto colloca un altro: senza peraltro che a questi vada attribuito alcun favore per il rinnovato onore che ne verrà al corpo di Gesù.

4. Occorre quindi che ciascun fratello metta alla prova le sue facoltà e cerchi per qual parte può andare a Dio. Un viandante quando arriva a una palude prima ne saggia la praticabilità; poi, vedendo che non può passare, si volge verso un’altra direzione. Se infatti cadesse nel fango ritarderebbe se stesso e i suoi compagni di viaggio. Allo stesso modo il religioso deve provare il suo modo di ordinare il corpo e l’anima perché non si facciano ingiuria a vicenda. Nulla infatti può ciascuno dei due sottrarre all’altro di ciò che gli è destinato senza che il danno sia comune ad entrambi. Il corpo per l’anima deve vigilare, digiunare e lavorare. Perché Dio non offre condoni a chi vuol tenere nella giustizia: fino a che i benefici legati al corpo gli sono necessari al pari che agli altri fratelli, egli deve operare secondo le sue forze come essi fanno.
Vi è qualcuno che comincia la vita contemplativa prima di aver conosciuto quella attiva; e quando guarda a se stesso non è né Marta né Maria, perché quanto più è libero dalle opere tanto più accumula pensieri disordinati. Chi non sa prendersi cura di ciò che è minore, cioè di come ordinare il corpo, difficilmente lo farà con ciò che è maggiore, cioè con l’anima.

5. Per questo è necessario che ciascuno si metta attentamente alla prova per sapere con quanto cibo, quanto sonno e quante vesti può sostentarsi rimanendo nella giustizia. Dio è fedele, non crudele; e vuole che senza lamenti del corpo né dell’anima lo si serva nella gioia e nel timore. Chi non è in grado di sopportare le privazioni e di servire Dio solo con il necessario non reggerebbe se mancasse di tutto. Dunque è meglio che ciascuno prenda cibo a sufficienza e sia obbediente, piuttosto che digiuni oltre misura, disprezzi gli altri e trascuri il servizio di Dio. Superare la misura non è affatto astinenza. E per finire, in qualunque modo uno si regoli rimproveri se stesso a partire da quello.


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1. Quando un fratello corregge un altro nella carità come ne è capace e quello va in collera, colui che attua la correzione creda che quella collera è cagionata dal suo proprio peccato, e accusi se stesso perché non ha saputo rimproverarlo in quel modo, con quella delicatezza che avrebbe dovuto usare e grazie alla quale l’altro avrebbe accolto il rimprovero in pace. Per questa umiltà che vedrà davanti a sé Dio lo calmerà, se è stato destinato al bene.
E se poi colui che ha attuato la correzione e si è incolpato della collera dell’altro viene a sua volta rimproverato e di questo si infastidisce, deve credere senz’ombra di dubbio che è preso da tale fastidio a causa del suo peccato.

2. Infatti sempre la verità è dolce, e all’uomo essa è difficile per nessun altro motivo che a causa della ruggine dei vizi che ha in sé: allo stesso modo in cui un malato a causa dell’amarezza in cui vive trova amaro il cibo, che gli sarebbe dolce s’egli fosse sano. Così pure, per l’occhio che non vede non vi è nulla di chiaro. È per questo che il falso religioso non è capace di ascoltare la giustizia: perché teme di essere costretto ad attenervisi con le opere. Difficilmente compirà un’opera chi non è in grado di reggere una parola.

3. Vi è poi qualcuno tanto insipiente da preferire ascoltare in un sermone il rimprovero di vizi di cui non è colpevole piuttosto che di altri che ha in sé e dei quali sarebbe meglio per lui essere rimproverato; nessun rimprovero d’altra parte si riceve tanto bene come quando ci si è rimproverati in precedenza da se stessi.

4. Colui che non vuole esser corretto da un altro fa bene se è un discepolo tale che in lui non si possa trovar nulla di cui rimproverarlo. In verità però la correzione non produce ruggine nell’uomo, ma la sommuove. Come il bastoncino non immette la cenere nella liscivia ma sommuove quella che vi era già per cui la liscivia diventa torbida, così colui cui dispiace venir rimproverato non si è ancora liberato del tutto, dato che è trovato da un altro in quella situazione.

5. Tuttavia nessuno deve cercare di essere né lodato né biasimato da altri. Chi opera consapevolmente in modo da farsi ingiuriare è un insipiente; chi fa il bene volendo esserne lodato è sciocco allo stesso modo. A chi è sgradito essere biasimato è comunque gradito essere lodato.


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1. All’uomo che viene in religione Dio fa questa misericordia, assieme alle altre: ciò che più egli paventa e che gli sembra di non poter tollerare, dopo un po’ glielo cambia nella più grande dolcezza se acconsente alla giustizia. Lo stesso avviene in tutte le cose che si fanno per il servizio di Dio. Invece in ciò che si teme solo marginalmente si trova talvolta la più grande difficoltà.
Ma colui che non vi è ancora passato non può credere a chi glie ne parla. Con quest’esempio potrebbe comprendere: le donne che si dirigevano al sepolcro e volevano ungere il corpo di Gesù Cristo erano più preoccupate di come rotolare via il masso che di altro; di questo scoprirono fin dall’inizio la soluzione, mentre il corpo di Gesù Cristo, che con assoluta certezza ritenevano fosse là, non lo trovarono. E quei discepoli che fuggirono quando il Signore disse loro che se non avessero mangiato la sua carne e bevuto il suo sangue non avrebbero avuto la vita, qualora fossero fuggiti in precedenza avrebbero dovuto ritornare proprio allora, perché Dio in nulla poté mai annunziare loro una misericordia più grande.

2. Ma la verità inizialmente è difficile all’uomo, e tuttavia in seguito si volge in dolcezza eterna; la menzogna e il peccato in un primo tempo piacciono, ma in seguito l’uomo a causa loro cade in un’angoscia perenne.
Colui al quale le regole della vita religiosa riescono difficili dovrebbe pensare alla fatica nella quale viveva quand’era nel mondo, e così sopporterebbe più facilmente la fatica presente. Dovrebbe anzi pensare alla passione che Gesù Cristo subì senza peccato: nulla dunque di straordinario se l’uomo sopporta le miserie che ha meritato e che peccando continua a meritare.
Chi invece rimane nella giustizia, a proposito della tribolazione che gli arriva dica nel suo cuore: “O Dio, sii benedetto perché ora mi difendi da quella lusinga per la quale forse andrei all’inferno”.


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1. È uno sprovveduto quel soldato che senza necessità e ignaro di paura esce dal suo riparo, ove si teneva al sicuro, e va all’esterno fra i nemici che lo assediano facendosi prender prigioniero. Ugualmente il religioso rimane in sicurezza finché sta entro la sua clausura, se l’ha costruita a partire da se stesso: non v’è infatti altra clausura se non quella per cui l’uomo si chiude in modo tale che il diavolo da cui è assediato non trovi in lui aperture di sorta.

2. Qualora un religioso senta che un amico combatte nel mondo con il peggior nemico che aveva là, se si augura che l’amico gravi sul nemico e lo danneggi più di quanto il nemico faccia all’amico egli non è affatto in religione: conduce una guerra nel mondo lanciando pietre e frecce. Fa così perché ha bandito la giustizia dal suo cuore.
È bene dunque che nessuno senta voci dalla sua patria, a meno che non sia in grado di portarle. E dato che si cade a tal punto nelle mani del diavolo con il solo pensiero, vi si cadrebbe in pieno quando si uscisse verso il mondo con il corpo e l’anima.



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1. Dio è tanto fedele a ciascuno che non gli consiglia certamente di dannare se stesso per la salvezza altrui. Anzi, gli ordina di salvare innanzitutto se stesso amando il Signore sopra ogni cosa e facendo buone opere; in seguito porga la mano al prossimo e lo attragga a sé al regno dei cieli.
Quando Dio ordina all’uomo di amare il prossimo suo come se stesso” non oltrepassa alcun limite ragionevole. Comanda infatti di amare in quello nient’altro che il bene: così il bene appartiene a colui che lo ama come a colui che lo fa. Perché mai non si amerebbe ciò che è proprio?
Per questo l’uomo buono, conoscendo le buone opere di un altro, loda il Signore e dice nel suo cuore: “Dio, sii benedetto: perché questo è un bene anche mio, e costui, che si affatica a causa del tuo amore, opera per me al pari che per sé”.

2. Colui che vive rettamente deve poi render grazie al Signore non solo quando conosce il bene dell’altro, ma anche quando ne conosce il male. Si rallegri del bene perché è suo; sia grato del male a Dio perché l’ha protetto da quello di cui ha sentito o da uno peggiore. E anche perché nessuno l’ha danneggiato né lui ha danneggiato un altro, né uno gli ha sottratto qualcosa né lui l’ha fatto a un altro.

3. Perché nulla riesce a togliere all’uomo veramente giusto qualcosa di suo. Se infatti egli gode di una prospera condizione non la ritiene minimamente sua proprietà; quanto alle ricchezze spirituali nessuno può rapirgliele, anzi crescono con il decrescere delle sue condizioni materiali. Come nel caso di Giobbe. Quanto più infatti il Signore vuole che il giusto sia povero e afflitto a motivo suo, tanto più lo arricchisce di beni spirituali in modo da fargli sopportare con pazienza la povertà materiale.


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Da questo si può capire l’amore grande che Dio porta all’uomo: qualunque cosa uno opera, in ambito materiale o spirituale, a sua utilità vera, Dio lo computa a suo favore; quando invece fa ciò che gli nuoce, Dio va in collera con l’uomo perché non vive per lui, e ancor più va in collera per il fatto che l’uomo si allontana da lui in cambio di nulla.
Questo autentico amore che Dio mostra all’uomo, questa grande fatica ch’egli sostiene per lui, più di ogni altra cosa deve portarlo a vergognarsi dei suoi peccati. Infatti a fronte del bene che Dio porge all’uomo anche con l’esporgli il suo interesse, dall’uomo gli vien reso un contraccambio di male. Se viene del bene è Dio solo che lo fa: poiché Dio ama tanto l’uomo che si rallegra nel momento in cui la sua grazia è da lui di buon grado accolta.


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L’uomo vuole avere i beni temporali per godere di essi e per poterne vivere. Vi è infatti una gioia che si ha da un figlio, un’altra da una moglie, e così per ogni cosa. Ebbene, tutta la gioia connessa con queste realtà Dio la accresce in modo incommensurabile all’uomo che lascia il mondo a causa di lui e lo segue: perché gli concede di vincere le tentazioni che gli vengono addosso proteggendolo anche da altre da cui sarebbe prostrato se venissero. La gioia proveniente dalla vittoria che si compie e la conferma di fede che allora il Signore concede al suo fedele riguardo alla salvezza è chiamato il centuplo da Gesù Cristo nell’Evangelo. Infatti si allieta più l’uomo buono in ciò che non ha ma spera di avere in futuro che il malvagio nelle sue sostanze, fossero pure sue quelle del mondo intero.


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È tanto terribile esser separati da Dio che se non lo si vedesse quotidianamente e altri non ne parlasse si stenterebbe a credere che qualcuno abbia il coraggio di allontanarsi da lui.

Dio per grazia ha voluto essere partecipe della povertà e della miseria dell’uomo. Ma l’uomo è così superbo e sdegnoso!... Non vuol essere partecipe delle sue ricchezze e della sua gloria.

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Ecco il motivo per cui, a esclusione di ogni altro motivo, l’uomo giusto crede che Dio lo farà regnare eternamente in cielo: il Signore accetta di umiliarsi al punto da accettar di abitare nell’uomo giusto (che è un vaso di terra) già nel mondo presente.


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L’uomo non può amare nulla con tutto il cuore se non Dio solo. Infatti per quanto uno ami molto qualcosa non rinunzierebbe certo per causa sua a desiderare altro. Il cuore dunque non è interamente colmato da quell’amore, se è capace di prendere ancora di più. Solo l’amore divino colma il cuore espellendone la cupidigia.


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1. Ciascuno dovrebbe grandemente meravigliarsi per la dolcezza dei comandi di Dio. Qualora infatti Dio dicesse all’uomo: “Non esaudirò certo la tua preghiera se non vi sarà molta gente ad ascoltare mentre mi supplichi; non accoglierò la tua elemosina se mentre la fai non verrà vista da molte persone”, sarebbe difficile per lui radunare sempre del pubblico quando vuol fare del bene. Ma dato che Dio ordina di fare il bene nel segreto, è molto più facile che se dicesse: “Non lo accetterò se non sarà visto da tutti”.

2. Allo stesso modo è più facile esser povero e umile che superbo e ricco, se si considera l’attività che l’umiltà e la superbia richiedono. L’umiltà esige che si disprezzi la posizione sociale acquisita, la superbia che se ne raggiunga una non acquisita: il che è più difficile. L’umiltà richiede che ci si corichi in luogo più basso: là ciascuno si accosterà più facilmente quando verrà all’unione matrimoniale. La superbia vuole che si salga più in alto: il che è più faticoso.
E Gesù Cristo dev’essere lodato per tutto questo, perché non ha detto: “Il più florido, o il più eloquente, o il più nobile di nascita sarà il più grande nel regno dei cieli”, ma ha promesso la cosa più grande al più piccolo: è più facile diminuire che aumentare.


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Si vuol seguire piuttosto il diavolo e le grettezze da lui insegnate, che non il Signore e la pace di cui è maestro. Giustamente dunque l’uomo sarà condannato. Perché è più faticoso mentire che dire il vero, dato che la menzogna vuol essere nascosta e coperta per non esser riconosciuta, mentre la verità vuol rimanere nuda e scoperta. Gesù Cristo consiglia di entrare nel recinto delle pecore per la porta: che è più facile di quando il diavolo suggerisce di precipitare laggiù dall’alto.


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Il Signore comanda ai suoi fedeli di tendere ad amarlo in modo davvero libero, fino a porre su di lui le preoccupazioni di questo mondo. Allora egli sarà il loro dispensatore; e poiché li libera da esse fa loro una misericordia più grande che se dicesse: “Procuratevi tutto ciò che è necessario e poi amatemi”.


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Si può capire molto bene la grande dolcezza del Signore se si pensa a quanto dolci siano i suoi precetti ad alcuni uomini: al punto da far loro odiare ciò che più amano in questo mondo, mogli, figli e altri possessi. Anche da questo si può sapere che gli eletti nel regno dei cieli non avranno mai compassione di quanti si sono perduti: dal fatto che già ora in questa vita l’amore divino fa dimenticare ai giusti quelli che amavano secondo il mondo.


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Sarebbe tutto ben più lieve per l’uomo se capisse che può trovare il Signore meglio da vicino che andando a cercarlo lontano: intendo dire in se stesso, che ha più vicino di ogni altra cosa. L’uomo invece è tanto sciocco da voler cercare la gioia e la pace all’esterno, nel nulla, piuttosto che in se stesso dove invece le scoprirebbe.
Inoltre nessuno vuol fare gratuitamente ciò che pure sa con assoluta certezza di dover poi fare in modo ingrato: cioè disprezzare il mondo. Ma difficilmente avrà gioia colui cui è odiosa ogni gioia, intendo il Signore.



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1. È cosa buona rallegrarsi nelle opere di Cristo. Ebbene, questi ha mandato i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi: chiunque altro, se volesse combattere contro i lupi e sconfiggerli certamente non manderebbe in battaglia degli agnelli. Eppure il Signore, per riceverne un più grande onore, ha preferito attaccare i lupi con agnelli piuttosto che con orsi o leoni.

