venerdì 18 febbraio 2011

Dizionario dell'antilingua

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Ricevo da "Zenit" e volentieri riporto.- Roma, 18 febbraio 2011. ‘Governance’, ‘partner’, ‘genere’, ‘salute riproduttiva’, sono alcuni dei termini entrati a far parte di un nuovo vocabolario in uso nelle istituzioni internazionali che sostituiscono concetti come: governo, marito e moglie, maschio o femmina, anticoncezionali. Questi uniti a un pensiero oltranzista di ‘antidiscriminazione’ si sono trasformati in strumenti usati per imporre delle ideologie contrarie al pensiero cattolico e che finiscono per incidere anche nella nostra vita quotidiana.
E' quanto è emerso durante l’incontro dal titolo “La forza delle parole. Verità e ideologia negli organismi internazionali”, svoltosi il 17 febbraio a Roma, presso la sede del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione. La problematica è stata affrontata dall’Arcivescovo Silvano Tomasi, Nunzio apostolico e Osservatore permanente della Santa Sede presso gli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra, dalla docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Marta Cartabia, e moderata dal direttore del Centro Internazionale, Roberto Fontolan.
“Ginevra è una piazza dove si fa la cultura di oggi”, ha detto mons. Tomasi, ricordando che in quella sede dell'ONU ci sono 30 mila funzionari internazionali e più di 9 mila conferenze l’anno. Per centrare il problema il presule ha richiamato il pensiero di Benedetto XVI sulla dittatura del relativismo: “Una larga porzione delle filosofie contemporanee afferma che l’uomo non è capace di verità, ne consegue che l’uomo che rinuncia alla verità non è più capace di valori etici” e quindi “finisce per accettare come solo criterio che conta l’opinione della maggioranza. Ma la storia purtroppo mostra quanto possano essere distruttive le maggioranze” come nei casi “delle dittature imposte del nazismo e marxismo”.
“Esistono due interpretazioni dell’esperienza umana – ha proseguito – una che si basa su una realtà, l’altra su una costruzione di convenienza di una realtà che si vorrebbe molto cara a esperti e manager di organismi internazionali”.
“Altre parole provenienti dalla tradizione giudeo-cristiana – ha continuato – vengono escluse o tendono a sparire: verità, morale, coscienza, ragione, genitori, madre, figlio, padre, castità, comandamento, peccato, gerarchia, natura, matrimonio”.
Vale a dire “un nuovo vocabolario, un miscuglio” che “rappresenta una ideologia individualista portata all’estremo e che ispira le guide dei funzionari della governance mondiale”.
“Le aspirazioni delle Nazione Unite sono di creare un nuovo ordine internazionale e per conseguire questo obiettivo creano una nuova antropologia”, come quando si parla di genere, per indicare l'identità sessuale non naturale ma scelta dall'individuo, e così “si intacca la struttura stessa della società riferendosi alla famiglia”.
La visione tomista che chiede “la conformità dell'intelletto con la realtà” viene rimpiazzata “da un concetto della realtà come costruzione soggettiva e sociale” nella quale verità e realtà non hanno un contenuto stabile.
Cosí “l’alleanza tra ideologia e pragmatismo è una sfida per la saggezza cristiana a riproporre il suo messaggio di umanesimo integrale” anche se a lungo andare, ha concluso mons. Tomasi, “non potranno sottovalutare o semplicemente ignorare il realismo antropologico della tradizione cristiana”.
Alla domanda del moderatore su chi lavora a questo nuovo ordine: “uomini cattivi che si riuniscono di notte, come nei film di James Bond?”. Mons. Tomasi ha indicato che si tratta di un processo molto complesso “che va al di là degli attori”. E che il problema nasce perché appunto è dovuto al relativismo. Si cerca così di ottenere con un linguaggio ambiguo “conclusioni e tentativi di creare consenso, ‘per il bene un po’ di tutti’, dicono”. Ed ha aggiunto: “Dire che una pera non è una mela non è discriminazione”. “E queste soft law, poi si trasformano in norma giuridica. Poi quando c’è una nuova convenzione diventa legge e si applica anche nel piccolo paese”.
La professoressa Marta Cartabia, ribadendo quanto detto da mons. Tomasi, ha ricordato l’importanza che il linguaggio ha nel Diritto e come oggi l’argomento ‘diritti umani’ domini praticamente l’agenda delle agenzie internazionali. La docente ha poi sottolineato il successo dell’argomento diritti umani e antidiscriminazione “come una alternativa condivisa sul relativismo per contestare i potenti della storia”.
Vale a dire si vuole con questo concetto, “cercare una morale superiore. In più si gioca la carta dei diritti umani, e della discriminazione come un asso nella manica e qui il dissenso diventa impossibile”. E questo, ha spiegato, si trasforma in “una seducente scorciatoia per i gruppi che non riescono a trovare approvazione negli spazi normali della politica”. Poi subentra l’ambiguità del linguaggio, già dalla Conferenza di Pechino, con la ‘discriminazione di genere’, che non ha a che fare con un dato biologico fisico ma può essere l’interpretazione di un ruolo che la persona vuole avere.
La professoressa Cartabia ha ricordato come oggi in Spagna e Germania si può “chiedere di cambiare sesso indipendentemente delle caratteristiche fisiche” e come questo pratica sia “garantita dalla legge con una procedura banale come andare all’ufficio del anagrafe”. E si è chiesta: come si può difendere la donna se il ruolo è soltanto un optional?
Ed ha quindi affermato che “anche se dire no a volte è frustrante, è indispensabile l’opera di svelamento della menzogna”, percorrendo soprattutto “strade positive”. Visto che “questa ideologia si è staccata dalla realtà”, ha concluso, “probabilmente l’unica strada da utilizzare è quella di un richiamo all’esperienza”.