venerdì 21 gennaio 2011

La trasmissione della "fede" ai figli.

Il compito più importante dei genitori è quello di trasmettere la fede ai propri figli. La fede in Dio, quella che essi hanno a loro volta ricevuto dai loro padri. Ammesso che l'abbiano ricevuta, perchè, come dice l'adagio classico: "Nemo dat quod non habet", cioè: "Nessuno dà quello che non possiede di suo". Ecco perchè non c'è affatto da stupirsi di ciò che noi oggi trasmettiamo ai nostri figli. Esattamente quello che abbiamo: l'amore al denaro, specie quando si guadagna facile, al gossip, alla immagine, al culto di tutto (e solo) ciò che si vede. Ed ecco anche perchè ancor meno c'è da stupirsi del fatto che non trasmettiamo più quello che ormai non abbiamo: la fede, cioè l'unica cosa importante. Riporto un articolo di Isabella Bossi Fedrigotti. Dal "Corriere della Sera" di oggi.


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L'educazione in famiglia
ai tempi (bui) del gossip

Ci sarebbe da essere preoccupati per la rappresentazione della vita civile che stiamo offrendo ai nostri giovani figli

Siamo preoccupati, è più che giusto, per l'indecorosa immagine che l'Italia sta dando all'estero. Probabilmente, però, ci sarebbe da essere ben più preoccupati per le ricadute interne della questione, per la rappresentazione della vita civile che stiamo, cioè, offrendo ai nostri giovani figli. Cosa possono, infatti, dire, cosa possono spiegare dei genitori - quelli che ancora hanno a cuore l'educazione dei loro ragazzi - a proposito dei comportamenti, non soltanto dell'uomo potente ma anche di numerose belle ragazze della porta accanto, per lo più non in condizioni di emergenza economica né culturale, tant'è vero che non poche tra loro sono laureate e impiegate, nonché, come si è visto, dei loro familiari, madri, padri e fratelli, complici, conniventi se non addirittura suggeritori di contegni atti a piazzarsi nel modo più vantaggioso?
Devono dire, questi genitori, ai figli adolescenti, che sì, in effetti, volendo, il sesso può anche essere espressione d'amore, ma è prima di tutto merce che conviene mettere a reddito sul mercato migliore? E che, va da sé, il commercio che se ne fa implica certi purtroppo inevitabili inconvenienti che vanno, tuttavia, accettati, per esempio la totale «cosificazione» del corpo, secondo il termine usato da Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose (1), e, di conseguenza, anche una serie di maggiori e minori umiliazioni? Che le battaglie a suo tempo fatte dalle femministe per liberare le donne dalla loro condizione di oggetto hanno fatto il loro tempo, meglio nemmeno più nominarle, pena lo scherno quasi generale? E che, in fin dei conti, l'unica cosa che conta è prima il denaro, poi il denaro e dopo ancora il denaro, il molto e, soprattutto, facile denaro?
Ok, potrebbero rispondere i figli, questo si chiama prostituzione, il mestiere più antico del mondo che non meraviglia nessuno. Invece, ecco il problema, c'è la convinzione diffusa, sia tra una buonissima parte di italiani, anche istruiti e colti, sia tra le ragazze stesse e i loro familiari, che questi comportamenti non abbiano a che fare con la prostituzione, bensì con un modo intelligente di essere più sveglie di altre, più capaci di mettersi in mostra, più pronte a cogliere le opportunità della vita. Un così fan tutte, insomma, anzi, così farebbero tutte se ne avessero l'occasione. Del resto, di professione, queste signorine sono artiste, attrici, ballerine, showgirl o anche studentesse, impiegate, infermiere. Escort? Ma no, nemmeno per idea. È soltanto la sgrammaticata maîtresse brasiliana che, nel suo cellulare, ha annotato accanto al nome di non poche delle artiste in questione la spiccia qualificazione di «puttana».
Spaventano l'assuefazione, il cessato scandalo, la leggerezza con la quale si accettano e si giustificano, con un'alzata di spalle, simili modi di essere e di agire. Giustamente si osservava che era la tv, con il suo quotidiano, spesso demenziale magistero, a condurci pian piano a questo punto. Solo che, ora, a peggiorare le cose, alla tv si aggiunge e si sovrappone la vita, il cui esempio ha una potenza molto maggiore di qualsiasi pur seguitissima trasmissione. Davvero valido e degno di fede resta, alla fine, un unico principio, quello che l'antico e cinico Machiavelli raccomandava al suo principe, con la differenza che, dalla politica è stato esteso alle relazioni private, inoculatore di micidiale veleno nella vita civile.
E i genitori, quelli innumerevoli che ancora si sforzano di educare i figli, non possono che ritrovarsi isolati come forse non sono mai stati prima, smarriti e sbigottiti dal silenzio che risuona loro intorno, dall'assenza di riflessioni che coincidano con le proprie riflessioni, dalla mancanza di parole simili alle parole che vorrebbero pronunciare.

(1): Vedi il post intitolato: "La tristezza della Lussuria", pubblicato il 19 gennaio.