2. E poiché l’agnello non è in grado di sopportare un grande peso, Dio li ha esentati dalle sollecitudini mondane che sarebbero state loro di impedimento: così hanno conseguito la loro vittoria nella pazienza.
La pazienza, virtù che chi ne manca non possiede neppure se stesso. E chi non possiede se stesso, con che cosa servirà Dio!



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1. A motivo della dolcezza insita nelle parole di Dio il giusto è molto contento che il Signore non fissi mai per l’uomo un termine al suo ben fare. Mentre il malvagio accusa Dio perché ignora il giorno della sua fine, il buono lo loda e dice nel suo cuore: “Dio, che grande misericordia fai! Tu vuoi che non si conosca la propria morte ma sempre la si tenga davanti a sé, in modo che ciascuno rimanga teso con più attenzione alla pace del tuo amore”.

2. Non sarebbe infatti verosimile che Dio voglia con tanta forza essere servito sempre dall’uomo se poi gli accordasse di conoscere la propria fine: questi in effetti si separa da lui anche senza bisogno di conoscere il giorno e l’ora.
All’uomo giusto quel servizio è tanto gradito che Dio non gli lascia alcuna pausa nel fare il bene. Se qualcuno gli dicesse: “Trattieniti un giorno solo dall’operare il bene”, sarebbe come se gli venisse detto: “Allontanati dalla gioia e stabilisciti nella collera”.

3. La croce di Gesù è infatti il suo riposo. L’uomo malvagio al contrario dice: “Mi convertirei a Dio se conoscessi il giorno della mia fine”. Ma non si deve credere che effettivamente aderirebbe a Dio se sapesse senza dubbio di avere ancora un anno di vita: perché ora si allontana da lui, eppure non è certo di vivere un solo giorno.


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È davvero un fatto stupefacente che Dio sia necessario all’uomo sempre, che sempre voglia e possa venirgli in aiuto, e che invece l’uomo non lo ami sempre. Ma dato che l’uomo vuol essere salvato da Dio senza un termine e non vuole dopo mille anni essere scacciato dalla gloria, è ingiusto che qualcuno ponga un termine o una parentesi al suo servizio.


28


Colui che dice la verità supplichi Dio che gli accordi di dirla con veracità. Infatti la dice nella menzogna se non si attiene con le opere a ciò che pronuncia con la bocca.
Quando ad esempio nel salmo si dice: “I miei occhi sempre rivolti al Signore”, la parola di Dio è verace. Ma mente chiunque parla così senza essere in accordo con Dio; e il bene non è bene per lui se non ha alcun posto nel suo cuore.

29


Vi sono alcuni che hanno una grande sapienza nel prendere esempio dal male per fare il bene. Come in questo caso: l’uomo che pensa a un tradimento o ad altro peccato sta attentissimo a che non lo sappia qualcuno in grado di impedirglielo, anche se ciò gli sarebbe necessario. Se quello custodisce con tanta cura il male, colui che opera il bene deve porre la massima attenzione a non vantarsene: dalla vanagloria esso gli verrebbe sottratto.


30


1. Chiunque viene in religione, se non è capace di prendere esempio dal bene che l’altro opera almeno deve prendere esempio dai propri mali nei quali si è trattenuto. In questo modo: quella stessa preoccupazione, quella stessa fatica cui si sobbarcava a suo danno la prenda ora su di sé a sua utilità.

2. L’uomo buono deve sempre parlare con Dio o di Dio: nella sua preghiera parla con Dio, con il prossimo parla di Dio.


31


Nulla permette di vedere i propri impedimenti meglio del fatto che non li si conosce. Infatti l’abbondanza dei peccati impedisce che siano visti, e solo quando sono stati distrutti vengono conosciuti. È quel che avviene con le tenebre allorché se ne è usciti: nessuno può vederle finché vi rimane dentro.


32


Chi ascolta la parola di Dio, se ha l’animo buono prima di tutto accusa se stesso a partire da ciò che ascolta. Se invece ha una volontà cattiva rimuove l’accusa da sé ritorcendola sull’altro.



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È segno di maggior perfezione accusare se stesso mentre si fa il bene che mentre si fa il male. Chi mentre compie il male non sa di essere colpevole? Ma mentre opera il bene, proprio allora metta in atto la sua sapienza e pensi a quanto male trattiene in sé. Così, osservando le colpe custodirà le virtù mediante l’umiltà.


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1. Si dovrebbe molto pensare a quanto dolcemente e senza chieder cose difficili Dio si prenda cura dell’uomo. Ciascuno infatti ha più facilità a esaminare se stesso e ad osservare cosa ha dentro - che non a farlo di altri. Per questo viene prescritto dal Signore: perché è un compito più leggero, e anche di maggiore utilità.
Il diavolo al contrario raccomanda all’uomo di lasciar perdere il proprio occhio che ha una trave e di andare a ripulire quello dell’altro. E molti dietro suo consiglio preferiscono andarsene lontano e stare nella confusione curando l’occhio altrui che restare vicino e stabilirsi nella pace esaminando se stessi.
Ma non è verosimile che chi rimprovera un altro per ciò di cui egli stesso è maggiormente colpevole lo faccia per carità: lo fa per odio, o per invidia, o per vanagloria.

2. Ecco dunque un buon consiglio: ogni volta che qualcuno comincia a mormorare contro un altro, torni a se stesso ed osservi i propri pensieri, e anche le parole e le opere. Quando avrà bene esaminato se stesso vedrà l’altro, del quale mormorava, corrergli davanti a tale distanza che mai potrà raggiungerlo: allora piacerà al Signore perché avrà dispiaciuto a se stesso.

3. Ancora: è meglio che uno sia vinto e vinca, piuttosto che vinca e poi sia vinto. Allo stesso modo i soldati che in battaglia prima fuggendo ma in seguito ritornando vincono i nemici hanno maggior onore degli altri i quali mettevano in fuga e poi vengono sbaragliati.



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1. Chiunque è sulla via di Dio deve fare attenzione a non fermarsi per il torpore e a non rovinare per la superbia. Nessuno quando giunge al campo della mietitura ha tutto il carico presso la prima spiga; né san Pietro realizzò l’intero suo guadagno il giorno in cui fu crocifisso: a lungo aveva raccolto spighe, e in quel momento completò il suo fascio.

2. La prima via per la quale si procede verso Dio è lo spavento per la pena: si ha una tale paura di Dio che per timore dell’inferno si rinuncia a compiere il male. Il che è bene. Nessuno però deve rimanere in quest’inerzia. È meglio amare Dio e fare buone opere per amore della giustizia, come faceva Marta che ospitava Gesù Cristo e si prendeva cura di lui a causa dell’amore che gli portava.

3. Tuttavia la superbia talvolta precipita l’uomo da tale bene.
Si dà poi un’altra situazione più eccellente di tutte queste: è il dimenticare ogni occupazione mondana per rallegrarsi soltanto in Dio. Perfetta carità dalla quale non si rovina mai mortalmente dopo che la si è avuta una volta. Chi la possiede ama Dio nella stessa misura in cui si accorge di non poterlo amare. Infatti quanto più ardentemente lo spirito lo abbraccia con il desiderio, tanto più fortemente gli sembra di perderlo, di allontanare Dio da sé.

4. Il Signore infatti non vuole che in questo mondo il giusto sia saziato dall’amore di lui, ma che sempre abbia fame e sete di giustizia. E come il padre che offre al figlio un frutto o altro lo ritrae da lui che cerca di prenderlo sì da suscitare una maggiore eccitazione, Dio ritrae se stesso da coloro che più lo amano sì da suscitare un maggiore incendio. Tuttavia li abbandona solo dopo che sono stati consolati dalla sua grazia.


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1. È meglio per il giusto accettare le elemosine destinate a farlo vivere che non donare. Mi spiego: finché uno è nel mondo, padrone di se stesso, può compiere il male e talvolta il bene quando ha voglia di distribuire elemosine, di mettersi a pregare o di fare mille altre cose del genere. Ma quando questa stessa persona in vista del meglio abbandona il male e il bene che è capace di compiere per offrire se stessa al Signore, non è più in grado di fare delle elemosine tanto ricche e tanto gradite a Dio.

2. Tutti gli elemosinieri per quanto offrano molti averi trattengono sempre qualcosa: se stessi e altro. Ma quando l’uomo ha abbandonato infine se stesso e si è gettato ai piedi di Gesù per ascoltare i suoi insegnamenti e fare la sua volontà, il Signore non gli ordina certo di tornare nuovamente alla sollecitudine di Marta, al bene che potrebbe fare nel mondo. Gesù Cristo ha lodato più Maria assisa ai suoi piedi e intenta alle sue parole, che non Marta la quale serviva e pensava che sua sorella non facesse niente. Per la verità, Maria Maddalena temette che il Signore le dicesse: “Alzati e aiutala”; ma lui non lo disse, anzi la difese, e disse che questa faceva meglio mentre quella faceva bene.

3. In secondo luogo, quando l’uomo buono che Dio ha scelto a propria lode accetta dei beni materiali che gli sono portati dai secolari, egli non riceve nulla da estranei, ma gli è reso ciò che è suo. E non pensa: “Quello o quell’altro si prende cura di me”, ma riferendo le grazie a Dio solo prega per i suoi servitori.
Dio infatti tutto fa per i buoni, di tutto s’incarica; e si prende cura anche dei malvagi che allontanandosi da Dio non hanno alcun diritto sulle loro membra né sul resto, benché abbiano un potere a loro maggior dannazione.



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1. I poveri di Cristo hanno abbandonato se stessi e fatto le più grandi elemosine in loro potere non avendo nulla di proprio: né sé né altro. Devono quindi gioire di non essere atti a dare elemosine più che se nuovamente glie ne venisse data la possibilità.
Vi è infatti qualcuno che perde Dio a causa del bene che è in grado di compiere e compie: quando parla di Dio o elargisce elemosine, che pure sono buone opere, ma realizza ciò per vanagloria. Vi sono altri che acquistano il Signore a causa di un bene che non compiono né possono compiere (così almeno pare a loro). Di tal genere sono questi poveri di Cristo, che osservano gli altri e vorrebbero aiutarli, ma non ne sono in grado perché non ne hanno i mezzi: per cui Dio ascrive loro il compimento di ogni cosa a causa della buona volontà.
E forse se ne avessero la facoltà perderebbero la bontà di cuore: perché nulla quanto la povertà spirituale genera la buona volontà.

2. Se poi costoro che sono liberi cercassero ancora come essere in grado di fare elemosine, significa che non hanno veramente abbandonato se stessi. È come se avessero trattenuto qualcosa per farle. Se avessero veramente abbandonato se stessi non avrebbero né piede né mano né altre membra con cui farle.


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Se tuttavia il pastore (a lui è lecito farlo) dona qualcosa ai poveri di fuori, faccia ben attenzione a non nuocere a quelli di dentro. Dato che tutto il bene che compie è comune ai discepoli, deve badare con cura a non sottrarlo loro. Alcuni infatti vedendo distribuire un’elemosina potrebbero essere contenti sul momento; ma poi potrebbero essere contrariati qualora si trovassero a mancare di qualcosa. Potrebbero quindi lamentarsi e dire “È perché il nostro pastore ha fatto quell’offerta che ora siamo nella penuria”. La natura dell’uomo sapiente è tale che nel momento in cui opera il bene sta ben attento a non nuocere a se stesso o a un altro.


39


Chiunque indica un buon esempio ne è ricompensato da tutti coloro che ascoltano, buoni e cattivi. Dai buoni perché lo seguono; dai cattivi perché non vogliono seguirlo mentre potrebbero farlo da sé. Dio gli ascrive la salvezza di tutti loro: infatti la pace che dagli uditori non è accolta torna al predicatore, se questi è fedele.


40


Se qualcuno di sua volontà abbandona i suoi peccati più gravi è molto gradito al Signore; ma se in lui era degna di biasimo la facilità alla chiacchiera o alla collera o altra cosa del genere, a Dio è ancor più gradito che egli distrugga ciò che lo perseguita ad ogni momento. È questo il rinnegare e l’abbandonare se stessi.


41


Se l’uomo soggetto a dannazione vedesse le pene e i tormenti dell’inferno, di che tipo essi sono, che cosa dovrà soffrire, non oserebbe neppur contrarre le sue membra e morirebbe sul posto per il terrore; chi invece va verso la salvezza, se vedesse le gioie celesti, di che genere sono, che cosa possederà, trasmigrerebbe subito per la dolcezza. Non può infatti una realtà corporale sopportare in questa vita una realtà spirituale tanto da penetrarla con lo sguardo.


42


1. Dio ha immesso amore nell’oro, nell’argento e nelle altre realtà terrene perché l’amore di lui ne fosse più prezioso e di maggior merito a quanti l’avrebbero avuto. Quando infatti qualcuno vuol rivolgere la sua brama a qualcosa di questo mondo, da Dio gli vien data una scelta. È come se dicesse: “Scegli quel che preferisci: o me che sono Dio o quella realtà temporale. Se scegli me io ti darò più di quanto tu possa mai bramare; se scegli l’altro perderai tutto”.

2. Tuttavia il Signore è sapiente nel concedere all’uomo ciò che gli è necessario; e nessuno sarà mai condannato se anche ammasserà tutte le sostanze che potrà mettere assieme ma in modo tale da non far danno in primo luogo a se stesso e poi agli altri. Il Signore dispone infatti che allo stesso modo in cui le sostanze vengono radunate vengano pure spese. Chi ammassa in modo perverso e ingiusto distrugge poi rozzamente; chi invece ammucchia giustamente, con l’aiuto di Dio spende per cose buone.

3. Né cessa di esser povero in spirito colui che brama solo ciò con cui poter servire Dio, che in nessuna parte del suo cuore accetta che da qualcosa in suo possesso altri sia danneggiato o lui stesso sia allontanato dai precetti di Dio.
E sempre, quando uno sta per peccare, più che ad ogni altro danno dovrebbe pensare: “Non lo farò mai perché l’amore di Dio me ne sarebbe diminuito”. E per questo timore sarebbe protetto da Dio. Porterebbe la vergogna prima del peccato, non il peccato prima della vergogna.


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1. Dio consegna il suo bene a ciascun uomo a determinate condizioni. È come se gli dicesse: “Vieni in mio aiuto con questo bene per quanto puoi; e se operi secondo le tue forze, io che sono Dio condurrò a termine ciò che tu non sei in grado di fare, ti salverò per grazia mia e ti ascriverò tutto ciò che hai fatto. Se invece con quel che ti ho affidato non mi servi, qualora io ti donassi di più sarebbe a tua perdizione”.

2. Perciò colui al quale Dio ha concesso più che agli altri deve cercar di capire in ciascun dono ricevuto il proposito che ha mosso l’operare di Dio. Se ha una fortuna pensi che gli è stata consegnata da Dio per la cura dei suoi poveri. Riguardo ad essi Dio spera e confida in lui; se dunque permette che conoscano l’indigenza lo fa perché il ricco li nutra per lui. Così deve credere.
Ogni fortuna, ovunque si trovi, appartiene sempre a Dio.

3. Quando d’altra parte qualcuno la muove e la dona a un povero, Dio in quest’atto non considera nulla se non la volontà. A nessuno è dato di fare una tale massa di elemosine da raggiungere il cielo; ma la buona volontà penetra tutti i cieli, se l’elemosina è offerta solo per procurare una lode a Dio. Ed è certo che il ricco guadagna di più con il povero che non il povero con lui.

4. Così pure, chiunque è forte nel lavoro manuale o sapiente nella parola creda che anche altri hanno meritato la sua forza e la sua sapienza, e che essa gli è stata donata da Dio tanto per sé quanto per gli altri. Lo stesso deve pensare delle singole virtù.

5. Insomma, il bene giova all’uomo quando egli lo rimuove da sé, nella coscienza che gli è stato consegnato da Dio perché con esso serva gli altri. Deve dunque aver piena coscienza di poter essere condannato a causa delle virtù che possiede, se non le custodisce dalla superbia affinché l’altro ne tragga giovamento.
Il male invece ciascuno deve accostano a sé accettando di esserne toccato in infiniti modi. Sia cosciente di averlo meritato e Dio lo renderà immune da esso perché se ne è accusato.


44


L’uomo può vedere meglio ciò che è di ciò che non è. Dunque conosca il suo essere peccatore e conoscerà la verità. In nessun modo si creda giusto, perché sarebbe menzognero. In ciò consiste infatti tutta la giustizia dell’uomo: nel credere che Dio solo ha la giustizia.


45


1. Dopo che uno è stato sepolto non ha nessun amico che gli sia tanto affezionato da non separarsi da lui e tornare a casa. Invece non sono lontani i demoni, che vogliono impadronirsi dell’anima. Però l’elemosina, lei sola, non si separa mai da lui, se da lui è stata fatta. Anzi, lo precede e pone l’anima dietro di sé. Intanto prepara il suo scudo contro i demoni che cercano di fare irruzione. E mentre li respinge dice loro: “Mi vedete? Sono qui”. Poi dice all’anima: “Non temere”. Giunti infine in giudizio davanti al Signore, il diavolo presenta i suoi capi d’accusa e dice: “Mi è stata devota così e così”. Ma l’elemosina risponde: “Qualunque cosa abbia fatto, io la rendo immune da tutti i suoi peccati”.

2. È dunque bene acquisire un tale socio. In verità è molto avaro chi nega a Gesù Cristo il pane e il vino. Queste cose non sono in proprietà se non per farne distribuzione, dato che lui stesso ha dato la sua carne e il suo sangue in favore dell’uomo.
Vi sono di quelli che provano solo per il condimento dei cibi, che sia di loro gusto, una sollecitudine maggiore che per la loro anima, e sognano di avere le mani piene di ricchezze; ma quando tornano in sé e quando poi partono da questo mondo non trovano altro che vanità.


46


1. Lo sciocco e il sapiente sono fra loro in disaccordo su molte cose, ma soprattutto su una. Lo sciocco nel momento in cui opera il bene non considera in ciò la volontà di Dio, ma la propria. Se però vuol donare la sua elemosina a chi non ne ha un vero bisogno e potrebbe averne danno, Dio standogli di fronte gli risponde: “Che stai per fare di quelle sostanze che ti ho affidato? Dove vuoi gettarle? Soccorrimi qui, in questo povero in cui più sono afflitto dalla fame, dal freddo e dalla miseria, in cui sono privo di chi mi renda visita”. Ma lo sciocco risponde: “Dovrei soccorrerti qui dove vuoi tu? Poverino chi fa così! Dovrei andare ad aiutarti proprio là dove non me ne renderai nessuna grazia?”.

2. Questo dice con le opere. Infatti l’elemosina che dona non gli gioverebbe a nulla, gli sembra, se non la lasciasse andare in vista di quella che sta per essergli fatta dall’altro. Ma così Dio gli risponde: “Se tu facessi come piace a me io ti loderei e ti farei lodare da tutti i miei angeli; ma poiché agisci così secondo le tue decisioni non avrai quello che cerchi”.
In tal modo lo sciocco costruisce sulla sabbia; e non appena qualcuno dice ch’egli ha fatto bene, la pioggia della lode umana per piccola che sia trascina via l’intero edificio”.




47


1. L’uomo sapiente per contro medita di tanto in tanto su una piccola cosa: “Donerò questo per l’anima mia. Ma è davvero una cosa da nulla! Ecco, se posso farò almeno secondo il volere di Dio perché non sia annullata proprio del tutto”.
Se invece ciò che vuol donare è qualcosa di grosso, l’uomo prudente bada attentamente a non disperderlo con una scelta fatta per convenienza. Dice allora in cuor suo: “Dio, dove preferisci ch’io ti renda questo? A quale delle tue membra è più necessario? Vorrei dare a lui”.

2. E mentre cerca di capire questo, l’elemosina cresce, fiorisce e fruttifica in mano all’uomo sapiente.
Quando poi uno dona la sua carità a un povero pieno di ritegno mostrerà grande compassione nel porgergliela a sua volta con pari ritegno, stando attento a non essere riconosciuto. Dio infatti manifesta il bene che viene occultato facendo invece dimenticare quello che viene ostentato.

3. Chi dunque vuol essere onorato ponga tutta la sua attenzione nel Signore, applicandosi sempre ai modi di far crescere il suo bene.


48


1. È meglio venire in aiuto ai poveri estranei che ai propri parenti. La santa Scrittura non proibisce per nulla l’aiuto a chi è vicino, anzi, lo permette. Tuttavia la carnalità trascina l’uomo a quell’amore per cui la sinistra finisce per sottrarre qualcosa alla destra: il che Gesù Cristo proibisce.

2. Inoltre è cosa buona andare incontro a tutti coloro che invocano aiuto, orfani e vedove e anche altri poveri in ciò che richiedono; ma molto meglio e più accetto a Dio è che si venga in aiuto nel corpo e nello spirito a colui cui si domanda la salvezza dell’anima propria.


49


1. Al momento di intraprendere il bene è necessaria una non piccola riflessione, e una grande fermezza mentre lo si compie per non abbandonarlo finché non sia stato portato a compimento.

2. Così, chiunque desidera recarsi a pregare a Gerusalemme o presso qualche santo deve prima riflettere sul complesso dei doveri cui sarebbe tenuto verso la sua chiesa, in offerte o altro, nel tempo che gli occorrerà fra l’andare e il tornare per le preghiere. Quel debito sia da lui saldato prima di partire. Perché Dio non incoraggia certo a fare del danno a causa di un bene che l’uomo vuol compiere: al contrario, lo proibisce. Questa è la prima giustizia: evitare l’ingiustizia.
Di conseguenza egli deve prima di tutto saldare il suo debito verso la chiesa di cui è figlio. Molto s’inganna chi opera il bene per nulla. Fanno questo quanti non esaminano in ciò la volontà di Dio. Invece in seguito a un tal comportamento Dio certamente accoglierà con maggior favore tutto il bene compiuto e la fatica sopportata durante la peregrinazione: a causa della giustizia da lui fatta verso la propria chiesa. Anzi, ogni ufficio divino che vi si farà sarà suo.

3. A questo punto, nel partire per le preghiere così deve pensare nel suo cuore: “Ma io dove voglio arrivare? Con quel santo non parlo di niente, e anche lui non mi dice alcunché. O Dio, perché mi reco in quel luogo? Perché lui ti ha servito. Farò la stessa cosa”. E con quest’animo può rimanere; o se vuole, può partire per quel luogo.


50


1. Questa è l’ultima forma di superbia che avviene alla fine: l’abbandonare il proprio cimitero per farsi seppellire in un altro. Chi lo fa rinnega tutto il bene che aveva ricevuto nella sua chiesa, ove pure andava a chiedere consigli quando voleva correggersi e risollevarsi dai vizi.

2. Perché nessun pellegrino è maggiormente nel giusto di colui che si reca alla propria chiesa. Anche da questo si può capire la misericordia che Dio mostra ai poveri: dal fatto che questi vengono seppelliti dove devono.


51


1. Dei peccati che si fanno molti si fanno per incredulità. Quante volte uno vuol fare un peccato ma un precetto divino gli dice: “Non farlo”! L’uomo che pecca è da un lato trattenuto dalla coscienza, ma d’altro lato non vi crede per nulla. Chiunque sta per perdersi non ha mai creduto alle gioie celesti né alle pene infernali, benché ne senta parlare, le legga nelle Scritture e fors’anche le annunzi agli altri.
Dio infatti non ama che i suoi segreti siano conosciuti dai suoi nemici: allo stesso modo in cui il secolare non li confida a quanti gli sono sfavorevoli e dai quali è ogni giorno contraddetto.

2. Per contro il Signore conferma il suo fedele, quando gli piace, nella fede e nell’amore del bene, talvolta di più talvolta di meno. Quando questa fede e quest’amore si allontanano da lui egli almeno ricordi di averli avuti una volta: e Dio ve lo ricondurrà, se si tiene lontano dal male.


52


Nulla di peggio per l’uomo che aver avuto durante questa vita tutti i suoi beni; nulla di meglio che aver avuto tutti i suoi mali. Perché colui che ha avuto tutto il suo bene, per quanto esso sia durato l’ha avuto mentre era di passaggio, e più gravose da subire saranno le angosce in cui sarà in eterno. L’altro che è passato attraverso i mali riceve i beni con gioia più grande, e tutta la fatica sostenuta gli è gradita per la pace in cui rimane.
Così Abramo rispose al ricco che veniva tormentato nell’inferno: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i beni durante la tua vita, e Lazzaro parimenti i mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”.


53


Se qualcuno degli eletti morisse prima del giudizio per subito risorgere, e avesse fatto un peccato del quale gli fosse necessario purificarsi, morendo subirà nello spazio di un momento una pena tanto grande e tanto prolungata quanto quella che sopporterà per lo stesso peccato un altro che sia rimasto mille anni o anche più nel fuoco purgatorio. Se così non fosse, Dio avrebbe bisogno di tempo per fare la sua giustizia; invece egli può operare più di quanto l’uomo possa dire o pensare.


54


1. Lo sciocco è inquieto sull’uomo buono, quando lo vede stare in qualche luogo senza nulla realizzare: “Che fa?”. Potrebbe capirlo da quest’esempio: un qualsiasi lavoratore del suolo che vive su un piccolo pezzetto di terra torna per tutto il giorno su quel che ha da fare, ma non per questo è ozioso. Perché allora a proposito di colui che rimane con Dio e che mediante il pensiero cammina con Dio per cielo e terra si dovrebbe pensare che manca una realizzazione?

2. Infatti per quanto angusto sia il luogo in cui vive, l’uomo buono si trova in ampi spazi a causa della carità che ha ospitato. Il malvagio invece non può star comodo neppure entro un intero regno: vi sta allo stretto a causa dell’ira che porta contro l’altro.


55


1. Tutte le azioni che si fanno sono buone oppure cattive a seconda dell’intenzione. Giuda e i Giudei si occuparono per quanto fu loro possibile della morte di Cristo, dalla quale il mondo fu redento; ma non ne trassero alcun giovamento perché l’intenzione era perversa. San Pietro e gli altri discepoli furono rattristati dalla morte del Signore; ma da quella tristezza non ricevettero alcun danno perché fu buona la comprensione del fatto.

2. Per questo quando si raffigura la croce si dipinge Adamo ai piedi del crocifisso. Egli rappresenta tutti i giusti che erano all’inferno aspettando la morte di Cristo a loro liberazione, e molto si rallegrò quand’egli ne portò l’annuncio. Ecco perché Adamo leva le mani al Signore: per la gioia che lo invade a causa del suo essere in croce.
Invece la madre di Dio e san Giovanni evangelista, che sono dipinti accanto, erano tristi per la sua passione, erano dispiaciuti della loro salvezza. Quanto poco capisce l’uomo in questo mondo!


56


La debolezza di san Paolo era per lui la chiave delle virtù. Come un ricco conserva il suo tesoro in qualche luogo segreto, sicuro e solido, e poi rinforza la porta perché nessun ladro possa entrare, così ha fatto Dio in Paolo, il suo diletto. Ha messo in lui tesori di sapienza e poi ha rinforzato la porta portando via la chiave; e quando l’apostolo gliel’ha richiesta non ha voluto consegnargliela. Il tesoro sarebbe stato diminuito se Dio l’avesse guarito dalla sua debolezza.


57


Vi è qualcuno cui conviene operare il bene con la certezza di perderlo. Chi giace in una colpa e non vuole lasciarla non cessi per questo di compiere il bene che potrà. Anzi, lo faccia con accresciuta diligenza fino a dire in cuor suo: “O Dio, io realizzo questo bene; ma so con assoluta certezza che sarò dannato per l’eternità se sarò trovato nel mio peccato. Tuttavia faccio il bene perché tu mi conceda di avere in odio la colpa”. E in virtù di questa fede Dio lo strapperà dal peccato, e allora ricupererà tutto il suo bene che aveva fatto in antecedenza.
Viceversa, se pensasse di essere salvato rimanendo nella colpa sarebbe incurabile. Vi è infatti la speranza che operando il bene si possa attendere da Dio la salvezza; è invece decaduto dalla speranza chi compiendo il male ritenesse di essere salvato.


58


Fa più danno sulla terra uno sciocco cui ci si affida che un esercito straniero. L’esercito infatti dopo pochi giorni se ne va; la devastazione operata dallo sciocco invece dura molto tempo. Per questo Salomone dice: “Guai al paese che ha per re un ragazzo!”


59


1. Tutti i peccati dispiacciono al Signore; ma in modo particolare gli dispiace che uno pecchi per la speranza di fare il bene.

2. Ad esempio qualcuno vuol compiere una grande opera, come abbandonare il mondo o altro. Preso da una speranza di questo tipo, prima commette una colpa dicendo in cuor suo: “I peccati nei quali sono preso li abbandonerò poi tutti assieme”. Così facendo vieta in certo senso al Signore di condurlo al bene cui pensava, e si comporta come uno che si voltola nel fango volendo fare il bagno. Dovrebbe piuttosto lavarsi i piedi per poter entrare nel bagno senza sporcizia addosso.


60


1. Chiunque accetta l’usura è nel peccato; e chi la dà lo è allo stesso modo. Accade così: per intemperanza uno ha fatto una spesa in cibo, vesti o altro che i suoi mezzi non sono in grado di reggere; mentre potrebbe benissimo sostentare in qualche modo la propria vita con ciò che possiede. Quando subito dopo a causa di quell’eccesso corre dall’usuraio egli pecca con il denaro che gli dà allo stesso modo dell’altro che l’accetta.
Nessuno infatti avrebbe mai bisogno se restasse nella moderazione. Una colpa poi spinge a un’altra colpa, e non sarà mai fuori del bisogno chi spende sempre i suoi redditi prima di averli.

2. In molti modi si pecca praticando l’usura, ma particolarmente da parte di chi riceve i pegni. E dopo averli raccolti, verso la fine della sua vita così egli dice a suo figlio o a quello cui vuole lasciarli (lo dice con gli atti, che parlano più efficacemente di un discorso): “Figlio, io sto per morire. Finché ho vissuto ho contraddetto Dio e non mi è bastato. Ora però lascerò te come vicario al mio posto, perché tu lo contraddica con questa stessa usura”.

3. Di costui si può dire che anche dopo la morte continua ad essere usuraio, e ininterrottamente dà il suo denaro a usura. Qualunque cosa si guadagni al di là di ciò che viene consegnato è usura.

4. Ancora, uno reclama in eredità il peccato del padre, le decime ch’egli ha sottratto o qualche terra. Questo è per lui dello stesso giovamento che se pretendesse in eredità l’inferno. Sappia dunque con piena coscienza che non vi si è mai trovato: se ci fosse stato un solo momento, mai vorrebbe tornarci, per tutto l’oro del mondo!


61


1. L’uomo saggio fa attenzione alle sue parole, prima di pronunziarle. Invece lo sciocco, che non si preoccupa dei suoi ragionamenti, quando sente parlare delle buone opere di un altro dice talvolta: “Dio dev’essere molto grato a costui, che ha realizzato tanto bene per amor suo”.
Sciocco, perché dici questo, che Dio è grato all’uomo per il bene? Dio sarà forse grato all’uomo perché vede con gli occhi, o parla con la bocca, o cammina con i piedi? L’uomo piuttosto renda grazie a Dio perché gli concede di muoversi, di parlare e di vedere, e allo stesso modo perché gli offre la possibilità di compiere opere buone.

2. Dice ancora lo sciocco di quelli che hanno sconfitto i loro nemici facendoli prigionieri o uccidendoli: “Costoro hanno condotto a termine qualcosa di utile per loro”. Sbaglia chi dice così, che l’uomo procuri la sua utilità: perché invece si allontana da Dio e acquista l’inferno. Non si sentirebbe ciascuno ingannato se gli fosse strappato anche un solo membro del corpo? Che accadrà dunque di colui che uccide il corpo e l’anima sua?


62


Tutto ciò che l’uomo largisce sarebbe necessario per lui che lo possedesse nella giustizia; altrimenti, che almeno mettesse nell’elargizione del pane (le elemosine si fanno più spesso con il pane che con altre cose) ciò che possiede più giustamente. E chi non vuole abbandonare ogni male nell’immediato, almeno ne lasci una parte. Così l’uomo saggio deve istruire l’uomo malvagio. Se non riesce a convertirlo pienamente gli mostri come fare qualcosa di bene pur nella malvagità, e quello gli presterà fede più che se gli dicesse di abbandonare interamente il male.


63


1. È mirabile saggezza, molto gradita a Dio, che l’uomo pur nel partecipare a opere malvagie si trattenga dal male. Ciò può esser fatto in questo modo: un soldato parte per una spedizione nell’interesse del suo signore naturale cui non ha la possibilità di sottrarsi. Se vuole aderire a Dio, all’inizio dica così nel suo
cuore: “Signore Dio, io andrò a questa spedizione; ma dichiaro qui che sarò soldato vostro, a nulla intenzionato nel corso di essa se non a compiere il vostro servizio, a disperdere il male e a ricercare il bene: da questo momento e luogo, per quanto potrò”.

2. Con quest’intenzione intraprenda la partenza, andando avanti come se volesse prendere tutto. Ma quelli che vedrà li faccia fuggire perché non siano presi; se poi un altro volesse prenderli, il soldato di Dio li prenda lui per primo e poi li lasci andare. Difenda dal male i suoi compagni e anche gli altri, per quanto potrà. Così potrà essere un monaco che porta lo scudo legato al collo; e rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.

3. In ogni caso ci si guardi bene dal fare elemosine frutto di rapina: si pecca più gravemente nel donarla ai poveri che nello strapparla agli altri. Mentre infatti la strappava non dubitava che fosse male; quando invece la distribuisce ai poveri ritiene grazie a questo di essere libero. Ma viene accolto da Dio come chi avesse ucciso un figlio sotto gli occhi del padre e poi glie ne portasse il sangue da bere in una coppa d’oro.
Lo strappare è d’altronde un peccato più grave del rubare, perché vi è maggiore superbia.


64


In nessun modo ci si può vendicare tanto bene del proprio nemico che strappandogli ciò con cui rivolge il male contro se stesso. Se gli venisse reso male per male, crescerebbe la malvagità; e uno non ne sarebbe certo vendicato, ma l’avrebbe soltanto accresciuta. È evidente che nessuno trae le sue vendette in modo tale da far crescere l’offesa invece di diminuirla.
Chi per contro rende al suo nemico bene per male è pienamente vendicato della malvagità, perché l’ha distrutta strappandole il luogo della sua abitazione che è l’animo dell’altro. Questi talvolta si converte al bene; o se non si converte la pena dell’inferno crescerà moltissimo per lui, e così l’altro sarà grandemente vendicato.

65


1. II Signore dice nell’Evangelo a chiunque vuol fare un’offerta: “Se presenti la tua offerta sull’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro dite, lascia li il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello”. Ciò dev’essere compreso in due modi. Il primo è che chi ha fatto ingiuria deve ricercare la pace mediante un giusto giudizio, e non avrebbe raggiunto una grande perfezione, anzi peccherebbe, se non si comportasse in tal modo.

2. D’altra parte, quando un altro gli avesse fatto ingiuria e in seguito colui che l’ha fatta fosse ancora malevolo, è per lui perfezione ricercare la pace. Così si comportò Gesù Cristo sulla croce: perdonò ai suoi crocifissori prima che glielo richiedessero. Perciò in quel discorso evangelico dobbiamo credere ch’egli ordina e vuole lo stesso comportamento.

3. Ancora: se uno avesse fatto ingiuria a un altro ma poi gli domandasse perdono, e questi non volesse assolutamente accordarglielo, Dio volgerebbe su di lui la sentenza che era su quello per il male commesso. Non vi è alcun peccato che equivalga a una raccomandazione a Dio di non accordare il perdono, come lo è il rifiuto a perdonare il proprio nemico.


66


1. Talvolta il cervello umano cade nella confusione, la sua ragione si altera. Allora l’uomo rinnega, bestemmia, ignorando ogni bene e anche se stesso. Se venisse a morire in quello sconvolgimento non si deve credere che per questo sarà condannato, se prima mentr’era padrone di sé non era nel peccato e se preservato dal male aderirebbe a Dio. Dio è fedele, lo giudicherà secondo la memoria della sua sanità.

2. Ecco un consiglio necessario per chi è prigioniero di questa infermità: non lo si conduca a cercar guarigione presso i santi o altrove se non quando ne è in grado. Il popolo infatti riderebbe di lui e nelle chiese perderebbe la preghiera. Egli poi verrebbe frustato e il suo cervello cadrebbe nella più totale confusione; crescerebbe quindi l’infermità, e questo è un grave peccato. Dovrebbe invece essere tenuto alquanto appartato in qualche casa, protetto con delicatezza dal freddo e dal caldo, e i suoi amici preghino per lui.


67


1. Qualche laico per difendere i suoi peccati dice talvolta: “E perché peccano i chierici, che pure sanno le Scritture e i segreti di Dio?”. A lui l’uomo saggio risponda così: “Amico, visto che riconosci la colpa dei chierici, in questa materia sei più sapiente di loro: perché dunque non ti guardi dal fare ciò di cui biasimi l’altro? La scrittura del cuore che Dio ha immesso in te ti mostra sempre quel che devi lasciare e compiere: tu quindi pecchi consapevolmente come se fossi un chierico”.

2. Sappi con assoluta certezza che mai ti sarà utile che un altro perisca e tu lo segua. Per questo nessuno potrebbe richiedere un rendiconto più sciocco di quello di chi dice al suo pastore: “Sarò richiesto a te se mi indurrai alla perdizione”.


68


1. Molto spesso l’uomo si lamenta più di ciò che non gli gioverebbe (e di cui Dio non gli richiederà mai nulla) che di quello per cui sarà condannato. Di questa specie è colui che dice: “Non ho sostanze con cui servire il Signore e fare elemosine”.

2. Ebbene, l’uomo sapiente gli mostri ch’egli è molto ben fornito. Come? Gli dica così: “Tu dunque, fratello, che sei così povero, a che prezzo daresti via un piede o qualcuna delle tue membra?”. Forse risponderà: “A nessun prezzo, signore”. Allora: “E gli occhi, per quanti soldi permetteresti che ti fossero strappati?”. Difficilmente dirà: “In cambio di tanto”. Allora l’uomo sapiente potrà dirgli: “Sei davvero molto ricco, visto che non daresti quel che possiedi neppure in cambio di molti soldi”.
Custodisci dunque con cura le tue membra; ma amale in modo tale da non perderle eternamente nell’inferno.


69


1. Quando uno arreca del male ai religiosi e questi lanciano clamori a Dio leggendo maledizioni per i malfattori, così facendo proibiscono quasi al Signore di far giustizia. Dio, che già era pronto a castigare, risponde loro: “Allora tornerò indietro, poiché non mi avete aspettato e vi siete vendicati da voi stessi maledicendo”.

2. Prima invece bisognerebbe incontrarsi con il malfattore sul motivo per cui ha compiuto quell’atto. E se lui rispondesse di aver agito per il bisogno in cui si trova, la comunità dovrebbe soccorrerlo; se invece l’avesse fatto per arroganza, l’intero monastero dovrebbe supplicare il Signore con tutto il cuore perché lo perdoni. E Dio o lo convertirà o intraprenderà senza indugio la propria giustizia nei suoi confronti.


70


1. Al pastore è lecito mandare il suo discepolo da qualunque parte per prendersi cura della sua religione. Se però il discepolo si reca a Gerusalemme o presso un qualunque santo a pregare, rinnega deliberatamente la sua vita ignorando il bene cui era venuto. Infatti non può portar là del denaro se non l’ha rubato agli altri nell’arco di molto tempo. D’altra parte, come può incamminarsi per Roma o altrove chi si è tagliato via i piedi?

2. Per finire: se il pastore e l’intera comunità assolvono il discepolo disobbediente perché parta e vada là, per loro è del tutto impossibile che soltanto quello si allontani da Dio senza che al tempo stesso tutti siano partecipi del peccato. E il discepolo andrà all’inferno libero dal peccato, come gli sembra, dato che è stato da loro assolto. Se fosse scomunicato, sarebbe subito colto da timore e forse ritornerebbe.

3. Se poi è il pastore che per pregare se ne va da qualche parte, egli perfora la recinzione con piena coscienza senza accettare nessun freno, e con ciò dice a tutti gli altri di fare lo stesso.


71


Quando uno ascolta la parola del Signore, anche qualora non arrivi a tenerla a mente tutta, se gli è gradita gli è utile, così come se la rifiutasse gli sarebbe vana. Ciascuno tuttavia dovrebbe sforzarsi almeno quel tanto da tenere a mente ciò che può far vivere l’anima fino al momento in cui sentirà nuovamente parlare di Dio: fare cioè come chi sedendo a mensa prende tanto cibo da poter giungere al pasto successivo.
Mangiare è infatti necessario sia al corpo che all’anima, e nessuno dei due può vivere a lungo dacché il cibo gli è venuto a mancare.


72


1. Con molti esempi si può capire. Uno misura il bene che fa raschiandolo, un altro accumula, qualcuno pone addirittura un supplemento. Quando il bene si fa con cautela, senza grande voglia, lo si fa raschiandolo; quando l’opera buona provoca piacere, il piacere e la soddisfazione è un cumulo di bene. Qualcuno poi prova dispiacere al pensiero di una maggiore perfezione perché non ha fatto meglio: ecco il supplemento. È un bene di tal fatta, accumulato, scosso e traboccante, quello che l’uomo deve rendere al Signore: questi l’ha riscattato con il carissimo prezzo del sangue.

2. Va detto ancora che il male quando dà piacere cresce al pari del bene: per questo è un peccato più grave uccidere il proprio nemico che l’amico. Infatti per l’uccisione di un amico non vi è nessuno che non sia sdegnato, e si è perdonati da Dio perché ci se ne pente di cuore. Invece dall’aver ucciso il proprio nemico si trae un tale piacere che ben difficilmente sarà possibile ottenerne grazia. Anzi, dopo aver ricevuto il giudizio canonico l’uccisore dice ancora in cuor suo: “Dio, sii benedetto perché mi hai condotto alla penitenza per questo peccato. Ma provo davvero un grande piacere che sia morto quello che mi faceva del male”. E finché ragiona così è lontano come non mai dalla penitenza.

3. La penitenza infatti, consistente nel pentirsi, Dio la concede all’uomo solo per grazia sua. Quindi il presbitero che fa il giudizio prima interroga il peccatore se abbia in sé la penitenza, se gli dispiaccia del peccato. Se quello risponde: “Non me ne pento affatto”, che pena può dargli se non si pente? Se invece dice: “Mi pento”, può giudicarlo e concedergli la penitenza che Dio gli offre, cioè che sempre se ne penta.


73


1. Si fa più fatica in un bene piccolo che se il bene fosse grande. Infatti il bene piccolo non conduce l’uomo alla perfezione dell’amore di Dio, nella quale è il riposo; il bene grande invece ve lo fa pervenire.

2. Cosa rispondere a chi chiedesse qual è il bene piccolo e quale il grande? Chi fa buone opere lo può vedere in se stesso, poiché a un altro non è possibile saperlo. Se quel bene gli dà piacere e mentre lo compie egli rimane in pace, è grande; se invece gli dà dispiacere ed egli è nell’inquietudine, è un bene piccolo.


74


L’uomo che è nel male piange per l’ira e l’ansietà, quello che è nel bene piange talvolta per la gioia e la dolcezza. Ma colui che è nel male dal tormento in cui si trova non vuole affatto uscire fino a morire: teme infatti che all’inferno gli verrebbe accresciuto. Invece il giusto dalla dolcezza in cui rimane desidera migrare per la speranza di averne una maggiore.
Ciascuno è in grado di capirlo: grande sarà la gioia quando l’uomo riderà con Dio, se al presente è già così grande mentre versa lacrime.


75


1. L’uomo che è nel bene e l’uomo che è nel male sono simili in molte cose. Entrambi possono vegliare, digiunare, fare elemosine e compiere moltissime altre cose buone. Ma chi è nel bene è capace di perdonare di cuore, chi è nel male no.

2. Se si dicesse a un uomo ricchissimo: “Fa’ un’offerta altrimenti sarai ucciso”, quegli la farebbe senza difficoltà per salvare la vita. Ma se qualcuno dicesse a un povero: “Da’ mille marchi d’argento o sarai impiccato”, questi potrebbe anche essere impiccato, ma non li sborserebbe mai perché non li ha.
Allo stesso modo l’uomo buono può permettersi tanta generosità nel bene perché non gli è per nulla pesante perdonare di cuore; la condiscendenza lo pervade in modo tale che egli condona prima ancora di esserne richiesto. Il malvagio invece è tanto povero nel bene che non riesce proprio a compierlo, e neppure a credere che venga realizzato dal buono.

3. Vi è poi chi per superbia respinge la grazia che gli è fatta dall’uomo giusto, e dice: “Non mi importa del tuo perdono”. Ebbene, chi offre il perdono a chi non vuole riceverlo agisce come se gli soffiasse carboni ardenti sul capo e sulle spalle: tanto si accresce la pena dell’inferno a chi vive nella superbia e nel rifiuto.


76


1. Da questo si può capire quanto grandi saranno le pene che l’empio dovrà patire. Dio vuole che i suoi fedeli sopportino tribolazioni in questa vita per la redenzione dei loro peccati: lui che ad essi ha donato anche la sua morte e la sua sofferenza a loro redenzione. Quella morte non è di nessuna utilità a quanti vanno in perdizione; anzi, accresce loro la pena. E per i loro peccati essi non accettano quel po’ di sofferenza che Dio potrebbe accogliere; anzi, per quanto possono continuano a peccare, mentre i giusti se ne guardano. È facile dunque immaginare che riceveranno una grande pena; ma la voglia di peccare toglie loro il timore della pena.

2. Dio è tanto fedele che preferisce sentirsi chiedere qualcosa di grande piuttosto che di piccolo. Quando gli si chiede il bene minore, cioè le ricchezze di questo mondo, presto o tardi si viene respinti. Se invece qualcuno gli domanderà nel modo giusto il bene maggiore senza dubbio egli lo darà: si tratta del suo regno. E per attirare al meglio sottrae a volte il peggio.

3. Chi sta saldo nella pace e nella gioia pur senza avere il necessario per il suo nutrimento non è ancora un perfetto astinente, tuttavia fa bene. L’astinenza perfetta si ha quando uno ha davanti a sé ciò che il corpo desidera e tuttavia se ne trattiene e non se ne serve. In questo vi è maggiore astinenza: nel perseguire meno i beni di questo mondo.


77


1. Nella grandezza del bene risiede talora la grandezza del male. Infatti chi più conosce il Signore (la qual cosa è la grandezza del bene) manca più gravemente quando si discosta da lui. Per questo fu così grande il peccato del diavolo: perché conosceva tanto a fondo il Signore. E in seguito il peccato di Adamo: perché si trovava in un bene così alto. Lo stesso avviene per ogni uomo. Più Dio lo gratifica dei suoi beni nel corpo o nello spirito, maggiore è l’affronto che quello gli fa quando si discosta da lui.
Anche questo deve infondere un grande timore in ogni uomo: il fatto che l’angelo buono a causa di un pensiero cattivo è diventato il diavolo ed è caduto per l’eternità. Che avverrà dunque dell’uomo che ogni giorno pensa e opera il male?

2. L’uomo malvagio che ad un certo punto si astiene dal male ritiene di fare per il Signore un bene maggiore che non il buono teso assiduamente al bene. Quanto più infatti uno è giusto, tanto più considera privo di valore tutto il suo bene, pur avendolo più caro di ogni altra cosa.
Pare che in ciò vi sia contraddizione, ma si spiega così: chi più si adopera per il Signore e si affatica in buone opere, lo Spirito santo lo incita a stimar poco le opere che fa in quanto si sente incapace di far meglio; e gli sembra di essere trattenuto perché non riesce a compiere tutto ciò che gli suggerisce la volontà del suo spirito.

3. Il Signore dunque fa sì che l’uomo giusto stimi poco il proprio bene per non perderlo, ma che al tempo stesso lo ami tanto da non volere in alcun modo esserne separato. Chi non lo capisce non ha capito molto dell’amore di Dio.


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1. L’uomo giusto ha un grande timore riguardo ai beni in cui si trova e che potrebbero accusarlo di fronte a Dio: molto più che riguardo alle colpe commesse mentr’era nel mondo. Infatti riguardo a quelle colpe ciascuno sa che sono perdonate, a condizione ch’egli se ne penta e non vi ritorni più. I beni invece l’uomo può perderli in molti modi: se per essi disprezza l’altro, o pensa di averli per virtù propria; o ancora se crede che Dio li abbia dati da fare a lui perché ne è degno, oppure se ritiene che in seguito ad essi Dio sia tenuto a salvarlo; o se ambisce ad essere lodato sottraendo a Dio l’onore che glie ne è dovuto, oppure fa tutto per qualche altra rimunerazione che può avere nel mondo.

2. Uno può essere dannato in molti altri modi a causa dei benefici di Dio, a causa della santa sua Scrittura, a causa dei sacramenti della santa chiesa: perché vi si può accedere essendo indegni. Sarà più grande la pena di chi si perderà per il bene e per il male, come accadrà ai falsi cristiani, che quella di chi sarà condannato solo per il male, come avverrà agli increduli.

3. Il Signore protegge il suo fedele da ogni insidia che impedisce il bene: di ciò questi gli è riconoscente e lo loda più che per il perdono delle colpe commesse mentr’era nel mondo. La stessa remissione infatti sarebbe per lui di condanna se poi egli non venisse difeso da Dio: come nell’Evangelo avviene per il servo che non vuole rimettere il debito all’altro.
Dio è un custode tanto sapiente da non permettere che al suo bene si unisca il male. Quando però qualcuno attribuisce quel bene a se stesso Dio lo abbandona nelle mani del nemico. Molto s’inganna chi è riprovato a causa del suo bene.


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Uno sciocco può dire: “Mi basterebbe rimanere un anno in religione, quel tanto perché alla fine il Signore mi trovi intento alle buone opere e io possa stare tranquillo”. Così gli deve rispondere l’uomo sapiente: “Fratello, vuoi che Dio ti escluda dopo mille anni dalla sua gloria? O non vuoi piuttosto che ti salvi per l’eternità?”. Forse risponderà: “Desidero la salvezza”. “Allora, se vuoi esser salvato da Dio senza termine di tempo ma per sempre, perché vuoi interporre un termine o una pausa al servizio che gli rendi?”.


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1. È grande stoltezza differire alla fine della vita la confessione dei propri peccati, il rapporto con il Signore, le elemosine. Si contraddice il Signore appassionatamente e con tutte le forze per trenta o quarant’anni, e poi si vuole che Dio perdoni tutto immediatamente. Ci si dovrebbe invece adoperare a costruire la concordia con un impegno almeno pari a quello con cui ci si era adoperati per la discordia: perché si impiega più tempo a lavare un oggetto che a macchiarlo.

2. Infine va detto che per nessun’opera è necessaria all’uomo tanta integrità e tanta forza quanto per pregare Dio e amarlo con tutto il cuore. Quando dunque il corpo cede e la memoria diminuisce, come si rivolgerà egli a Dio, come lo confesserà? Si fa più fatica ad aprire soltanto gli occhi quando si è molto malati che a camminare un giorno intero quando si è nel pieno delle forze. E non è indice di grande senno dire: “Io pregherei Dio se non fossi malato”. A colui che ha agito bene il Signore risponderà: “Perché cerchi ancora altre preghiere invece di me? Io sono qui con te, e conduco a termine il mio compito proprio”. Se invece si è comportato con negligenza Dio gli dice: “So bene come ti comportavi quand’eri sano.

3. Neppure sarebbe all’uomo di giovamento avere nel momento della propria fine la possibilità che venga fatta per lui un’elemosina o qualcosa che lo metta al coperto. Gli servirà più una sola elemosina fatta da lui sano che un gran numero fatte dopo la sua morte. Difficilmente si sarà amati da un altro più che da se stessi.

4. Taluno infatti è tanto sciocco da pretendere che tutto ciò che possiede, grande e piccolo, sia buono; e per contro, dell’anima che ogni cosa governa dice attraverso le opere: “Questa sia di chiunque riesce a prenderla”. Perché quando non custodisce se stesso dal male la consegna al potere del nemico.


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1. È molto gradito a Dio che ci si converta a lui in ogni ora e in ogni età. Ma soprattutto mentre si è giovani e il corpo è fresco e il sangue è ardente è gradito al Signore che si cominci a servirlo, trattenendo le membra dal male che possono compiere e convertendole al bene. E allora che si è sacrificio vivente e gradito a Dio”.

2. Ciascuno dovrebbe dunque affrettarsi al compimento delle buone opere, perché chi perde una preghiera o un altro bene mai lo ricupererà: il tempo trascorso non torna indietro. E l’uomo renderà ragione al Signore non solo dei pensieri superflui, dei discorsi vani e delle opere cattive, ma anche delle opere buone che dovrebbe compiere mentre commette le cattive.
Ogni volta che non si compie ciò che si sa gradito a Dio si pecca mortalmente; e anche di questo solo peccato non si è capaci di far penitenza se Dio non ci perdona per grazia.

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1. L’uomo giusto talora è toccato da grave tentazione nella sua preghiera. Ed ecco che quand’egli dice: “Signore Dio, aiutami”, le tentazioni in lui crescono. Ma il Signore gli risponde nello spirito: “Ora ti aiuto. Quanto più fortemente sei tentato tanto meglio ti soccorro, perché non permetto che tu sia vinto dalle tentazioni. D’altra parte non puoi ricevere la corona se non hai lottato secondo le regole”. Che ti farebbe una consolazione ora, prima che tu oltrepassi le tue angosce e conosca quanto ti sono necessario?”.

2. Proprio così: Dio è fedele, e non vuole caricare il suo giumento, per quanto forte lo veda, al punto che gli si spezzi la spina dorsale; né lo sferza al punto da abbatterlo, ma in modo da ricondurlo sulla via e farlo camminare più speditamente.


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Si può dire che l’uomo giusto è tentato più fortemente di un altro: nel senso che le tentazioni gli dispiacciono di più. I suoi pensieri non sono peggiori di quelli degli altri che seguono la loro cattiva volontà; ma quanto migliore egli è tanto più gli dispiace il cattivo pensiero, per cui quando commette opere cattive si ritiene più colpevole di un altro.


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1. Dio è contento quando l’uomo buono sopporta le tentazioni nella stessa misura in cui è contento ch’egli si rallegri per le visite della dolcezza divina. Si può capire con quest’esempio. Uno ha moglie, e in sua assenza un terzo parla di adulterio con lei ma essa non vi acconsente. Al suo ritorno non la ama certamente meno; è anzi contento che si sia difesa, tanto quanto lo è della gioia ch’essa prova per la sua venuta.

2. Oppure dei soldati addetti a una qualsiasi opera di fortificazione si difendono da qualche esercito in assenza del loro signore. Quando questi arriverà sarà contento che si siano difesi tanto quanto della gioia che proveranno per il suo arrivo. Così Dio è contento quando l’uomo buono sopporta le tentazioni e poi si rallegra di Dio stesso.



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1. Vi è qualcuno cui è meglio essere allontanato dal bene che dal male. All’uomo buono non è necessario che si dica: “Guardati dall’omicidio o da altre colpe”. Se è buono se ne guarda con tutte le sue forze.

2. Ma quando opera il bene, allora di tanto in tanto il pastore da cui è guidato deve dirgli: “Potresti far meglio così”. In tal modo il discepolo custodirà maggiormente l’umiltà perché viene rimproverato e allontanato anche dal bene.



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1. Da ciò si può vedere il bene dell’umiltà: nessuno è tanto peccatore che Dio non lo renda giusto se si umilia di cuore. Così Dio valorizza grandemente le forze positive del giusto nel cancellare tutti i mali del peccatore. E se tanto gli è gradito che il peccatore si accordi con lui, gli sarà immensamente gradito quando si umilia il giusto.

2. La superbia per contro quando si introduce nell’uomo buono ne distrugge le positività. Si può dunque immaginare che i malvagi li renda ancora peggiori.

3. L’uomo deve molto amare di vivere a lungo in una vita buona: Dio infatti gli dona molti giorni con tanta grazia che se un malvagio ne avesse solo uno alla fine della sua vita senza dubbio sarebbe salvo. Grande sarà dunque il premio del fedele che ogni giorno guadagna il regno di Dio; il malvagio invece nello stesso tempo acquista l’inferno.

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1. Da questo il religioso conosce i peccati in cui si trovava nel mondo: accade che un giorno egli pianga e si accusi con tale forza che Dio lo rende immune da ogni colpa. E dopo questa buona disposizione del cuore trova ancora in sé peccati innumerevoli commessi il giorno stesso in cui è stato colto dal pianto, anche qualora dopo il suo pentimento non sia incorso in una mancanza specifica. Da questo può capire i peccati in cui si trovava nel mondo quando non si accordava in nulla con Dio.

2. Altro è vincere se stesso, altro esser vinto da se stesso. Chi calpesta i vizi soggioga se stesso, chi dai vizi è abbattuto da se stesso è debellato.



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1. Vi sarà questo di meraviglioso nella gioia celeste con tutti i buoni: che tutti gli eletti vi si troveranno alla pari. Nessuno precederà un altro in quanto nato e morto prima; a nessuno parrà di esserci arrivato tardi. Tutti assieme vedranno come grazie alla divina provvidenza essi si trovassero nel regno dei cieli prima che il mondo fosse creato.

2. Conosceranno anche in qual modo perdettero per il loro peccato quella gioia che poi Dio per grazia rese loro. E così come loderanno il Signore perché la loro salvezza sarà senza fine, lo loderanno anche perché mai ebbe inizio al cospetto di Dio.



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1. Dio sarà onorato allo stesso modo nei reprobi e negli eletti. Una qualsiasi potenza combatte contro un’altra. Se riesce a debellarla in combattimento e a metterla nel proprio carcere otterrà tanto onore per la sconfitta dei nemici quanto per il premio che darà a chi l’ha aiutata. Così Dio sarà lodato per la pena inflitta agli uni come per la salvezza donata agli altri.

2. E vi sarà ancora altro: cioè che il Signore farà misericordia in quelli che periranno. Non a loro, ma in loro. E agli altri che la farà. Se qualcuno distrugge un feroce predone, nell’atto di distruggerlo fa al popolo un grande atto di compassione perché quel malvagio l’opprimeva. Allo stesso modo il Signore nei reprobi farà misericordia ai suoi eletti, perché allontanerà questi da quelli, i quali in tal modo non potranno più affliggerli.

3. Questa misericordia Gesù Cristo la fece ai suoi discepoli quando corporalmente si staccò da essi ma rimosse Giuda dal loro consorzio: troppo li avrebbe tormentati se vi fosse rimasto. Tuttavia finché come Dio si trovava corporalmente presente permetteva che Giuda portasse via il denaro per la spesa: in tal modo gli altri sarebbero stati liberi, e d’altra parte il ladro sarebbe stato occupato in quel nulla nel quale aveva l’animo suo.


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1. Beato colui del quale nessuno vede i peccati tranne lui stesso e Dio. Questa è una delle grandi prove di misericordia che Dio procura a chi lo ama. I vizi ch’egli ha in sé, Dio non li distrugge certo in radice finché egli vive in questo mondo. Ma li ricopre, al modo stesso in cui il fuoco è ricoperto dalla cenere; e nessun altro li vede tranne Dio e l’uomo buono. Quando però il servo di Dio li riconosce egli dissente da se stesso, e quella discordia è l’inizio della pace.

2. E alla fine il bene che Dio infonde in lui per sua grazia lo mostra al popolo, facendo sì che l’uomo giusto venga lodato per cose che non lo riguardano affatto. Ma ogni onore spetta al Signore; nessuno sarebbe stimato buono se l’altro vedesse ciò su cui talvolta medita.

3. Spesso infatti uno è visto dove non è e non è visto dove è; il corpo è visto nelle buone opere, ma il cuore è lontano da esso. Per questo Dio fa grande misericordia: perché nasconde i pensieri dell’uomo.


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1. Talvolta all’uomo dispiace la misericordia di Dio, talvolta la sua giustizia. Mi spiego. Può capitare che da qualche parte ci sia un empio, e che il popolo dica: “Perché mai Dio sopporta la malvagità di costui? Non dovrebbe sopportarla”. Ma tu che ti lamenti, che dici di te stesso? Non hai mai fatto qualcosa da insensato? E se l’hai fatto vuoi che Dio ti disperda? Mi risponderai: “No”. Dunque, se non ti dispiace esser tollerato da Dio, perché accusi la sua misericordia verso l’altro? A te è necessaria nella stessa misura. La malvagità dell’uomo ti deve dispiacere, ma la misericordia di Dio devi ammirarla e lodarla con tutto il cuore.

2. Per un altro verso dispiace all’uomo anche la giustizia di Dio. È certo che ciascuno dovrebbe amare il Signore sopra ogni cosa. A chi però non lo fa, almeno piaccia sempre quell’amore che gli viene elargito dall’alto. Se poi neppure questo gli piace con vera passione, cerchi di fare in modo che non gli dispiaccia: questo gli basterà.
Qualcuno però potrebbe rispondere: “A me non dispiacerà mai l’amore che Dio mi mostra”. Allora cerchi di capire: l’uomo cade in questo non‑piacimento ogni volta che gli dispiace la disposizione divina e la giustizia in cui Dio vuol tenerlo, nella malattia o nella povertà come nelle difficoltà che gli manda perché abbandoni il male e faccia il bene.

3. Perciò una facoltà è necessaria all’uomo più di ogni altra: che in rettitudine di cuore si accordi con tutte le azioni e le parole di Dio e non ne biasimi nessuna. A ciascuno devono dispiacere le opere proprie perché sono tutte inutili; mentre vanno lodate quelle che sono di Dio dal quale nasce ogni bene.

4. Chi ignora questo accusi se stesso: il motivo per cui non lo capisce è che i suoi peccati lo trattengono. E da nulla si può sapere di esser peccatori meglio che da questo: che non si vedono i segreti di Dio, i quali pure sono più chiari del giorno a quanti vivono rettamente.



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1. Quando Dio salva un giusto che si è mantenuto a lungo in una vita buona gli fa tanta misericordia quanta ne fa a un peccatore che si converte verso la fine della sua vita. Qualcuno potrebbe chiedere come può essere: la salvezza del peccatore, che non ha affrontato per essa alcuna fatica, non è una misericordia più grande di quella del giusto che si è lungamente affaticato? A costui noi risponderemmo così: “La salvezza del giusto è una misericordia non solo altrettanto grande, ma più grande ancora. Infatti è certo che il giusto sarebbe incorso negli stessi peccati nei quali è caduto l’altro, o in altri peggiori, se non fosse stato sempre trattenuto dalle mani di Dio”.

2. Perché la corruzione dei vizi è in tutti gli uomini. In due modi dunque Dio fa la sua misericordia al giusto: quando lo protegge perché non pecchi, e quando gli concede di vivere nelle opere della giustizia trovandovi pieno diletto per salvarlo poi con la sua grazia. Il fatto che il fuoco e il calore dei vizi non arda là dov’è presente non è forse un evento più prodigioso della sua totale mancanza? E alla fine il giusto sarà esente da quella pena che l’altro sopporterà per i propri peccati sia in questo mondo, sia nel fuoco purgatorio.

3. Ecco ancora un’altra misericordia: pure attraverso questa Dio fa una grazia più grande nei riguardi del giusto, quando lo salva, che nei riguardi dell’altro. Chi è più giusto ha una maggior necessità e un maggior desiderio di essere salvato. E colui che viene in soccorso a un uomo stretto dalla necessità e mendicante, mosso dal fatto che quello chiede, fa una misericordia più grande che se venisse in soccorso a un altro privo di preoccupazioni. Ebbene, l’empio non ha alcuna passione né preoccupazione per la salvezza; il giusto invece sospira e piange perché ne è lontano. Di conseguenza è una misericordia più grande il fatto che Dio colmi il suo desiderio.



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1. Grande è la profondità della ricchezza di Dio! Se di lui nulla si sapesse ma si trovasse scritto unicamente questo, che egli in cielo si ricorda di tutto il mondo anche una volta soltanto, l’uomo dovrebbe servire il Signore più per quella sola memoria che per tutte le azioni che ha compiuto e ogni giorno compie a salvezza dell’uomo.

2. Se Dio dicesse: “Io salverò quelli che avranno fatto fino alla fine la mia volontà” e gli si chiedesse: “Signore, diccela”, ma egli non la dicesse e quindi quella non fosse fatta da nessuno, l’uomo potrebbe avere ogni genere di scuse per i peccati che fa nella sua superbia; e venendo al giudizio potrebbe dire: “Io non avrei commesso il male, se avessi saputo ciò che spiace a Dio”.

Ma Dio non ha nascosto la sua volontà. Prima l’ha annunziata attraverso i patriarchi e i profeti; poi l’ha narrata integralmente lui stesso venendo sulla terra, e dopo di lui gli apostoli e tutti gli altri che l’hanno insegnata; ancora oggi ne parla ad ogni uomo entro la sua coscienza quando gli dona il discernimento del male e del bene.

3. I divini precetti quanto ad essi sono pieni di tanta dolcezza, che se anche Dio non li avesse dati l’uomo dovrebbe domandarglieli secondo ragione, e dire: “Signore Dio, concedici di far questo: amarci a vicenda e restare nella pace. Ci sarà ben dolce”. Dunque, dato che è Dio che ce l’ha comandato, non è davvero insensibile e degno di grande pena colui che non vuol farlo?


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A chi vuol ricevere la comunione si può secondo ragione dir così: “Fratello, vuoi ricevere il corpo di Gesù Cristo? Vuoi anche che Dio si offra interamente a te? Se desideri questo Dio è pronto a concedersi interamente a te a questa condizione: bisogna che anche tu ti offra interamente a lui, dato che brami averlo interamente”. Considera anche nel tuo cuore se Dio non ricerchi qualcosa al di là della norma abituale, perché egli ti dice: “Dammi tutto te stesso, io ti darò tutto me stesso”.
E tu, fratello, ciò che darai a lui lo serberai, e sarà tuo. Al contrario, ciò che serberai senza voler dare a lui sarà in perdizione. Chi infatti ama la sua anima la perderà e chi l’avrà perduta la guadagnerà, come dice l’Evangelo.


95


1. Bisognerebbe che ciascuno si alzasse, si coricasse e compisse ogni suo atto con un costante pensiero. Dica sempre con la voce del cuore: “Signore Dio, proteggimi oggi in modo che io non mi allontani da te. Ieri non ho custodito me stesso con attenzione; ma oggi mi correggerò in tutti i modi, perché la mia fine è vicina”. Si tenga la morte come davanti agli occhi; poi faccia ogni giorno buone opere come se fosse stata concessa una dilazione di un giorno solo; tenga per così dire il piede sollevato in vista del mutamento che si opererà nell’altro mondo.

2. E quando infine cadrà nella malattia e capirà di non aver più molto da vivere, dopo essersi confessato e aver fatto penitenza dei suoi peccati converta il suo cuore alla grazia di Gesù Cristo e all’amore che nutre per le sue membra; si ricordi anche del bene più significativo che Dio gli ha concesso di fare e glie ne renda grazie. Allora con il ricordo delle buone opere e anche con la fede e la speranza della salvezza potrà migrare da questo mondo.

3. Sarebbe però necessario a ciascuno che si affaticasse lungamente in tale opera; e dovrebbe ognuno voler restare nella giustizia per giungere almeno ad aver voglia di morire. Chi infatti ama il Signore talvolta brama migrare per il desiderio di vederlo; e non si deve voler morire per nessun altro motivo.


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1. La carità vera ha in cielo l’onore che le spetta, e in grado elevatissimo: perché Dio è il suo amico ed essa non vuole disonorare se stessa. Fra tutte le cose che cadono sotto i suoi occhi cerca sempre la più bassa: vesti di poco prezzo, cibi non raffinati tanto da poter trascorrere in qualunque modo il giorno presente”. E cerca di tornare frequentemente al tesoro del suo talamo, a Gesù Cristo che ha nel suo cuore.

2. E il re di questo mondo dà a una monetina qualsiasi un valore più alto di quanto dia la carità a tutte le ricchezze della terra: essa infatti non vuole mai avere una casa migliore del cielo.
Sì, lo si può dire: essa è molto avida, al punto che il mondo intero non basta a colmare la sua brama. Chi ha la carità non si interessa che altri parlino di lui; vuole piuttosto restare nascosto e disprezzato in questo mondo, e osserva più compiutamente i comandamenti di Dio. Non lo spaventa né l’avversità né la povertà. Intanto il Re celeste fa di lui per tutti i suoi cittadini un’ammirabile bellezza, perché ha disprezzato se stesso. Qualunque angelo sa lodare ed onorare l’amico di Dio meglio di quanto gli uomini tutti sappiano fare con gli amici del mondo.

3. È pure molto gradito alla vera carità che Dio le ordini di amare i suoi nemici: amandoli essa si mantiene più facilmente che se li avesse in odio. E gioisce con tutta se stessa del fatto che Dio le ordini di pregare per i suoi persecutori. Considerando tutto ciò, il Signore farà una grandissima misericordia a quanti sopportano fatiche per lui: poiché egli vuole esser supplicato per tutti coloro che tormentano i suoi amici, vuole aver misericordia di loro.

4. Queste sono le opere e i pensieri della vera carità.
Ma forse qualcuno potrebbe dire: “E chi mai può averla?”. Non vi è dubbio: questa è la via per la quale san Pietro e gli altri eletti sono ascesi al cielo. Chi dunque vuole avere tanto quanto uno di essi e desidera essere salvato come loro, non farà forse qualcosa di ciò che essi hanno fatto? Faccia almeno altrettanto, e creda senza dubitare che doveva farlo. Se lo crede davvero starà lontano dal male e farà il bene a misura delle sue forze.


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1. Chi ha l’intero suo cuore nella grazia di Gesù Cristo si rallegra del fatto che Abramo e tutti i padri dell’Antico Testamento alla loro morte siano discesi agli inferi. Se infatti qualcuno potesse essere salvato con le sole buone opere, né Mosè, né san Giovanni il Battista, né la grande moltitudine degli altri sarebbero mai discesi là. E invece vi sarebbero rimasti in eterno se il Figlio di Dio non li avesse liberati.

2. È così: se le opere di tutti i giusti dall’inizio alla fine del mondo appartenessero a uno solo, fossero cioè fatte da quello, e anche il male compiuto dagli altri fosse bene e appartenesse tutto allo stesso, non gli basterebbe ancora a vedere la gloria del cielo neppure per un momento, se mancasse la grazia di Dio: con le proprie forze nessuno riesce a rendersi meritevole d’altro che della pena. E per colui che più da vicino si mette alla sequela del Signore, compresa la Madre sua, Dio farebbe abbastanza se anche solo lo liberasse dalle pene dell’inferno: poiché ogni uomo le ha meritate a causa dei peccati in cui nasce.

3. Ecco dunque il supremo consiglio utile a qualunque uomo: ciascuno viva il più rettamente che può attendendo il Signore. Questi poi faccia quel che gli piacerà, sia riguardo alla pena che riguardo alla salvezza.
Anche se qualcuno sapesse con assoluta certezza che sarà dannato, non per questo dovrebbe desistere dal servizio di Dio.

4. Dato che Gesù Cristo ha compiuto fino in fondo tutto ciò che è necessario all’umana salvezza e in lui non verrà mai meno per l’uomo la possibilità di essere salvato se non per propria colpa, perché mai dovremmo sottrargli il nostro servizio? Ma Dio non è crudele, è fedele, e salverà quanti gli obbediscono.
Tuttavia le buone opere che Dio realizza nell’uomo esistono in virtù della grazia, come pure la salvezza; e a partire dalla prima grazia Dio vuole che si speri anche l’altra. Chi disprezza la prima, cioè le buone opere, non è degno della seconda, cioè della salvezza.



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In molti modi Dio onora chi lo ama. E certamente all’uomo verrà un onore più grande dal fatto che Dio lo salverà solo per grazia sua, che non se lo salvasse per le buone opere. Non è forse vero che per un povero sarebbe motivo di maggior onore se un re andasse a cercarlo lontano, in terra straniera, e condottolo alla sua corte lo ponesse a sedere accanto a sé e lo costituisse signore sul suo regno, che non se fosse il povero a cercare il re? E così pure, la pecora che si era perduta non è forse tornata a casa con maggior onore perché il pastore stesso l’ha cercata e se l’è messa in spalla, che non se lei stessa avesse preso l’iniziativa di andare senza che alcuno la portasse? Così all’uomo viene un onore più grande dal fatto che Dio è ansioso della sua salvezza.


99


1. Anche in questo modo si può comprendere il disonore e la vergogna dei reprobi: essi a nulla potranno imputare la loro colpa se non a se stessi, che per loro volontà si sono dannati. Dio infatti non condannerà mai nessuno, non ne ha motivo finché qualcuno non glie ne darà; anzi, con gioia salva quanti desiderano seguirlo.

2. L’uomo si rallegra in Dio quando Dio inizialmente si rallegra in lui; uno riposa in Dio quando Dio inizialmente riposa in lui; l’uomo riceve Dio quando Dio è in lui.
E Dio indubbiamente in nulla può riposare né rallegrarsi se non in se stesso, né può ricevere altro come Dio. Se così non fosse vorrebbe dire che Dio trova un altro bene oltre a se stesso, nel quale è ogni bene.


100


1. In nessuno è dato trovar sicurezza se non in Dio. Chi ascolta le vite dei santi e sente le fatiche che hanno affrontato per il Signore, si accorge che esse non gli dicono nient’altro se non di fare lo stesso. Le sofferenze di quelli non sono redenzione se non a loro stessi; sono invece uno spavento per chi non vuole imitarli.

2. Allo stesso modo le creature prive di ragione e che pure rimangono fedeli all’ordinamento stabilito dal Signore devono incutere all’uomo grande vergogna e grande timore: perché lui fa uso di ragione e tuttavia si allontana dall’ordinamento divino. E così in tutte le cose c’è motivo di timore.

3. Per contro solo Gesù Cristo a chi lo ama dice: “Tutte le opere mie lo ho fatte per te; per te sono nato e sono stato battezzato, la mia morte è la tua vita, la mia resurrezione è il tuo perdono, la mia ascensione è la tua glorificazione”. È dunque chiaro che ogni altra realtà intimorisce l’uomo: Dio soltanto, che per lui ha sofferto e che più lo ama, lo rende sicuro.


101


1. Un discepolo chiese al nostro pastore: “Signore, tu nelle forme più svariate difendi il diritto di Dio. Ma allora, per qual motivo il Signore ordinò ai figli d’Israele di prendere in prestito i tesori d’Egitto e poi di portarseli dietro? Ha l’aria di una rapina”.
Egli rispose: “Fratello, è chiaro, questo fu giusto: essi li avevano serviti a lungo, ma quelli per il loro servizio li avevano ricambiati con il male. Allora Dio, che è giudice equo, con giusto giudizio volle che si portassero dietro la mercede del loro lavoro, che quelli avevano loro defraudato”.
“Vi è poi un’altra comprensione spirituale: che nello stesso modo le membra di Cristo ricevettero i tesori della santa Scrittura dai Giudei, i quali rimangono in Egitto, nelle tenebre di questo mondo”.

2. Il medesimo discepolo lo interrogò di nuovo: “Signore, tu dici che Dio ha amato la terra di Gerusalemme più delle altre per il fatto che ha condotto là i suoi amici dalle altre regioni; e d’altronde lui stesso è nato dalla Vergine proprio là, e spesso nelle Scritture la chiama terra della promessa. Ebbene, è strano che l’abbia voluta proprio così: non ci sono dei gran bei prati, né sorgenti particolarmente buone, né fiumi davvero abbondanti. Acqua nelle cisterne, e poi asperità e caldo più che in molte altre terre”.
A questa domanda il pastore diede soluzione con queste parole: “Fratello, da questo si può considerare quanto degno d’ammirazione sia l’ordinamento stabilito da Dio. Egli ha tolto via di là ogni diletto materiale affinché i suoi amici provassero diletto soltanto in lui, e il suo amore fosse per loro prato, sorgente e fiume nonché rifugio per ogni situazione. Se infatti Dio non sapesse che l’altro mondo è migliore non vi trasferirebbe certo i suoi amici; e in alcun modo ingannerebbe la madre sua”.

3. “Invece per darci la gioia del cielo talvolta sottrae la presente. Non al punto da abbandonare i suoi amici in questo mondo tristi e desolati: Dio vuol fare così perché misteriosamente trattiene i suoi servi in una pace più grande proprio quando la gente pensa siano oppressi dalla fatica. È più grande infatti l’onore ch’egli riceve quando li fa stare nella pace in mezzo alle difficoltà”.
“Talvolta però, a vergogna di chi non crede, mostra al popolo la dolcezza anche materiale in cui i suoi amici sono stabiliti pur tra lacerazioni, come si legge dei tre fanciulli che lo benedicevano nel fuoco della fornace”. E altri che non libera materialmente in quel modo li consola nello spirito affinché i credenti ne prendano un esempio di pazienza; dimodoché quelli che li tormentano fanno più fatica dei servi di Dio che vengono tormentati”.


102


Un dolcissimo signore è Dio: ogni volta che qualcuno vuole umilmente parlare con lui nella sua preghiera, Dio è là, pronto ad ascoltare i discorsi dell’uomo. Se invece uno volesse parlare in segreto con qualche persona potente del mondo potrebbe accadere che non riesca assolutamente a parlarle il giorno in cui le giunge davanti.


103


Questo devi sapere, chiunque tu sia che cerchi di parlare familiarmente con Dio: che Dio non ti esaudirà se tu non sarai con te stesso quando lo supplichi. Come potrebbe il tuo amico venire a te se tu per primo mentre io inviti fuggi via? Fa’ dunque attenzione a che il tuo cuore non si allontani da te con pensieri vani: allora nella tua preghiera troverai Dio presente.


104


1. Mentre il pastore parlava della preghiera, quel discepolo di cui si è detto lo interrogò su come ci si dovesse stare. Egli rispose in questi termini: “Mosè nella sua preghiera alzava le mani verso Dio, mentre Giosuè suo servitore combatteva con Amalek; e finché teneva le mani levate in alto il suo popolo vinceva, quando le mani erano lasciate andare esso era vinto. Alla fine Aronne e Cur gli sostennero le mani fino a che la vittoria fu completa”.

2. “In un altro punto si trova che Maria Maddalena, andando al Signore perché le fossero rimessi i suoi peccati cadde ai piedi di lui. E Dio le perdonò a causa del grande amore di cui era ricolma: perché già lo amava prima di giungere là. Così Mosè levava le mani per amar di più Dio e pregarlo meglio, Maria Maddalena si chinò ai piedi di Gesù”.

“In conclusione: quando qualcuno si apparta per la preghiera si disponga in modo da poter amare maggiormente Dio, sia mettendosi seduto che stando in piedi, oppure prostrato a terra o inginocchiato”.

3. “Tuttavia porti con sé l’umiltà, senza la quale il Signore non lo ascolterà come serve a lui. Quando infatti gli stessi discepoli san Giacomo e san Giovanni fecero una richiesta a Gesù Cristo senza umiltà, egli rispose loro: ‘Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio’. Siate diversi da come siete ora quanto a umiltà, e vi sarà concesso”.
“Tutta la forza della preghiera sta infatti nella grandezza dell’amore di Dio; ma l’amore di Dio non trova la sua localizzazione se non nell’umiltà. Per questo Gesù Cristo ha promesso all’umiltà il posto più alto nel regno dei cieli: perché sulla terra non trova nient’altro da cui venir amato”.

4. “Ancora: Dio vuole che in ogni attività si osservi il tempo e il luogo, fuorché nella preghiera. A seconda dei tempi vuole che ciascuno dica salmi, che parli di Dio, che ascolti chi parla, che si affatichi e così via. È per questo che Dio ha dato diversi precetti: perché nessuno provasse fastidio nel suo servizio e potesse spostarsi dall’uno all’altro se piace di più. Ma in ogni attività vuole che ciascuno sempre lo supplichi dicendo in cuor suo: ‘Dio, faccio questo solo per esser capace di amarti”.

5. “A chiunque poi vuol fare una cosa il Signore dice: ‘Se tu volessi io mi incamminerei con te, e ti aiuterei in ciò che ti appresti a fare’. Allora chi ama il mondo risponderà: ‘Aiuta altri, non me’. Lo dice con gli atti ogniqualvolta si allontana dai precetti divini. E data la superbia con cui l’uomo rigetta la compagnia di Dio, a tempo debito il Signore gli risponderà così nella sua preghiera: ‘Poiché non hai voluto avermi compagno in quell’attività, io ora non accoglierò la tua preghiera’”.

6. In tutte le attività il Signore gradisce la disciplina, ma particolarmente nella preghiera. Mi spiego: quando l’uomo buono supplica Dio per la tribolazione propria o di un altro, e infine converte la propria volontà a quella del Signore fino al punto di non osar fare scelte proprie, di non voler dire: “Dio, porta a termine in questo modo”, e di rimettere invece tutto alla sua scelta, allora il giusto resta saldo nella disciplina di Dio. Di conseguenza la preghiera gli è agevole. Ciò accade nella misura in cui il discepolo fedele avendo rinnegato se stesso rimane nell’obbedienza del suo pastore e non vuoi scegliere la propria volontà”.

7. Chiunque poi ha una fede salda loda Dio per quello che gli nega ai modo stesso che per quanto gli concede in doni sia materiali che spirituali. Come infatti Dio dona ricchezze perché con esse lo si serva, così le sottrae perché lo si ami di più; e al modo stesso in cui accorda una virtù come aiuto per la salvezza, così ne sottrae un’altra perché non si precipiti nella superbia.

8. Ogni bene comune è meglio di un altro. Pure talora uno invoca Dio per un amico personale (cosa che è bene fare) con quest’intenzione: che ritiene con tale preghiera di poter amare di più il Signore. Quanto più infatti l’uomo è portato verso qualcosa, con tanto maggior desiderio si rivolge a colui che è in grado di aiutarlo al riguardo. E quale che sia per ciascuno il modo di accedere a Dio, quello è bene per lui: o il pregare per se stesso, o per un amico, oppure per un nemico come per tutti comunitariamente.


105


Nuovamente il discepolo chiese al suo pastore per qual motivo le Scritture dicano: “Lodate Dio, benedite Dio”, quando Dio non ha certo bisogno della benedizione dell’uomo. Egli così rispose: “La santa Scrittura non ha comandato nulla se non a salvezza dell’uomo. Quando dunque esorta: ‘Lodate Dio, benedite Dio’, è perché tutta l’utilità ne ritorna all’uomo. Ogni volta che qualcuno dice di buon animo: ‘Dio sii lodato, Dio sii benedetto’, il Signore subito risponde: ‘Anche tu che mi lodi sii lodato, anche tu che mi benedici sii benedetto’”.
“E da questo si può capire che Dio risponde in tal modo: che nessuno è in grado di benedire Dio se prima non è benedetto da Dio e non è prevenuto dalla sua grazia. Insomma, dato che la benedizione proviene fin dall’inizio interamente da Dio, quando l’uomo benedice Dio accresce per sé la sua benedizione e il suo amore”.


106


1. È molto meglio lodare Dio che invocarlo. Colui che loda ha raggiunto ciò che brama, e compie già in terra il ministero che è compiuto dagli angeli in cielo. L’altro, quello che invoca, non è ancora sicuro, resta nel dubbio.

2. Se uno vivesse rettamente e sempre amasse il Signore non gli sarebbe mai necessario invocarlo, ma solo lodarlo; e Dio senza dubbio riverserebbe su di lui ben più di quanto egli sarebbe capace di domandare.
L’uomo che ha tutto il suo cuore nel Signore riflette continuamente su questo, e dice nel suo spirito: “Signore Dio, che cosa potrei domandare? Tu hai fatto per l’uomo molto più di quanto alcuna creatura fosse in grado di pensare. A chi lo vuole hai dato di ricevere te stesso e ogni altra cosa, a chi lo desidera hai dato di fare la tua volontà”. In questo pensiero l’uomo buono loda Dio senza sapere cosa chiedergli. Ma a causa della sua fragilità egli non può rimanere sempre in questo desiderio: per questo le preghiere tornano ad essere necessarie.


107


1. Nuovamente quel medesimo discepolo chiese dove si trovino tanti canti nuovi da cantare ininterrottamente in cielo. Il pastore gli disse: “Gesù Cristo nell’Evangelo insegnò ai suoi discepoli qual il canto nuovo che si canta in cielo allorché disse loro: ‘Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri’. È quindi la carità, che è chiamata canto nuovo perché rinnova l’uomo e del figlio delle tenebre fa un figlio della luce”.

2. “Questa carità che in terra è il canto nuovo degli uomini è anche in cielo il canto nuovo degli angeli. Ogni volta che essi vedono qualcuno degli eletti ascendere in alto intonano per la sua ascesa un canto nuovo. E qualora nient’altro avessero di cui lodare Dio, già per questo soltanto non giungerebbero mai alla fine della lode: poiché si rallegrano per un peccatore che fa penitenza, come dice il Signore nell’Evangelo. Gioiscono in ogni loro fibra vedendolo partecipe della loro salvezza e sapendo che non peccherà mai più. Se sono stati presi da meraviglia riguardo al Figlio di Dio vedendolo rivestito di carne nell’atto di ascendere al cielo, sì da dire: ‘Chi è questo re della gloria?’”, è giusto che pieni di gioia si meraviglino e cantino il canto nuovo allorché le membra seguono il capo”.


108


1. In molti modi il Signore onorerà quelli che salverà. Infatti di ogni male che avrebbero potuto compiere e che non hanno voluto compiere a causa di Dio riceveranno la loro ricompensa; dei peccati che hanno commesso e dai quali si sono convertiti a Dio possederanno gloria e onore. Quanto più uno ha peccato, tanto più a lui volgerà lo sguardo l’intera corte celeste dicendo a una sola voce: “Guardate costui, ammiratelo! Perché si era reso meritevole solo dell’inferno, ma poi Dio lo ha liberato di là con una guerra ben condotta, con un valoroso combattimento”.

2. Il soldato, una volta conseguita la vittoria, riceve un grande onore dai colpi con cui si è difeso contro i nemici, e al tempo stesso viene lodato per le ferite sopportate e che non l’hanno abbattuto. Allo stesso modo gli amici di Dio riceveranno onore dalle virtù con cui si sono difesi come pure dai peccati che sono stati in loro senza precipitarli nella dannazione. Si adempirà allora quel che dice l’apostolo: “Lo Spirito santo opera con tutto al bene di coloro che amano Dio”.
Dio però non vuole che l’uomo consideri la sua misericordia e l’onore ricevuto come un motivo per fare il male, ma per pentirsi e sperare la salvezza nel compimento delle buone opere.


109


1. Nessuno dalla Scrittura o da una parola udita può giungere a comprendere la gioiosa pace in cui l’uomo buono si trova stabilito, a meno che non ne provi lui stesso qualcosa. Tale è la pace di cui gioisce nel servizio di Dio che se anche fosse sicuro che non sarà mai condannato per i suoi peccati mai tuttavia ne commetterebbe. Tanto egli ama la vita secondo Dio! E poiché ha cominciato già sulla terra a vivere in cielo, medita continuamente in cuor suo quanto sarà dolce per l’uomo messo alla prova giungere al regno celeste.

2. Come infatti il soldato che giunge alla corte del re, con i maggiorenti che lo riconoscono e si levano davanti a lui invitandolo a sedersi, si rallegra di una simile accoglienza, così è gradito al giusto il suo ascendere al cielo, con gli angeli che lo conoscono e lo accolgono con gioia per la comunione ch’egli ha avuto con loro nella sua vita terrena fatta di pianti, sospiri e lodi a Dio. Conoscendo anche solo questo, in mancanza di tutto il resto, l’uomo buono si adopera a compiere buone opere.

3. Con un altro esempio si può capire l’attesa degli angeli riguardo alla salvezza dell’uomo. Un ricco che ha stipulato un contratto di matrimonio fa sapere ai suoi amici il giorno in cui vuol celebrare le nozze; e radunatili attorno a sé discorre lungamente con loro della sua decisione di prender moglie in modo che la accolgano con tutti gli onori quand’essa verrà. Da parte sua ha mandato i suoi regali a casa di lei. Del tutto sprovveduta è la donna, se per un frutto presentatole da un qualsiasi garzone respinge il dono che il suo sposo le ha mandato e rifiuta di andare da lui.
Ebbene, l’anima dell’uomo è la sposa di Cristo. Questi l’ha lavata a prezzo del suo sangue”. Lassù dove si trova, assieme ai suoi amici la attende per unirsi a lei; quaggiù in terra la rifocilla con la sua carne e il suo sangue perché non muoia di fame. Non è dunque davvero sciocca l’anima disgraziata se per un frutto destinato a marcire subito, per le occupazioni del mondo, si volge alla menzogna commettendo adulterio con il diavolo? Se respinge la veste della carità che Gesù Cristo vuole accordarle perché si presenti a lui? Per contro l’anima fedele ama questa veste al punto che prima di abbandonarla lascerebbe fare a pezzi il proprio corpo. Ecco perché è riconosciuta dagli angeli al suo giungere in mezzo a loro ed è onorata.



110


1. Il diavolo non trova nessuna pace in cielo ove la pace regna sovrana, perché là si è contrapposto a Dio. Abramo e molti altri nell’inferno ove sono i tormenti non hanno subito alcuna pena, perché là amavano Dio. Da ciò si può capire che non esiste alcuna pace se non l’amore di Dio.

2. Ogni giorno tuttavia capita questo: che l’uomo cattivo non trova nulla di buono dove il buono c’è; l’uomo buono invece lo trova dove non c’è. Mi spiego: quando un servo di Dio viene in aiuto a un uomo perverso nel nome di Gesù Cristo accogliendolo nel nome di giusto, scopre in lui per sé tanto di buono quanto crede di poterne trovare. Il cattivo invece quando guarda all’uomo buono non trova in lui nulla di buono perché non crede che ve ne sia. Come Giuda nei confronti di Gesù Cristo. E il motivo per cui uno non crede che vi sia del buono nell’altro è che non ne ha in se stesso.
Ma va detto anche questo: nessuno nell’uomo giusto che ama davvero Dio giunge a indovinare un tanto di buono senza che in realtà ne sia presente ben di più. Se infatti è buono Dio abita in lui, e il buono che è di Dio da nessuno può essere compreso.


111


1. Se si riflette sul motivo per cui il diavolo è caduto tanto presto dal cielo si può capire chiaramente in che modo agirebbe nelle altezze se il Signore glielo permettesse: in effetti, quaggiù in terra ha ucciso il Figlio di Dio quando l’ha visto rivestito di carne.

2. E tutti gl’ingiusti che ora lo seguono pur sapendo cosa gli è capitato mostrano chiaramente con le opere che se allora fossero stati angeli con lui nel cielo l’avrebbero seguito in una stessa vicenda.
Per tutti costoro gli uomini buoni e gli angeli lodano il Signore: perché in vista del loro onore e affinché conoscano meglio la pace in cui si trovano il Signore ha voluto che vi fossero il diavolo e le pene infernali.


112


1. Gesù Cristo finché fu fisicamente in terra con gli apostoli non diede loro lo Spirito santo perché lui stesso li consolava, era per loro il Paraclito. E se allora gliel’avesse dato, come in seguito ha fatto, gli altri credenti avrebbero potuto pensare così: “D’ora in poi non avremo lo Spirito santo come lo ebbero gli apostoli: perché Gesù Cristo d’ora in poi non sarà più fisicamente in terra con noi come lo è stato con loro”. Invece gliel’ha mandato dal cielo il giorno di Pentecoste perché da allora noi lo aspettassimo sempre.

2. Glielo ha immesso come sapore presente in tutte le sue opere. Questa festa può dunque esser definita il condimento di tutte le altre feste. Le opere divine, per quanto dolci, sarebbero state per loro insipide se lo Spirito santo non fosse venuto su di loro.
Ci si può d’altra parte render conto della grande dolcezza che gli amici di Dio sentono in se stessi dal fatto che addolciscono l’altrui amarezza toccandoli con la soavità della loro parola.


113


La festa di Pentecoste si può paragonare al giorno santo di Parasceve in cui il Figlio di Dio è stato vergognosamente espulso da Gerusalemme con la croce sulle spalle.
È per questo che il Padre celeste lo ha tanto onorato nel giorno di Pentecoste: al punto che per opera sua è stato lodato e testimoniato da uno solo dei suoi discepoli più di quanto coloro che non credevano in lui lo avessero disonorato. Ed è certo che da quella vergogna ha acquistato onore. Questa è la logica della pazienza.


114


Il bene che si compie è tanto più grande quanto più vi si è affezionati. Lo stesso per il male. Però nessuno è tanto attratto dal male quanto un altro lo è dal bene con desiderio di gran lunga più forte. Un esempio per capire. Nessuno accetta in cuor suo di farsi uccidere da un altro per il piacere che gli procura il peccato o per conservare delle ricchezze. Se invece si dice a uno che ama Dio: “O ti allontani dal Signore o sarai ucciso”, affronterà la morte continuando ad aderire a Dio. Ecco dunque che questi ama il bene più di quanto l’altro ami il male.


115


Così i santi aiutano quanti si rivolgono a loro. Quando qualcuno supplica la beata Maria o qualche santo, il Signore accoglie la preghiera fatta con sì fiducioso abbandono e la mostra in se stesso a quel santo, quasi dicendogli: “Ho fatto questa misericordia per amor tuo a chi mi supplicava”.
E non si deve credere che in cielo si ricordi a Dio qualcosa di nuovo: nessuno spirito buono conosce altra cosa da ciò che Dio stesso gli mostra. Quando invece i santi scorgono in Dio le misericordie che fa per amor loro lo lodano con rendimento di grazie. Osservatane una, subito ne percepiscono un’altra; e non hanno necessità di rivolgere a Dio delle richieste, ma solo di lodare e di amare, come dice il salmista: “Beato chi abita la tua casa, Signore: nei secoli dei secoli canterà le tue lodi!”.


116


1. Nessuno a questo mondo è in grado di conoscere e lodare degnamente Dio. E quanto i profeti, gli apostoli e gli altri santi han detto di lui si può quasi dire che è nulla e disonore al cospetto delle ricchezze di Dio: a uno solo fra gli eletti egli darà più di quanto tutti insieme hanno potuto immaginare, e a maggior ragione dire.
Ma già fin d’ora nella vita presente qualche uomo buono coglie talvolta tanto dell’amore di Dio che non riesce a dirlo né a porlo per iscritto.

2. Se l’uomo non arriva a conoscere né a dire per intero ciò che ha in sé, come potrebbe riguardo a Dio esprimere degnamente qualcosa di adeguato alla sua grandezza? Riguardo a un solo membro, per quanto si cerchi, nessuno riesce a rendere ragione del motivo per cui la bocca non oda, l’occhio non parli, l’orecchio non veda: eppure queste tre membra sono in uno stesso capo e sono animate da uno stesso spirito. Il sapiente riflettendo su ciò guarda con ammirazione alla divina potenza; lo sciocco invece non riesce neanche a rendersi conto di quanto ciò sia mirabile.


117


1. La carità non sarà piena finché non sarà nel regno dei cieli. Tuttavia si adempirà ogni volta che ognuno degli eletti amerà ciascuno degli altri come se stesso e tutti gli altri ameranno lui come se stessi. In seguito però tutti, angeli e uomini nella stessa misura, convertiranno il loro amore al Signore e lo ameranno più di se stessi.
Dio comunque non sarà mai superato: egli amerà ciascuno di loro ben più di quanto tutti loro avranno saputo amarsi a vicenda e ameranno Dio. Inoltre darà tutto se stesso a ciascuno, non in una sua parte ma interamente, al modo stesso in cui molti uomini vedono il sole e nessuno fa da impedimento a un altro ma ciascuno lo riceve tutto.

2. Ma l’uomo è così pigro!... Se si venisse a sapere senz’ombra di dubbio che uno solo degli apostoli di Dio è disceso da qualche parte e parla al popolo, quanti accorrerebbero là! Perché allora non si corre là ove sono presenti tutti?
L’uomo sufficientemente istruito da parole di bene deve dunque sforzarsi di coltivarle nella pratica affinché giungano a piacergli. Come infatti un favo è più dolce all’uomo che ne mangia che a chi lo guarda soltanto, così la parola divina è più dolce all’anima che la realizza che se la si conoscesse attraverso l’udito o lo scritto senza però viverla.



118


È bene che l’uomo buono di tanto in tanto pensi a ciò che sarà nel regno di Dio. Ma è di gran lunga meglio che rifletta assiduamente a ciò che dev’essere in questo mondo finché vive.
Agisce bene chi non permette al diavolo di vincerlo. Ma non è molto perfetto se non arriva a vincere il diavolo. Non permette al diavolo di vincerlo chi si tiene lontano dal male; vince il diavolo chi sottrae altri al servizio di lui. Quest’ultimo fa opera più perfetta.
Non vi è perversità maggiore del volersi sottomettere a una fatica per andare alla pena, e non voler restare nella pace per andare alla gioia.


119


1. Dio ha fatto a Susanna una grande misericordia difendendola dall’esser lapidata; ma le ha fatto una misericordia più grande proteggendola dal peccato, sì che non si sottomettesse alla volontà dei suoi falsi giudici. Se fosse stata lapidata senz’aver peccato non avrebbe subito alcun danno se non nella considerazione del popolo; se avesse peccato avrebbe meritato l’inferno.

2. Per la misericordia più importante Dio non ebbe alcun ministro se non se stesso che soffiò nel cuore della donna. Per questo fu incomparabilmente più grande. E anche per questo fu più grande: che quella prima misericordia la condusse alla seconda. Per la seconda ebbe ministro Daniele cui disse: “Va’, e di’ ai Babilonesi che Susanna ha sgominato tutti loro, anche se loro stessi non lo sanno. Essa infatti è rimasta nella verità, essi nella falsità”.


120


1. Non può esserci per l’uomo infortunio più grande di questo: che Dio lo lasci libero di separarsi tranquillamente da lui.
Dio infatti mette spine e sbarramenti sulla strada dei suoi eletti quando vogliono allontanarsi da lui, come dice il profeta, perché non giungano a concretizzare in opere la loro volontà di peccato. Agli altri, a quelli che Dio non ha previsto che si salvino, talvolta lascia prosperità sulla strada onde le pene infernali siano per essi ancor più gravi. E costoro, che il Signore lascia liberi di concretizzare in questo mondo senz’alcuna contraddizione il loro desiderio di male, si separano da Dio in tutta tranquillità.

2. Niente di straordinario se l’uomo che non vede sceglie il peggio fra ciò che lo attornia. Quelli che amano il mondo non hanno occhi, se si eccettuano quelli della carne; la cupidigia chiude loro gli occhi interiori, per cui scelgono il peggio. Gli uomini buoni scelgono il meglio poiché lo vedono e lo conoscono chiaramente.
Se uno si trovasse in qualche luogo aperto verso mezzogiorno e non riuscisse a scorgere la luce del sole benché il giorno sia sfolgorante, si potrebbe dire con certezza ch’egli non vede. Così è del tutto cieco chi non percepisce la luce di Dio da cui anche il sole è illuminato.
A chi non si ricorda di Dio e non ama i suoi comandamenti sembra che il Signore non si ricordi e non si curi di lui. Se infatti sapesse fino a che punto Dio guarda a ogni male ch’egli pensa e compie, non lo farebbe certamente.


121


1. Chiunque non vuol mettere in atto con le opere le parole di Dio, quando le sente proclamare ritiene che il bene non è come Dio, dice ma è esattamente quanto lui cerca di fare.

2. Chi volesse amare Dio con tutto il cuore, al sentir attribuire ad altri ricchezze, potenza o prestigio in questo mondo dovrebbe rallegrarsi più che se queste cose venissero attribuite a sé. Per questo motivo: che l’altro saprà avanzare meglio di lui da quella situazione, saprà meglio disporne e servirsene per il bene. Questo deve credere. E un altro motivo deve renderlo contento senza riserve: ciascun uomo se desidera salvarsi deve preferire che sia l’altro, e non se stesso, ad avere quell’impedimento interiore che si trova nel mondo, nonché l’allontanamento da Dio.


122


O uomo ingiusto che sottrai al Signore le decime che gli spettano, fa’ attenzione al suo diritto e alla condotta di Dio riguardo alle decime. Tu lavori sulla terra, semini su di essa il grano, poi lo raccogli e lo metti da parte. Cerca dunque di capire in che modo il Signore compia là ciò che è suo. Egli possiede la terra su cui fatichi e possiede anche il ferro e il legno di cui ti servi. Dio ti cede là le sue bestie che ti aiutano nel lavoro. E il grano che vi getti sopra, da chi ce l’hai se non da lui? E la tua forza e le tue braccia non sono forse sue? Dopo che hai sparso il grano sulla terra e l’hai mescolato con la polvere, chi te lo raccoglierebbe se Dio, solo lui, non se ne prendesse cura? È lui che manda alla terra la sua pioggia e il suo sole, il suo freddo e il suo calore, la sua rugiada e la sua brina, la sua aria mite: tutto questo le è necessario. Infine a ciascun chicco del campo fa il suo involucro perché possa crescere e moltiplicarsi. Quando finalmente viene la mietitura, cosa faresti se Dio allora non ti mandasse di preferenza il suo sole? E ancora, quando hai mietuto e trebbiato il grano bisogna che il Signore mandi il suo vento a separare i chicchi dalla pula. Per finire, se non trovassi sette volte o più quel che hai seminato te la prenderesti con il Signore e ti lamenteresti del tuo lavoro.
È chiaro dunque che secondo un giusto giudizio nove parti appartengono a Dio e la decima a te per la fatica che hai sopportato. Dio invece è tanto misericordioso che le nove parti che gli spettano di diritto le concede a te perché tu possa fare quel che ti è necessario. Dunque rendigli la decima; se la trattieni, volgi a ingiustizia ogni altro guadagno.





Conclusione
(come i fratelli rispondono a chi li interroga sulla loro vita)



[1] In molti modi il signore Stefano istruiva i suoi discepoli su come rispondere a chi li interrogasse sulla loro vita. Così diceva loro:

Fratelli, non meravigliatevi se alcuni dissentono dalla vostra vita e dalle vostre usanze: è perché voi rifiutate ciò cui essi si attengono e non volete seguirli in quel che fanno. Perché dunque dovreste provar meraviglia di loro?
Tuttavia è vero che gli altri religiosi non sono mai interpellati su quale regola seguano. Per alcuni c’è l’abito che lo indica: questi fan parte della regola di sant’Agostino, quelli si attengono alla norma di san Benedetto. A voi dunque, fratelli, da molti verrà detto: “È una novità, questo cui vi attenete; non è una norma né una regola stabilita dai dottori della santa chiesa”.

[2] Ebbene, anche se chi vi dice questo avesse gli indumenti e le insegne della religione io vi dico risolutamente che egli ha rinnegato la sua vita, ignorando cosa sia norma o regola. A lui voi rispondete così: “Dato che biasimate la nostra vita e le nostre usanze, mostrateci dove ne trovate motivo: le emenderemo di buon grado qualora possiate indicarcelo sulla scorta dell’autorità dell’Evangelo”. A questo punto, fratelli, se quello non vi risponde subito, cominciate ad illustrargli le linee direttrici della vostra condotta in questo modo:

[3] “Forse il nostro pastore si discosta dalla norma o dalla regola perché restando entro la sua recinzione si prende cura con l’aiuto della grazia divina delle anime dei suoi discepoli affidategli da Dio? Il nostro pastore ci getta forse fuori dalla norma o dalla regola perché mantiene fra di noi l’unità di tutte le cose con l’aiuto di Dio, non permettendo a nessuno di avere qualcosa in proprio tranne la potestà di amare e servire gli altri? [4] Fateci sapere, voi che biasimate le nostre usanze: il nostro pastore ci rende estranei alla norma o alla regola per il fatto che non ci permette assolutamente di tornare alle case dei nostri familiari dato che le abbiamo abbandonate, e neppure vuole che manifestiamo loro la nostra povertà quando vengono da noi? Il nostro pastore ci separa dalla norma o dalla regola per questo fatto, che non tollera che entriamo nei castelli e nelle città a meno che non siamo costretti a passare per una via diversa contro la nostra volontà? [5] Ancora, il nostro pastore ci getta fuori dalla norma o dalla regola perché non ci concede di frequentare mercati e piazze dato che non ci vuole trafficanti o mercanti? Forse il nostro pastore ci getta fuori dalla norma o dalla regola perché non ci permette di avere decime, redditi e grandi proprietà terriere che ci condurrebbero a contendere in giudizio con i secolari? [6] E poi, il pastore ci rende estranei alla norma o alla regola perché non ci permette di ricevere chiese con tutto ciò che vi è connesso? Forse il nostro pastore ci separa dalla norma o dalla regola perché ci ordina di vivere senza animali di cui occuparci sì da poter servire Dio più liberamente? [7] Continuando, il nostro pastore trasgredisce forse la norma o la regola perché non accoglie donne nella sua religione né permette che esse dormano nelle celle o lavorino con i fratelli? Forse il nostro pastore ci getta fuori dalla norma o dalla regola perché non accetta di comparire in giudizio, sia lui che i suoi discepoli? Infine, il nostro pastore ci rende estranei alla norma o alla regola perché non ci concede di ricuperare alcuna occupazione secolare che abbiamo abbandonato, raccomandandoci invece di restare nel deserto come morti e disprezzati dal mondo?”.

[8] Fratelli, con parole di questo tipo voi potete rispondere a quanti biasimano la vostra vita. A chi per contro vi mostrasse come rendervi ancor più estranei alle occupazioni del mondo, su questo credetegli di buon animo chiunque egli sia, viva tra voi o venga da fuori; invece di fronte a proposte di crescere secondo il mondo non credete mai ad alcuno, quale che sia la forza di convinzione del suo modo di sentire. Se infatti il Figlio di Dio venendo sulla terra avesse conosciuto una vita migliore della povertà per salire al cielo, l’avrebbe scelta e per essa avrebbe camminato. [9] Amate dunque la povertà, dato che Gesù Cristo l’ha scelta in quanto migliore; ma non pensate che io raccomandi me stesso o voi in ciò che vi ho detto. Dio solo sa chi noi siamo. Tuttavia, per quanto concerne questo tipo di vita non vi è alcuna incertezza che essa sia santa. Se da qualcuno venisse riprovata, da voi venga esaltata. Se qualcuno vi loda umiliatevi: così faceva san Paolo apostolo.
E sappiate con certezza che non vi è altra regola all’infuori dei comandamenti divini. Chiunque li osserva è religioso, chi se ne allontana si trova al di fuori di ogni norma o regola: poiché qualunque cosa si fa senza Dio è nulla.